L'uovo del serpente (I. Bergman, 1977)
L'uovo del serpente (Ormens ägg, aka The Serpent's Egg)
di Ingmar Bergman – USA/Germania 1977
con David Carradine, Liv Ullmann
**
Rivisto in divx, con Marisa.
Siamo a Berlino nel 1923, in piena crisi economica e sociale, un'epoca di paura e confusione. L'inflazione è alle stelle (un pacchetto di sigarette costa quattro miliardi di marchi), la povertà, la disoccupazione e il malcontento pure, e i primi germi del nazismo stanno cominciando a nascere (come nell'uovo del serpente, "attraverso la sottile membrana si intravede già il rettile che si sta formando"). L'acrobata ebreo Abel Rosenberg, alcolizzato e rimasto solo dopo l'inspiegabile suicidio del fratello Max, viene accolto insieme a Manuela (già moglie di suo fratello e ora ballerina in un cabaret nonché prostituta part-time) dall'ambiguo medico Hans Vergerus, che offre loro un appartamento e un lavoro nella propria clinica. Ma scoprirà che la catena di delitti e di suicidi che sta funestando la città è provocata proprio dai folli esperimenti di Vergerus su cavie umane. Sullo sfondo del putsch (fallito) di Hitler a Monaco, Bergman realizza – su richiesta del produttore Dino De Laurentiis e senza troppa ispirazione (si trovava in un momento difficile della propria carriera: aveva problemi con il fisco e soffriva di depressione) – un film inquietante e claustrofobico che fonde in sé diversi elementi senza trovare un pieno equilibrio fra le sue tante anime (si passa dal dramma esistenziale all'inchiesta poliziesca, dalla rappresentazione socio-politica del periodo storico a inutili sottotrame romantiche), con un'ispirazione che guarda a Kafka e a Fritz Lang.
Se alla fine il film riesce a trasmettere la sensazione di paura e di cambiamento che caratterizzava quell'epoca (ma forse prendendosi qualche libertà: troppe cose sembrano mostrate o dette "con il senno di poi"), fallisce invece sul piano narrativo, complici anche personaggi poco riusciti: il protagonista Abel, in particolare, è troppo elusivo e distante dallo spettatore. Rimangono più impressi i character di contorno, a cominciare dal proto-nazista Vergerus con i suoi crudeli e folli esperimenti (Heinz Bennent), o l'anziana padrona di casa di Manuela (Edith Heerdegen), ma anche il corpulento ispettore di polizia Bauer (interpretato da uno straordinario Gert Fröbe), che cita esplicitamente "M, il mostro di Düsseldorf" quando dice che il suo collega Lohmann sta lavorando a un caso insolito: Lohmann era proprio il nome dell'ispettore del film di Lang, anche se quest'ultimo si svolgeva nel 1931. Un po' ridicolo, invece, come tutti i personaggi si sentano in dovere di giustificare il fatto di parlare in inglese (in italiano nella versione tradotta) anziché in tedesco. Da notare che il nome Vergerus era già stato utilizzato da Bergman per un personaggio ne "Il volto" (e tornerà a usarlo in "Fanny e Alexander"). Le scenografie sono di Rolf Zehetbauer, che aveva realizzato anche quelle di "Cabaret" con Liza Minelli: ma i due film, pur ambientati nello stesso paese e nello stesso periodo storico (e parlando in fondo dello stesso argomento), hanno stili e anime profondamente diverse. Più che il cabaret dove si esibisce Manuela, comunque, colpisce il labirintico (e kafkiano) archivio della clinica. Dell'atmosfera generale si ricorderanno forse Steven Soderbergh per "Delitti e segreti" e Lars von Trier in certi passaggi della sua trilogia d'esordio (per esempio ne "L'elemento del crimine" ed "Europa").
2 commenti:
hai ragione, il riferimento a Lang mi era completamente sfuggito: ma è solo perché sto seguendo il percorso di Bergman, e i suoi film di questi anni di Bergman hanno poco o niente. Però è un lavoro "sporco" che darà i suoi frutti, come dice bene lo stesso Bergman in "Immagini". Gran parte di "Fanny e Alexander" viene da qui (da chimico posso dire che è una decantazione, filtrazione, e distillazione...), e hai fatto bene a mettere in risalto il nome dello scenografo, un gran bel lavoro.
Grazie a te per lo stimolo che mi hai dato a rivedere questo film. Non me lo ricordavo per niente, anzi è stato solo durante la visione che mi sono reso conto che anni prima lo avevo già visto.
Posta un commento