28 luglio 2012

Barbarossa (Akira Kurosawa, 1965)

Barbarossa (Akahige)
di Akira Kurosawa – Giappone 1965
con Yuzo Kayama, Toshiro Mifune
***

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli.

Siamo ai primi dell'ottocento: l'orgoglioso e giovane medico Yasumoto, che ha appena completato gli studi e ambisce a diventare un importante dottore alla corte imperiale, deve trascorrere controvoglia un periodo di tirocinio in un ospedale pubblico di Edo. La struttura, quasi un lazzaretto riservato ai malati più poveri o considerati incurabili, è gestita con il pugno di ferro e metodi fuori dall'ordinario dal primario Kyojo Niide, chiamato da tutti "Barbarossa" per via della folta barba rossiccia (lui stesso si presenta con questo nome). Inizialmente ostile al superiore e deciso a non sottomettersi alle sue "bizzarrie", col tempo Yasumoto si rende conto che dietro l'apparente arroganza di questi si cela un uomo che opera con disinteresse, abnegazione e sensibilità, le cui azioni sono tutte indirizzate verso l'obiettivo ultimo di aiutare la gente (anche e soprattutto i disperati o quelli che non possono pagare le cure), e che le regole da lui imposte nella struttura (come l'obbligo per i medici di indossare un'umile e ruvida divisa) sono basate sul puro buon senso. Convinto che "la medicina non appartiene a nessuno: è del popolo" (Yasumoto gli è prezioso anche perché a Nagasaki ha avuto accesso ai trattati dei dottori olandesi: all'epoca la conoscenza della medicina occidentale non era liberamente diffusa), e che "dietro le malattie c'è la povertà, l'ignoranza e l'infelicità", Barbarossa – che spesso si comporta più da psicologo che da medico: "visita i corpi degli ammalati ma al contempo si avvicina alla loro anima" – diventa per il giovane apprendista un vero e proprio maestro di vita, aiutandolo a entrare in contatto con gli aspetti fondamentali del suo mestiere (compresa la morte, quando gli impone di assistere un paziente nei suoi ultimi istanti di vita) e a riscoprire l'umiltà e la profonda umanità che alberga in sé stesso, il che gli consentirà di risolvere anche i suoi conflitti personali e di rappacificarsi con la sua famiglia.

Oltre alla vicenda principale, il film (che dura ben tre ore) dedica ampio spazio alle storie collaterali di numerosi pazienti, vittime di terribili esperienze dalle quali non sempre escono vincitori: notevoli, in particolare, gli episodi della "donna mantide", una ragazza fatta segregare dal proprio padre per le sue tendenze omicide, conseguenza dei traumi subiti in passato; dell'anziano Tokusuke, che muore senza poter riabbracciare la figlia e i tre nipotini, vittime a loro volta di una triste vicenda familiare; e del carpentiere Sahachi, che prima di morire racconta l'emozionante storia del suicidio della propria moglie. Ma lo spazio maggiore, quasi l'intera seconda metà del film, è dedicato alla giovane Otoyo (Terumi Niki), una ragazzina schizofrenica che Barbarossa e Yasumoto salvano dal bordello dove veniva sfruttata e maltrattata e accolgono nella clinica, riuscendo faticosamente a ottenere la sua fiducia e a restituirle la speranza e la gioia di vivere. Otoyo stessa (personaggio probabilmente ispirato alla Nelly del romanzo di Dostoevsky "Umiliati e offesi") stringerà poi amicizia con il piccolo Chobo, "il topino", un ladruncolo che ruba cibo dalla cucina dell'ospedale e che per sfuggire alla miseria tenterà il suicidio con la sua intera famiglia. In mezzo a tante storie tragiche, per fortuna non tutte senza lieto fine, risaltano ancora di più gli sforzi di Barbarossa e del suo staff per aiutare gli ammalati e le persone in maggior difficoltà (e, in contrasto, la rudezza con cui il medico tratta i suoi pazienti più ricchi e crapuloni, come il principe Matsudaira). Ultimo film di Kurosawa in bianco e nero, la pellicola – tratta in parte da un romanzo di Shugoro Yamamoto – è parente de "I bassifondi" nel ritrarre gli emarginati e gli strati più poveri della società, all'insegna di un umanesimo che nei lavori del regista nipponico si sposa sempre con l'esistenzialismo. Il lungometraggio segna anche l'ultima collaborazione di Kurosawa con Toshiro Mifune (mettendo fine a un sodalizio che proseguiva ininterrottamente dal 1948, anno de "L'angelo ubriaco", per un totale di 16 film). Il regista non approvò l'interpretazione troppo granitica e solenne data da Mifune al personaggio di Barbarossa, che avrebbe voluto più misurato e "umano", dotato di quell'umiltà e quella modestia tipica di altri "maestri" kurosawiani (dal Kambei de "I sette samurai" a Dersu Uzala): forse ci sarebbe voluto un attore come Takashi Shimura. Mifune, invece, dà vita a un personaggio eroico e sempre sicuro di sé (anche quando si autocritica, sembra che non parli sul serio), che in una sequenza fa persino a pugni e usa le arti marziali contro un gruppo di malviventi. In ogni caso, un character vivace e indimenticabile. I genitori di Yasumoto sono invece interpretati da due classici attori di Ozu e di Mizoguchi: Chishu Ryu e Kinuyo Tanaka.

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