Cannes e dintorni 2017 - conclusioni
Una rassegna di basso livello e con pochi guizzi, quella che si è appena conclusa. Si salvano, com'era prevedibile, i lavori di Zvyagintsev (forse il migliore) e Haneke, peraltro accomunati dal tema del disagio e dagli echi "politici" e pessimisti. Note di merito anche a "The rider", "Patty Cake$", "Nothingwood" e "Il mio Godard" (ebbene sì, sono uno dei pochi a cui il film di Hazanavicius non è dispiaciuto: forse perché non mi sono fatto problemi a vedere dissacrata e presa in giro l'icona della Nouvelle Vague). Per il resto, poche novità e tanta pretenziosità, soprattutto (come al solito) da parte dei francesi. Visto l'andazzo degli ultimi tempi, ho evitato accuratamente i film italiani. La palma di film peggiore fra quelli visti se la giocano "Bushwick" e "I fantasmi d'Ismael": ma date le ambizioni del film di Desplechin (quello di Netflix non è nulla più che un thriller d'azione), la affibbierei senza alcun dubbio a quest'ultimo. Fra i temi ricorrenti, il mondo dello spettacolo (ben tre titoli con registi come protagonisti: "Il mio Godard", "Nothingwood" e "I fantasmi d'Ismael"; due sulla musica: "How to talk to girls at parties" e "Patty Cake$"; e uno sul rodeo: "The rider") e le famiglie separate o in frantumi (da "Happy end" a "Loveless", passando per "L'amant d'un jour" e "Patty Cake$"). E poi la malattia ("The rider" e "120 battiti al minuto" su tutti).
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