La leggenda del pianista sull'oceano (G. Tornatore, 1998)
La leggenda del pianista sull'oceano
di Giuseppe Tornatore – Italia/USA 1998
con Tim Roth, Pruitt Taylor Vince
**1/2
Visto in TV, con Sabrina.
Nato nei primi giorni del ventesimo secolo e abbandonato ancora in fasce su un transatlantico in servizio fra l’Europa e l’America, Danny Boodman T. D. Lemon Novecento – come viene battezzato dal macchinista che lo adotta (fondendo insieme il suo stesso nome, la scritta sulla scatola che conteneva il neonato e un omaggio al nuovo secolo che stava cominciando) – trascorrerà tutta la propria vita a bordo della nave, senza mai scendere a terra e senza mai farsi registrare all’anagrafe. A bordo si guadagnerà da vivere come pianista: la sua incredibile abilità con la tastiera gli procurerà fama e onori, che però rifuggirà (“La mia musica non va dove non sono io”, risponde al discografico che vorrebbe mettere in commercio un’incisione delle sue esibizioni). Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua storia sarà narrata attraverso una serie di flashback dall'amico Max Tooney, trombettista americano che è convinto che Novecento si trovi ancora a bordo del transatlantico, ormeggiato in un porto inglese e destinato ormai alla demolizione. Tratto da un monologo teatrale di Alessandro Baricco intitolato per l’appunto “Novecento” (ma era francamente impensabile mantenere per la pellicola lo stesso titolo, già usato da Bernardo Bertolucci per il suo epico affresco contadino), il film è una coproduzione italo/americana sontuosa e patinata, con un cast internazionale. A differenza però dei film del citato Bertolucci, che potrebbero essergli paragonati per ambizione, confezione e scala produttiva, quello di Tornatore risulta meno “personale” e più colmo di romanticismo poetico, con poca attenzione al realismo, alla verosimiglianza della narrazione (alcune scene, pur belle e anzi forse le migliori del film, spiccano per l’aspetto “cartoonistico”: si pensi alla “danza” del pianoforte durante la tempesta, o alla sfida virtuosistica con Jelly Roll Morton, “l’inventore del jazz”, quasi una parodia dei duelli western), alla denuncia sociale (il ritratto degli emigranti che vanno a cercare fortuna in America, così come quello della vita a bordo della nave, è fin troppo idilliaco) o alla ricostruzione storica (dei grandi eventi del ventesimo secolo non si fa menzione, se si eccettuano un paio di fugaci riferimenti alla seconda guerra mondiale). E anche il finale, a ben vedere, ha poco senso: dopo che Novecento è rimasto da solo (per anni?) sulla nave in disuso, sceglie di morire lasciandosi esplodere insieme a essa perché ha capito che non potrebbe mai adattarsi alla vita sulla terraferma (“La terra è una nave troppo grande per me”): ma perché non trasferirsi semplicemente su un’altra imbarcazione? In ogni caso, non è sul piano del realismo che andrebbe giudicato un film che è prima di tutto una fiaba e poi una metafora della vita attraverso i temi del viaggio e dell’arte. E da questo punto di vista non delude, anche se in fondo la sua ragion d’essere risiede più nella confezione che nei contenuti: da sottolineare a questo proposito la fotografia, le scenografie e soprattutto la colonna sonora di Ennio Morricone, con un tema principale (quello che Novecento si fa ispirare dalla visione di una bella ragazza, interpretata dall’attrice francese Mélanie Thierry) semplice e dolce.
9 commenti:
Non lo vedo da tempo, ma ricordo che mi era piaciuto molto, anche perché all'epoca guardavo praticamente ogni film che avesse come protagonista il mio amato Tim Roth.
Invece non ho mai letto il libro di Baricco, che ho sempre intenzione di recuperare, prima o poi.
Anch'io non ho letto il testo di Baricco (né altre cose sue). Il film non mi è dispiaciuto, ma più per alcune singole scene (come il "duello" con il pianista jazz) che per l'insieme. Roth comunque è bravo, ha uno sguardo malinconico e meno "arrogante" del solito.
Christian, se pensi che io l'ho conosciuto con Le iene, direi che qui c'è tanto, tantissimo per cui divertirsi, come certe sue facce stralunate o le battute che fanno perlomeno cadere le braccia. Ho scoperto così Melanie Thierry...
Anch'io ho imparato a conoscerlo con i film di Tarantino ("Le iene" e "Pulp Fiction"... e poi purtroppo anche "Four Rooms"), ma dopo ho recuperato gioiellini davvero preziosi come "Rosencrantz e Guilderstern sono morti" (dove recitava in coppia con Gary Oldman) e "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante" di Greenaway. Negli anni novanta ha fatto diversi film interessanti, di recente invece l'ho un po' perso di vista (a parte "Un'altra giovinezza" di Coppola e la parte da cattivo nel reboot di "Hulk").
Ho registrato Un'altra giovinezza, mentre Rosencrantz l'ho trovato noioso, anche se l'ho inseguito per un decennio. E' che io non ho una formazione classica, e Shakespeare è troppo lontano dalla mia cultura. Dai film per pochi al mainstream, cosa confermata da Lie to me, come per tanti.
Beh, ROsencrantz e Guildestern sono morti partono da Shakespeare ma poi passano a tutt'altro in poco tempo, si può apprezzare anche senza conoscere/amare il Bardo.
Detto ciò condivido molto l'opinione su La leggenda, confezione fantastica per un film che alla fin fine è una fiaba che pretende di essere dotta, ma poi rimane superficiale... che è un pò la descrizione dello stile di Baricco (che conosco per alcuni libri, ma non 900)
Grazie Lakehurst, la precisazione permette di tenere d'occhio la programmazione tv.
Io Roth lo adoro comunque. Il film all'epoca mi colpì molto, forse perché ero più ragazzina e più sognante. Poi ovviamente con gli anni e le successive visioni sono giunta alle tue medesime conclusioni, fermo restando che comunque si tratta di una bella favola.
Ale55andra
Siamo d'accordo, resta una visione piacevole, anche se a ben guardare senza troppo spessore. Ma le cose buone non mancano, da Roth alla colonna sonora di Morricone.
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