Spider-Man: Homecoming (Jon Watts, 2017)
Spider-Man: Homecoming (id.)
di Jon Watts – USA 2017
con Tom Holland, Michael Keaton
**1/2
Visto al cinema Colosseo.
Dopo la popolare versione di Sam Raimi (tre film dal 2002 al 2007) e quella fallimentare di Marc Webb (due film nel 2012 e 2014), questo è il terzo reboot in quindici anni per l'Uomo Ragno (chiamato ormai in pianta stabile con il nome originale Spider-Man per questioni di marketing). E si tratta di un "ritorno a casa" in tutti i sensi, visto che il personaggio viene inglobato definitivamente nell'Universo Cinematico Marvel, dopo la comparsata già fatta in "Captain America: Civil War" (di cui rivediamo alcune scene dal punto di vista di Peter Parker... o meglio, della sua videocamera nascosta: un rimando all'abitudine che il personaggio ha, nei fumetti, di scattare foto di sé stesso mentre è in azione). Il film è infatti realizzato interamente, dal punto di vista creativo, dai Marvel Studios, che non perdono l'occasione per legarlo a doppio filo con le pellicole degli Avengers (l'arsenale dei cattivi ha origine dalla tecnologia aliena rimasta sulla Terra dopo la battaglia del primo film dei Vendicatori), come dimostrano le partecipazioni di Tony Stark/Iron Man (Robert Downey Jr.), Happy Hogan (Jon Favreau), Pepper Potts (Gwyneth Paltrow) e Captain America (Chris Evans, in una serie di buffi video motivazionali per le scuole, uno dei quali rappresenta l'easter egg dopo i titoli di coda). Le aspirazioni del giovane Peter Parker/Spider-Man (di cui ci viene risparmiata l'origine: tanto tutti la conoscono) per l'intera pellicola, in effetti, sono proprio quelle di entrare a far parte in pianta stabile del potente gruppo di supereroi fondato da Stark (il quale gli ha procurato il costume high-tech che sfoggia). E più che una lezione sulla responsabilità, per una volta la sua è una lezione sull'umiltà (il fatto che gli venga impartita, sia pure inconsapevolmente, da un mentore arrogante come Tony è ironico ma significativo). Peter aprà infatti imparare a mantenere i piedi per terra, accettando il suo ruolo di eroe "piccolo" ed urbano, di "amichevole Uomo Ragno di quartiere" ("friendly neighborhood Spider-Man", recitava uno dei versi della canzone degli anni sessanta, il cui tema si può udire all'inizio del film). Se la pellicola è realizzata dalla Marvel (ovvero dalla Disney), i diritti cinematografici del personaggio restano però in mano alla Sony, che attraverso la Columbia ci ha messo i soldi: è un caso più unico che raro di collaborazione fra due major hollywoodiane. Insolito anche l'accordo per la ripartizione dei ricavi: a Sony/Columbia andranno gli incassi in sala, a Disney/Marvel quelli del merchandising. Inutile dire che entrambi si prevedono copiosi.
A livello di contenuti, il film mi è parso il più fedele allo spirito (se non alla lettera) del fumetto originale di Stan Lee e Steve Ditko, di cui riprende quasi tutti gli elementi fondanti e caratteristici, attualizzandoli certo agli anni Duemila ma senza tradirli (come aveva fatto Raimi) o banalizzarli (come aveva fatto Webb). Innanzitutto l'ambientazione scolastica, che si riflette nella giovane età del personaggio, forse lo Spider-Man più giovane mai visto sullo schermo. Peter ha quindici anni, ama la scienza, è un nerd (magnifiche le sue t-shirt con battute su fisica e chimica), isolato e deriso dai compagni di classe più integrati (come Flash), che ha l'unico amico nel grassottello Ned (Jacob Batalon). La sua crescita è tutta interiore, i suoi problemi sono quelli di molti adolescenti, e per fortuna, nonostante la leggerezza e la vena scanzonata (il film è quasi una commedia), siamo ben lontani dalle storture cool e young adult della precedente versione (i due "Amazing Spider-Man" rimangono fra i peggiori film sul personaggio mai realizzati). Si respira il senso di novità, come nelle primissime storie di Ditko. Il Peter interpretato da Tom Holland (una ventata di aria fresca, dopo l'antipatico Tobey Maguire e il pessimo Andrew Garfield) è credibile, timido e impacciato ma pieno di energia e di passione, insicuro di sé ma sfrontato quando serve, diviso in due sotto ogni aspetto (la ragazza che ama, Liz, è una fan di Spider-Man, al punto da essere tentato di rivelarle la sua vera identità). E quando serve, sa compiere le decisioni giuste, anche a costo di sacrificare la propria felicità personale. Forse i puristi storceranno il naso per il casting che stravolge aspetto, etnia, età e ruolo narrativo di tanti celebri comprimari dei comics, da Ned, appunto, al bullo Flash, da Liz (Laura Harrier, il primo amore di Peter) a Betty, e persino a una zia May (interpretata da Marisa Tomei) che, come avevamo già visto in "Civil War", è ben più giovane e in salute della vecchietta decrepita dei fumetti; ma io non ci vedo nulla di male, anzi. E comunque, il fatto che i cognomi Leeds, Allan e Thompson non vengano mai citati (per non parlare del mini-twist a proposito di un'altra compagna di classe, Michelle) potrebbe permettere in futuro di reintrodurne versioni più canoniche. Qui, se non altro, la mancanza del cognome Allan consente il discreto colpo di scena sull'identità del padre di Liz.
A proposito, non ho parlato finora del villain della pellicola. Si tratta di Adrian Toomes, alias l'Avvoltoio, in una versione anch'essa high-tech (le sue ali sono il frutto della tecnologia aliena di cui sopra), interpretato da un brillante Michael Keaton – di ritorno ai supereroi alati dopo "Birdman" – che dona al personaggio sfaccettature e umanità presenti raramente (o solo in parte) nella sua versione fumettistica (vedi anche la scena finale in prigione). I cineasti hanno giustamente preferito non ricorrere ai nemici dell'Uomo Ragno che si erano già visti nei film precedenti (Goblin, Doc Ock, Venom, Lizard, Electro, ecc.), anche se tecnicamente si tratta di un altro universo e dunque non ci sarebbero state controindicazioni a usarli. Per loro, probabilmente, basterà aspettare qualche anno. Della banda guidata dall'Avvoltoio, comunque, fanno parte (in versioni rivedute e corrette) anche Shocker (sono due gli uomini che si danno il cambio sotto questo nome), lo Scorpione/Mac Gargan e il Riparatore/Phineas Mason (anche se all'inizio, visto che tutti facevano parte di un team impegnato in lavori edili, quasi mi aspettavo che si trattasse della Squadra di Demolizione). Solo i più accaniti fan dei comics riconosceranno invece nel ladruncolo Aaron Davis (Donald Glover) lo zio di Miles Morales, lo Spider-Man alternativo e afro-ispanico. E a proposito di strizzatine d'occhio, la sequenza in cui Peter rimane intrappolato sotto un enorme cumulo di macerie e deve ricorrere a tutta la sua forza di volontà per venirne fuori fa riferimento ad alcune amatissime pagine disegnate da Steve Ditko nel 1966 (nel numero 33 di "Amazing Spider-Man", per la precisione). Fra le scene che mi hanno convinto meno, quella davvero implausibile del traghetto diviso in due, anche se consente la gag del passeggero che per un breve attimo applaude Spider-Man, prima di cambiare idea (il fatto che l'Uomo Ragno fosse benvoluto dai newyorkesi era uno degli aspetti che meno ho amato nei film di Raimi: qui, per fortuna, l'eroe è temuto o al limite snobbato dall'opinione pubblica). Divertente invece la sequenza (anch'essa mutuata dai comics) di Spider-Man come un pesce fuor d'acqua nei quartieri periferici della città, dove mancano i grattacieli ai quali attaccarsi con la ragnatela. Come sempre, al cinema molti scoprono con estrema facilità la vera identità di Peter (qui Ned, Toomes e, proprio alla fine, zia May). Ma a parte questi piccoli dettagli, siamo di fronte a uno dei più soddisfacenti (e divertenti) adattamenti di un personaggio così iconico e popolare. Il film introduce nel MCU anche il Damage Control. Stan Lee appare nel suo consueto cameo come uno dei vicini alla finestra che si lamentano di Spider-Man.
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