E ora dove andiamo? (N. Labaki, 2011)
E ora dove andiamo? (Et maintenant, on va où?)
di Nadine Labaki – Libano/Francia 2011
con Leyla Hakim, Julian Farhat
***1/2
Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).
In un villaggio libanese, circondato dalla guerra e da un campo minato e separato dal resto del mondo da un ponte semidistrutto, la comunità cristiana e quella musulmana riescono miracolosamente a convivere in pace e in amicizia: la chiesa e la moschea si affacciano sulla stessa piazza, gli uomini frequentano lo stesso bar, e le donne si recano insieme al cimitero a piangere i loro figli morti in guerra. Ma l’equilibrio è assai fragile, e l’eco delle rivolte e dei dissidi del mondo esterno rischia di metterlo in discussione: già i primi germi dell’intolleranza religiosa fanno la loro apparizione per dar vita a faide e atti di violenza. Nel tentativo di evitare che la follia divida anche il loro paese, le donne del villaggio fanno davvero di tutto: sabotano l’unico televisore del villaggio affinché non diffonda più notizie che possano scaldare gli animi; assoldano un gruppo di spogliarelliste ucraine perché si stabiliscano nel villaggio per “distrarre” i mariti in modo che pensino ad altro anziché a farsi la guerra; distribuiscono pane e focacce condite con hashish per rendere più saldi i legami di amicizia; nascondono persino la morte di uno dei loro figli pur di evitare un’inutile vendetta; e infine, come ultima risorsa, cambiano religione in modo che in ciascuna casa e in ciascuna famiglia ci sia almeno un rappresentante di una delle due fedi, rendendo impossibile continuare a sentirsi divisi. Nadine Labaki, la regista di “Caramel”, riesce ancora una volta a divertire e a sorprendere con un film corale, colorato e vivace, ma anche sofferto e drammatico, arricchito da canzoni che in certe sequenze lo trasformano in un vero e proprio musical (memorabili la scena iniziale al cimitero e quella della preparazione del cibo drogato). Da paragonare con “La source des femmes” di Radu Mihaileanu, proiettato nella stessa rassegna e dai temi molto simili: tanto quello è un film fasullo, ruffiano e “di plastica”, tanto questo è sincero e pieno di vitalità (oltre a presentare l’amore e il sesso con valenza salvifica e liberatoria, anziché come arma di ricatto e di violenza). Quanto al giudizio complessivo, la pellicola merita mezzo punto in più soltanto per il messaggio che veicola: la vita è più importante della religione.
9 commenti:
...vivo in quelle zone da un pò di tempo e devo dire che il film che tu racconti rispecchia la realtà...le donne sono il valore aggiunto non solo in questo paese ma in molti altri che versano nelle stesse condizioni...è singolare come nel Sud del mondo si ripetano certe dinamiche..soprattuto in quei paese dove la donna ha poco spazio la sua presenza è veramente salvifica...non vedo l'ora di vedere il film...
nickoftime
Vivi da quelle parti? Davvero? ^^
Quello del "valore aggiunto" fornito dalle donne è un po' il filo conduttore non solo di questo film (di cui ti raccomando assolutamente la visione: fra l'altro, dovrebbe uscire quasi sicuramente anche nelle sale italiane perché fra i coproduttori c'è anche l'Italia) ma un po' di tutta questa rassegna di Cannes. Mi pare un buon segno, e sono felice che rispecchi anche la realtà.
si Christian...e prima del Libano ho vissuto anche in Siria...e per esempio sono stato nel punto di confine tra Israele e Siria nel Golan occupato ed in particolare nel famoso shouting point dove sembra di stare a Berlino per la presenza di un muro che divide persone prima abituate a stare insieme...in questo senso La Sposa siriana è un altro bellissimo film...anche lì le donne si ritagliano un ruolo fondamentale per il destino dei loro paesi..
nickoftime
...del Libano ho reperito un pò di film..prima o poi ne darò conto..è una cinematografia piccola ma interessante...grazie per lo spazio ed un saluto
nickoftime
Grazie a te!
Del cinema libanese conosco solo la Labaki (prima "Caramel" e ora questo), e dunque attendo con curiosità altri spunti di interesse... ^^
Aaahh! Mezzo punto per il "messaggio"! Contenutista!!! :D
Sto scherzando. Ma vorrei capire, il taglio del film è surreale?
Non troppo ma un pochino sì, soprattutto nelle sequenze musicali, dove i personaggi cantano o ballano (la regista, d'altrone, si è fatta le ossa proprio con i video musicali). Per il resto, c'è tanta ironia e tanto umorismo ma non al punto da far dimenticare che si sta parlando di questioni "serie". A tratti si respira un'atmosfera un pochino affine a certi film balcanici (Kusturica, Tanovic) o medio-orientali (Suleiman).
Il mortifero integralismo religioso disinnescato da un gruppo di donne semplici ed illuminate.Favola relativista o ecumenico inno alla vita? Forse entrambe. Ma eventuali perplessità riduzionistiche non diminuiscono il valore di un capolavoro in cui lacrima e sorriso si abbracciano nel mezzo di un girotondo panteistico tutto al femminile. Amore, saggezza, sensibilità e pragmatismo di un gineceo narrate con maestria da una regia delicata e poetica ed esaltate da una splendida sceneggiatura. Si consiglia la visione a Ban ki-moon. 4 stelle. Personal cult.
Anche se di parte (la regista è una donna), il film invita davvero a provare come sarebbe il mondo se le donne potessero reggerne le sorti. Il tono è un po' da favola, ma problemi (e soluzioni!) sono concreti.
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