La forma dell'acqua (Guillermo del Toro, 2017)
La forma dell'acqua (The Shape of Water)
di Guillermo del Toro – USA 2017
con Sally Hawkins, Michael Shannon
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Visto al cinema Colosseo, con Giovanni e Sabrina.
A Baltimora, nei primi anni sessanta, l'umile, muta e sognante Elisa (Sally Hawkins) lavora come addetta alle pulizie nel laboratorio scientifico-militare dove è tenuta prigioniera una stupefacente creatura anfibia, catturata in Sudamerica dove era adorata dagli indios come un dio. Pur essendo entrambi privi della parola, i due entreranno in contatto e si innamoreranno. E la ragazza lo aiuterà a fuggire e a recuperare la libertà. Una fiaba romantica, fantastica e vintage, che illustra come superare le barriere dell'incomunicabilità e della solitudine: attraverso l'empatia e l'amore (anche se i primi approcci avvengono per mezzo del cibo e della musica, e l'acqua rimane un elemento che avvolge tutto e accomuna in più punti di due protagonisti). Con una trama forse non originalissima (chi ha detto "Free Willy"?) ma comunque ricca di spunti, e uno stile che ricorda "Il fantastico mondo di Amelie" e i lavori di Tim Burton (ma superiore a entrambi, visto che riesce ad evitare tutte le trappole della melassa o della retorica), Del Toro realizza una sorta di sequel non ufficiale de "Il mostro della laguna nera", il classico monster movie degli anni cinquanta di cui il regista è un fan sin dall'infanzia (e in effetti, per un breve periodo, è stato in trattativa con la Universal per realizzare proprio un remake di quel titolo), immaginando che la storia d'amore fra la bella e la bestia vada a buon fine. Proprio l'ambientazione temporale – siamo in piena guerra fredda (si citano i missili su Cuba e il primo uomo nello spazio, permettendoci di collocare la vicenda nel 1962 o subito dopo: e in effetti gli scienziati vogliono studiare il mostro nella speranza di scoprire qualcosa che consenta di vincere la corsa allo spazio con i sovietici, fino ad allora in vantaggio; nel cinema sotto la casa di Elisa si proiettano "La storia di Ruth" (1960) e "Martedì grasso" (1958), ma non è detto che siano prime visioni) – viene usata in più modi: come collegamento metafilmico al materiale di ispirazione ("Il mostro della laguna nera", appunto), come ausilio alla caratterizzazione dei personaggi, come sorgente di spunti narrativi, ma anche come elemento estetico e creativo (i colori, la musica, la cultura di quell'epoca, con tutte le sue ingenuità e contraddizioni). Da segnalare anche la sequenza onirica in cui Elisa e il mostro ballano sul set di un musical cinematografico (in bianco e nero), un omaggio a "Seguendo la flotta" con Fred Astaire e Ginger Rogers (la canzone è "You'll Never Know" di Alice Faye). Ma le citazioni cinefile sono numerosissime (oltre a quelle già citate, Giles guarda in televisione film con Shirley Temple, Betty Grable... e Ed il mulo parlante), anche indirette (le scarpette rosse di Elisa) o autoreferenziali (Del Toro aveva già ritratto una creatura anfibia in "Hellboy").
L'amore, l'emarginazione, la solitudine e le apparenze (umane o meno) sono temi che caratterizzano, nel bene o nel male, tutti i personaggi: da Giles (Richard Jenkins), anziano pittore gay e vicino di casa di Elisa, innamorato di un giovane barista e che deve lottare con i pregiudizi (i suoi e degli altri), a Zelda (Octavia Spencer), logorroica collega di Elisa, persona marginalizzata e "invisibile" per eccellenza negli Stati Uniti di quel periodo (donna, nera, povera); dal colonnello Strickland (Michael Shannon), che dirige la base con il pugno di ferro, quanto mai conformista in un periodo in cui ogni devianza era vista con sospetto (e infatti la sua famiglia, la sua casa, la sua automobile sembrano uscite da brochure pubblicitarie di quegli anni), a Bob/Dimitri (Michael Stuhlbarg), la spia russa infiltrata fra gli scienziati, che aiuta Eliza a far fuggire il mostro dal laboratorio. Oltre che romantica, la pellicola è nostalgica, emozionante e coinvolgente, ma mai melensa (anzi, non si tira indietro di fronte ad argomenti come il sesso – uno degli elementi che ci parlano della solitudine di Elisa è il suo rituale di masturbazione mattutino, naturalmente nella vasca piena d'acqua: quella stessa vasca dove farà poi l'amore per la prima volta con la creatura; per il "cattivo" Strickland, invece, il sesso è un atto di dominazione e di controllo, tanto che tappa la bocca alla moglie mentre fanno l'amore, e manifesta interesse anche per Elisa solo perché è muta). E non mancano brevi tocchi di gore (le dita staccate di Strickland, il cui andare in cancrena simboleggia la caduta progressiva dell'uomo verso il baratro; il gatto divorato), per ricordarci che si tratta comunque di un film per adulti. Certo, l'idea che anche un laboratorio segreto come quello in cui è custodito il mostro abbia bisogno di addetti alle pulizie è al tempo stesso realistica e da nerd (ricorda la discussione in "Clerks" sugli operai impiegati nella costruzione della Morte Nera). Nonostante un cast di nomi poco noti (sotto il costume della creatura anfibia si cela Doug Jones, habitué per personaggi simili nei film di Del Toro), il film ha riscosso un enorme successo di critica, vincendo a sorpresa il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia (dove raramente vengono premiati film di genere) e conquistando ben tredici nomination agli Oscar (mi resta il sospetto che, se fosse uscito negli anni ottanta, se le sarebbe sognate): l'unico lavoro di Del Toro ad avere in precedenza ricevuto un tale riscontro critico era stato "Il labirinto del fauno" nel 2007 (che vinse tre Oscar sui sei nomination). Fondamentale la fotografia di Dan Laustsen, che dona una suggestione acquatica a ogni scena (anche nella scelta dei colori, persino per l'automobile di Strickland!), così come la colonna sonora di Alexandre Desplat.
7 commenti:
Nonostante il mio grande amore per tutto quello che è acquatico, con le sue infinite sfumature e rimandi al mondo dell'inconscio, questo film non mi ha emozionato, vista la sua prevedibilità e la netta divisione tra buoni e cattivi, perdenti che alla fine vincono e dominanti che fanno la figura di inetti... Quello che mi è piaciuto di più è l'atmosfera dei due appartamenti posti sopra il vecchio cinema. Può il tutto essere visto come una estensione della magia del cinema? Il vero film memorabile di Benicio Del Toro rimane per me "Il labirinto del Fauno", vero capolavoro in cui l'immaginario si mescola alla dura realtà del franchismo.
Sicuramente il film offre numerose suggestioni "cinefile" (molte delle quali citate nella mia recensione), e quella del cinema è una delle tante "magie" di cui si nutre (anzi, forse l'elemento nostalgico-cinefilo è il vero motivo per cui ha riscosso un tale successo critico, accodandosi in questo ai vari "The artist" e "La la land" degli anni precedenti). Però cresco che il film sia valido anche semplicemente come fiaba romantica, al di là di ogni sovrastruttura: è vero, il suo messaggio è abbastanza semplice, ma di emozioni ne offre se ci si lascia coinvolgere (chi non si è mai sentito un "mostro" o un reietto?). Concordo comunque sul fatto che "Il labirinto del fauno" rimane il film migliore e più interessante di Del Toro, anche a livello simbolico.
Ops! mi accorgo che mi è scappato un grosso lapsus sul nome del regista: è Guillermo Del Toro e non Benicio, ovviamente!
Non preoccuparti, confondere Guillermo con Benicio è un lapsus molto comune... C'è caduto persino qualche "critico" cinematografico professionista! :)
A quamto ne so, i due non sono imparentati.
Sono uscito dalla sala con gli occhi a cuoricione. Ho avuto la mia storia d'amore, quest'anno.
È un film davvero (ed essenzialmente) romantico. Spesso nelle pellicole di genere fantastico, la storia d'amore è solo un accessorio: qui, invece, è il fulcro di tutto! :)
Aggiornamento Oscar: "La forma dell'acqua" ha vinto la statuetta per il miglior film. Inoltre ha conquistato i premi per il miglior regista (Del Toro), la scenografia e la colonna sonora, risultando così il film più premiato di questa edizione con 4 statuette.
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