Ready player one (S. Spielberg, 2018)
Ready Player One (id.)
di Steven Spielberg – USA 2018
con Tye Sheridan, Olivia Cooke
**1/2
Visto al cinema Colosseo.
In un futuro sovrappopolato, inquinato e impoverito, la maggior parte della popolazione preferisce evadere dalla realtà e trascorrere il proprio tempo all'interno di un mondo virtuale, Oasis, dove – tramite visori e tute – si indossano i panni di avatar immaginari e si può competere in una serie di videogiochi per puro divertimento. L'ideatore di questo mondo, James Halliday (Mark Rylance), prima di morire ha lasciato nel software un "easter egg": tre chiavi nascoste che garantiranno, a chi le troverà, la proprietà dell'intero Oasis. Molti utenti si dedicano alla caccia delle chiavi (i Gunter, da "Egg Hunter"), e fra questi c'è il giovane Wade (Tye Sheridan) nei panni del suo avatar Parzival, aiutato da un gruppo di amici (Art3mis, Aech, Daito e Sho). Ma ci sono anche gli sgherri della IOI, una potente multinazionale che vorrebbe impadronirsi di Oasis per sfruttarla a fini commerciali. Da un romanzo di Ernest Cline, una pellicola young adult che affronta il tema della realtà virtuale, dei videogiochi multiplayer e della cultura nerd (ormai "sdoganata" da serie televisive come "The big bang theory"). Anche se i personaggi, la storia e gli sviluppi non escono dai confini e dalle ingenuità del genere (con tanto di morale posticcia), Spielberg si mostra decisamente a suo agio con l'argomento, sia perché da sempre cantore nostalgico del gioco, dell'infanzia e dell'adolescenza, sia perché già in "Jurassic Park" aveva raccontato di un enorme parco di divertimenti tecnologico (anche se non "virtuale"). Dove la pellicola fa il salto di qualità e riesce a toccare i giusti tasti, almeno per il corretto target demografico (che, guarda caso, corrisponde esattamente a me, ovvero coloro che sono stati adolescenti nei primi anni ottanta), è nell'immensa quantità di riferimenti, rimandi e citazioni più o meno esplicite all'immaginario pop e ludico della prima metà di quel decennio. L'elenco è troppo lungo per esaurirlo qui, fra centinaia di videogiochi, fumetti, film, telefilm, giochi di ruolo e canzoni menzionati esplicitamente o anche solo di sfuggita. Alcuni di questi hanno vasta importanza all'interno della storia (il film "Shining" di Stanley Kubrick, per esempio, le cui scene sono visitate dai protagonisti: nel romanzo di Cline si trattava in verità di "Blade Runner", ma i cineasti non hanno potuto acquisirne i diritti; oppure la consolle Atari 2600 e alcuni dei suoi giochi, in particolare il mitico "Adventure", con il quadratino che si aggira nel labirinto); altri hanno comunque un ruolo esteso (Mechagodzilla, King Kong, Gundam, "Ritorno al futuro", "Buckaroo Banzai", "Akira", "Il gigante di ferro"...); altri ancora sono citati per nome di sfuggita (la "santa granata" dei Monty Python, "Bill & Ted's excellent adventure", "Dark Crystal", Superman, Batman, "Star Trek", "Star Wars", Chucky...); e altri, infine, sono lasciati alla capacità del pubblico di riconoscerli (la "Guida galattica per autostoppisti", "La febbre del sabato sera", "Alien", la formula magica di "Excalibur", Dungeons & Dragons, "Street Fighter"...). Al punto che mi chiedo, francamente, quanto un adolescente di oggi possa apprezzare appieno la pellicola (mi ero chiesto lo stesso con un altro bel film sui videoogiochi vintage, ovvero il disneyano "Ralph Spaccatutto"). Gran parte del film è ambientato in un mondo virtuale, e dunque ricostruito al computer con un profluvio di effetti visivi e speciali, come se fosse una pellicola d'animazione: e come spettacolo puro è sicuramente efficace, anche se il rischio di uscire dalla sala frastornati e con il mal di testa non è certo basso (a me è capitato!). Quanto al mondo reale, nel cast si riconoscono Ben Mendelsohn (il "cattivo" Nolan Sorrento) e Simon Pegg (Ogden Morrow, il socio di Halliday).
5 commenti:
Anche io recensito oggi, gli ho dato idealmente un voto un po' più alto.
Per me è un classicone già pronto, nel senso che nasce per essere classico (anche grazie soprattutto a Spielberg, unico che poteva imbarcarsi in una cosa similare...).
Sul target: credo che ormai anche i ragazzi di oggi sano spinti verso quel mitico calderone pop (un po' modaiolo, ma se ri/porta certi prodotti ben venga).
Moz-
Intendiamoci, l'ho trovato un film assai gradevole e mi sono divertito parecchio (più di quanto mi aspettavo) a vederlo, ma la sua maggior ragione d'essere sta nell'aspetto citazionista e derivativo. Di per sé non è che abbia una trama così dirompente o personaggi memorabili (anzi, sono molto stereotipati). Per diventare un classico come i tanti titoli che lui stesso cita, gli manca qualcosa di originale...
Il che ci porta alla questione del target. Per apprezzarlo appieno, bisogna conoscere o "aver vissuto" gran parte dei riferimenti culturali. Certo, molti dei giovani spettatori sapranno che è esistita una consolle chiamata Atari 2600, ma solo chi (come me, e immagino anche tu) ha giocato in quegli anni ad "Adventure" avrà provato le stesse emozioni nel rivederlo sullo schermo. E lo stesso vale per tante altre cose. Secondo me, il masssimo per gustarselo è essere nati attorno al 1970 (anno più anno meno) e aver giocato, visto film o letto fumetti negli anni ottanta.
Eheh, e allora sono fuori target, essendo nato negli 80's XD
Guarda, l'originalità (spielberghiana del caso specifico, non generale) per me sta nel film in sé, nel fatto che si riviva Shining, ci siano mostri noti e tutto il resto. Qualcosa di comunque già visto (vedi Pixels) ma che qui "resta" di più.
Oh, poi comunque io mi sono gasato per l'Hadoken e il sommersault kick presi da Street Fighter, per dire^^
Moz-
In fondo hai ragione anche tu, dentro c'è talmente tanta roba da soddisfare i nerd di ogni età. Io, oltre che per "Adventure" (e per "Shining", certo! ^^) mi sono gasato particolarmente per la citazione di "Bill & Ted", per la Santa Granata e per la formula magica di "Excalibur". :)
Però resto convinto che, spogliandolo dell'aspetto citazionista rimarrebbe poca cosa. Comunque divertente, sì, ma non un film che meriterebbe di essere citato a sua volta da un suo omologo.
Diciamo che tra i film citazionistici è sicuramente quello che -vuoi per budget, vuoi per i nomi coinvolti- è già classico del genere.
Ma penso che il merito sia di Spielberg stesso, che ci sa davvero fare in questi ambiti...
Moz-
Posta un commento