3 maggio 2017

Big Man Japan (Hitoshi Matsumoto, 2007)

Big Man Japan (Dai-nipponjin)
di Hitoshi Matsumoto – Giappone 2007
con Hitoshi Matsumoto, UA [Kaori Shima]
**

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

Masaru (Matsumoto) appartiene a una famiglia i cui membri sono in grado di diventare "giganti" alti 30 metri se sottoposti a scariche elettriche ad alto voltaggio, e che da generazioni combattono, come veri e propri supereroi, i malvagi mostri che terrorizzano il Giappone. La popolazione, che è al corrente della loro esistenza, ne segue le imprese in tv come se si trattasse di lottatori di wrestling. Masaru, in particolare, è noto con il nome "Il re del dolore". Opera prima del folle comico Hitoshi Matsumoto (autore poi di "Symbol", uno dei film più assurdi che abbia mai visto), la pellicola è girata in gran parte sotto forma di mockumentary, con un intervistatore (che non vediamo mai in volto) intento a seguire il protagonista nella sua vita di tutti i giorni, indagando i suoi sentimenti e intervistando, oltre a lui, le persone che gli stanno accanto: parenti, vicini di casa, la manager (che gli procura gli sponsor i cui marchi esibisce sul corpo durante i combattimenti), ecc. L'attenzione si sposta così su problemi come il rapporto con la figlia, le questioni economiche legate al suo lavoro, e così via... Ne risulta un bizzarro e originale omaggio al filone dei film sui kaiju (mostri giganti, tipo Godzilla) e ai tokusatsu (le pellicole con effetti speciali, di solito supereroistiche), che però punta le sue carte su un umorismo sottotraccia e minimalista, talmente all'insegna del quotidiano e dell'understatement da risultare a tratti finanche noioso. A parte le occasionali scene in cui Masaru si trasforma (di solito recandosi in una centrale elettrica e sottoponendosi a uno strano rito religioso) per poi combattere mostri dai corpi grotteschi e deformi, sbucati fuori da nulla e "richiamati in cielo" dopo essere stati da lui sconfitti, la pellicola si trascina senza regalare particolari emozioni allo spettatore, anche se questi cerca di stare al gioco (condizione peraltro indispensabile per divertirsi). Fa eccezione l'assurdo e brusco finale, che rinuncia di colpo agli effetti digitali per fare ricorso ai più classici attori in costume (come da lunga tradizione del cinema fantastico giapponese), e nel quale Masaru viene aiutato a sconfiggere il suo nemico più forte da un demenziale gruppo di supereroi americani, la famiglia Justice. E qui il film assume decisamente i toni della parodia, né più né meno del "Getting any?" di Takeshi Kitano.

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