27 aprile 2022

La camera verde (François Truffaut, 1978)

La camera verde (La chambre verte)
di François Truffaut – Francia 1978
con François Truffaut, Nathalie Baye
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Rivisto in divx.

Reduce dagli orrori della prima guerra mondiale, e dopo aver perso la moglie in giovane età, il giornalista Julien Davenne (Truffaut stesso, alla sua ultima prova come attore) ha sviluppato un vero e proprio culto ossessivo per i morti: è convinto i defunti possano "continuare a vivere, dentro di noi", purché non vengano dimenticati e non se ne tradisca la memoria. Per questo disapprova l'amico che, pochi mesi dopo la morte della moglie, è già pronto a risposarsi di nuovo; e per questo rinuncia a una promozione, che implica trasferirsi a Parigi in un giornale più grande, pur di continuare a lavorare nel piccolo paese dove è sempre vissuto e dove può commemorare amici, conoscenti e lettori ormai scomparsi. Pian piano si "ritira dalla vita", chiuso in sé stesso (con la sola compagnia di una vecchia domestica e di un bambino sordomuto), e diventa un "virtuoso della necrologia", scrivendo annunci funebri con una passione e una personalità senza pari (senza mai ripetere le stesse frasi di cordoglio: in una delle scene iniziali, se la prende con le parole di circostanza di un prete a un funerale). Per commemorare nel modo migliore la moglie, ma anche tutte le persone che hanno "contato" nella sua vita, restaura un'antica cappella funebre nel cimitero locale, raccogliendo lì tutti i ritratti e gli oggetti loro appartenuti. E quando conosce la giovane Cécilia (Nathalie Baye), innamorata di lui, le chiede di condividere insieme l'onere di custodire la cappella e di vegliare sui rispettivi defunti, nonostante la ragazza sia convinta invece che si debba dimenticare il passato e andare avanti. Ambientato nel 1928 e ispirato ad alcuni racconti di Henry James ("L'altare dei morti", "Gli amici degli amici" e "La tigre nella giungla"), un film che riflette in modo profondo sul senso del lutto e sul rapporto fra i vivi e i morti, ma soprattutto sull'importanza del ricordo e sul rifiuto dell'oblio, visto come sinonimo di superficialità a livello di sentimenti ("Sono scandalizzato dalla facilità con cui si dimenticano i morti"). In un certo senso, la pellicola prosegue nel percorso autobiografico che Truffaut ha sempre seguito durante tutta la sua filmografia (a partire da "I quattrocento colpi", per continuare in "Effetto notte" e "L'uomo che amava le donne"): qui l'attenzione si sposta alla vecchiaia e all'approccio alla morte, con la sua presenza incombente ("Metà delle persone che ho conosciuto sono già morte", diceva il regista in un'intervista pubblicata quello stesso anno), annunciata talvolta dalla degradazione del corpo (le foto degli insetti, ma anche dei corpi dei soldati sventrati dalla guerra, che Julien mostra al piccolo Georges). Nonostante il titolo, che si riferisce alla stanza che Julien ha dedicato come memoriale alla moglie, la fotografia della pellicola è cupa e quasi priva di colori. Jean Dasté è l'anziano caporedattore del giornale. La moglie di Julien, che appare solo in ritratto, è Laurence Ragon, mentre fra le foto degli altri defunti della cappella si riconoscono Marcel Proust, Oscar Wilde, Henry James, Jean Cocteau, Honoré de Balzac, Raymond Queneau, Henri-Pierre Roché, Maurice Jaubert (autore della colonna sonora) e Oskar Werner. Il fatto che uno dei pochi personaggi con cui Julien cerca di comunicare sia un ragazzino sordomuto (Patrick Maléon) ci ricorda naturalmente "Il ragazzo selvaggio", un altro film di Truffaut che aveva anche interpretato come protagonista. Piccole citazioni anche per Hitchcock (la scena del bambino in fuga e poi arrestato, un'esperienza biografica che il regista inglese aveva raccontato al collega in una delle sue interviste) e Buñuel (il manichino con le fattezze della moglie, che ricorda una sequenza di "Estasi di un delitto").

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