24 maggio 2017

Chinatown (Roman Polanski, 1974)

Chinatown (id.)
di Roman Polanski – USA 1974
con Jack Nicholson, Faye Dunaway
***1/2

Rivisto in divx.

Los Angeles, anni trenta: il detective privato Jake Gittes (Jack Nicholson) è assunto per indagare sulle scappatelle extraconiugali di Hollis Mulwray, ingegnere capo del dipartimento delle acque della contea. Le fotografie vengono poi usate per screditare l'uomo sui giornali, portandolo al "suicidio". Ma quando Gittes scopre che la donna che l'aveva assunto non era la vera moglie dell'ingegnere ma qualcuno che si spacciava per lei, decide di indagare per proprio conto. Attraverso una ragnatela di indizi, porterà alla luce un intrigo di speculazioni territoriali, corruzione politica e – soprattutto – torbidi segreti familiari. L'ultimo film girato a Hollywood da Polanski è un celebrato noir che recupera in parte le atmosfere dei classici hard boiled alla Raymond Chandler, aggiornandole all'era della disillusione e dell'amarezza degli anni settanta (quelli dello scandalo Watergate e della Guerra del Vietnam). Scritto da Robert Towne e interpretato magistralmente da Nicholson (nei panni di un occhio privato cinico ma idealista, elegantemente impeccabile e pieno di risorse: memorabile la trovata degli orologi posizionati sotto le ruote delle auto pedinate), da Faye Dunaway (Evelyn, la vera moglie di Mulwray, personaggio ambiguo e dal passato pieno di ombre) e del grande John Huston (assai convincente nel ruolo del patriarca Noah Cross), il film si svolge durante un'estate assolata in una Los Angeles sconvolta dalla siccità. Polanski si ritaglia per sé stesso la piccola parte dell'uomo che sfregia Nicholson al naso con il coltello. Nonostante il titolo, soltanto gli ultimi minuti della pellicola sono ambientati effettivamente nel quartiere cinese della città: ma Chinatown (dove sia Jake che il tenente Lou Escobar, che conduce l'indagine ufficiale sulla morte di Mulwray, hanno lavorato quando erano colleghi) per l'intero film è una metafora, il simbolo dell'impotenza della legge, il territorio dove vigono regole del tutto particolari e dove è inutile anche solo pensare di poter fare giustizia. Celeberrima, a questo proposito, la frase che chiude la pellicola: "Lascia stare, Jake. È Chinatown". E infatti, anche se l'indagine di Gittes va a buon fine e tutto viene alla luce, la sua alla resa dei conti è una sconfitta (da notare che la conclusione fu cambiata da Polanski: lo script originale di Towne prevedeva un relativo lieto fine). Affascinante l'atmosfera d'epoca, già a partire dai titoli di testa in stile retrò, ricostruita grazie anche alla colonna sonora (a base di jazz nostalgico) di Jerry Goldsmith. Nel 1990 Nicholson stesso si dirigerà in un sequel, "Il grande inganno".

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