26 ottobre 2016

Baci rubati (François Truffaut, 1968)

Baci rubati (Baisers volés)
di François Truffaut – Francia 1968
con Jean-Pierre Léaud, Claude Jade
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Rivisto in DVD.

Riformato dal servizio militare per "instabilità di carattere" (si era arruolato in seguito alla delusione d'amore con Colette), Antoine corteggia la ritrosa Christine (Claude Jade) e si dedica a una serie di mestieri, sempre con scarso successo: guardiano notturno in un albergo, pedinatore per un'agenzia di investigazioni private, commesso in un negozio di scarpe (ma è una copertura, frutto del lavoro precedente) e riparatore di tv a domicilio. Il terzo capitolo delle (dis)avventure di Antoine Doinel, dopo "I quattrocento colpi" e il cortometraggio "Antoine e Colette", è un film episodico e a tratti comico, che Truffaut dirige con leggera svagatezza, in un periodo in cui i cineasti francesi erano "distratti" dall'affaire Langlois (il direttore della Cinémathèque Française, sollevato dal governo dal suo incarico e poi reinsediato in seguito alle forti proteste degli intellettuali: a lui sono dedicate le immagini di apertura). A differenza dell'amico Godard, per il quale il cinema stesso diventa sempre più uno strumento di lotta politica, Truffaut invece sembra voler tenere separato il discorso artistico da quello militante, alienandosi così le simpatie dei critici di sinistra (che lo accusavano di fare pellicoli "borghesi") ma riconquistando coloro che, dopo "Jules e Jim", lo avevano visto allontanarsi da quel delicato discorso sui sentimenti che aveva caratterizzato la prima fase della sua carriera. In effetti, all'apparenza "Baci rubati" è un film romantico (a partire dalla canzone di Jean Trenet "Que reste-t-il de nos amours?", da un cui verso prende il titolo) che prosegue il racconto di un'educazione sentimentale. Antoine, impulsivo e ingenuo, vive nel mondo dei sogni mentre la realtà gli sfugge (quando recita allo specchio il proprio nome e quello delle donne che ama, li ripete ossessivamente finché non perdono di significato). Esemplare l'infatuamento per Fabienne (Delphine Seyrig), la splendida moglie del proprietario del negozio di scarpe (Michel Lonsdale): lui la vede come una creatura irraggiungibile (sembra uscita da "Il giglio della valle" di Balzac), lei cerca inutilmente di metterlo in guardia ("Non sono un'apparizione, sono una donna"). In realtà il film è la cronaca di un passaggio fondamentale: la rinuncia ai sogni di gioventù in favore di un'esistenza banale, insignificante e conformista, come si prospetta il matrimonio con Christine. Come collante della pellicola, ci sono una serie di scenette e di avventure semi-comiche che vanno dallo slapstick al grottesco: il pedinamento del prestigiatore, la reazione del cliente gay (e l'intervento del dentista del piano di sotto per calmarlo), la finta assunzione di Antoine nel negozio di scarpe (con la prova del confezionamento del pacco), i vari pedinamenti incrociati, la dichiarazione finale dello sconosciuto che segue Christine (che pure, nella sua follia, è più accorata e appassionata di quanto sarà mai capace di fare Antoine). E non dimentichiamo gli eventi casuali (la morte del detective), significativi (le visite alle prostitute, con le quali Antoine sfoga il desiderio sessuale represso dai continui rifiuti di Christine) o apparentemente insignificanti (gli incontri con personaggi del passato, quali la stessa Colette con marito e neonata, o l'amico sceneggiatore fallito) che contribuiscono al flusso quotidiano della vita. Da notare che uno dei libri che Antoine legge mentre lavora all'albergo è "La sirène du Mississipi" di William Irish, dal quale Truffaut trarrà il suo film successivo (in italiano "La mia droga si chiama Julie").

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