I soliti sospetti (Bryan Singer, 1995)
I soliti sospetti (The Usual Suspects)
di Bryan Singer – USA 1995
con Gabriel Byrne, Kevin Spacey
***1/2
Rivisto in DVD.
Cinque criminali di piccolo calibro, sospettati di aver rapinato un camion di fucili, vengono arrestati dalla polizia di New York per un "confronto all'americana". Dopo aver stretto amicizia in cella ed essere stati rilasciati, i cinque – l'ex poliziotto corrotto Dean Keaton (Gabriel Byrne), i ricettatori Ray McManus (Stephen Baldwin) e Fenster (Benicio del Toro), lo scassinatore Todd Hockney (Kevin Pollak) e il truffatore "Verbal" Kint (Kevin Spacey) – decidono di mettersi a lavorare insieme. E in seguito a un paio di colpi, vengono contattati dal misterioso avvocato Kobayashi (Pete Postlethwaite) per eseguire un pericoloso incarico (recuperare una partita di droga al molo di San Pedro, in California) per conto del leggendario e "diabolico" gangster Keyser Söze, la cui vera identità nessuno conosce. Il secondo film di Bryan Singer (e dell'amico sceneggiatore Christopher McQuarrie) è sicuramente il suo capolavoro: un noir complesso e d'atmosfera, costruito sui flashback e sul montaggio (la prima scena del film anticipa in realtà il finale, e l'intera vicenda è poi raccontata da "Verbal" ai poliziotti Kujan (Chazz Palminteri) e Rabin (Dan Hedaya) nel corso di un interrogatorio), ricco di misteri e di colpi di scena che ingannano non solo i personaggi ma lo spettatore stesso. Il plot twist finale, con lo svelamento della reale identità di Keyser Söze, è talmente da manuale da essere diventato l'elemento più iconico della pellicola stessa, un segreto da proteggere con cura nei confronti di chi non l'ha ancora vista (e come tale, non ne farò accenno in questa recensione), al pari di colpi di scena di analoga vastità in lungometraggi come "Il sesto senso", "La moglie del soldato" o "Testimone d'accusa". Però, proprio come la rivelazione di Rosabella in "Quarto potere", esso non solo non pregiudica una seconda visione del film, ma anzi l'arricchisce, permettendo di godere ancora di più della maestria di sceneggiatore e regista. Azzardo addirittura che una seconda visione, conoscendo già il segreto di Keyser Söze, rende il film ancora più bello: non si rimane spersi fra red herring, personaggi e sottotrame che non portano da nessuna parte, e si apprezzano invece le tracce che già da subito puntavano nella giusta direzione (come i riferimenti al diavolo nei dialoghi, e ovviamente nell'iconografia, in relazione a un particolare personaggio). I tanti, troppi particolari che vengono dati in pasto allo spettatore acquistano poi maggiore o minore importanza quando ci si rende conto che la pellicola utilizza il trucco del "narratore inaffidabile": come in "Rashomon", non sempre quello che la macchina da presa ci mostra sullo schermo è veramente ciò che è accaduto. "La beffa piu grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste", è la frase chiave. A concorrere alla riuscita di quello che ormai è un grande classico contribuiscono, oltre che la regia, la sceneggiatura e il montaggio (di John Ottman, anche autore dello splendido tema musicale), la straordinaria prova degli attori: Spacey (che nello stesso anno conquistò le platee anche in "Seven") vinse l'Oscar come miglior attore non protagonista; ma anche Byrne, Palminteri, Baldwin e Del Toro si confermano dei fuoriclasse, per non parlare di Postlethwaite, le cui particolari fattezze – tutt'altro che giapponesi, comunque (e ovviamente!) – caratterizzano il personaggio di Kobayashi. Il cast è completato da Suzy Amis, Giancarlo Esposito, Clark Gregg e Peter Greene. Oscar anche per McQuarrie. Il titolo è una citazione da "Casablanca" ("Round up the usual suspects", diceva Claude Rains).
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