Poetry (Lee Chang-dong, 2010)
Poetry (Shi)
di Lee Chang-dong – Corea del Sud 2010
con Yun Jeong-hie, Lee Da-wit
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Visto al cinema Eliseo.
La vita quotidiana della sessantacinquenne Mija, domestica svampita e badante part-time in una cittadina di provincia, si incrina irrimediabilmente quando scopre che l'irresponsabile nipote Wook (che lei accudisce in quanto la madre, divorziata, vive in un'altra città) ha partecipato al ripetuto stupro di gruppo di una compagna di scuola, Agnes, la quale si è poi suicidata. Se nessuno dei ragazzi sembra provare rimorso per l'accaduto, e se i loro genitori (con la complicità delle autorità scolastiche) si preoccupano soltanto di mettere a tacere lo scandalo e di indennizzare la madre della vittima con una somma di denaro, Mija ne rimane invece profondamente scossa. Incapace di rispecchiarsi nella società arida e indolente che la circonda, e afflitta dalle prime fasi di un morbo di Alzheimer che fa riaffiorare i ricordi dell'infanzia senza riuscire a cancellare i dolori e i turbamenti del presente, la donna trova un antidoto e un conforto nell'amore per la poesia: decide d'impulso di frequentare un corso tenuto da un celebre poeta, comincia ad annotare su un taccuino i pensieri e le sensazioni che le nascono osservando la natura, si introduce in un circolo di appassionati lettori, il tutto nel tentativo di recuperare la bellezza e quell'armonia con il mondo che chi vive attorno a lei sembra invece aver smarrito ("la poesia è agonizzante", lamenta un giovane poeta; ed è emblematica la scena, all'inizio, in cui Mija cerca di raccontare quello che ha visto all'ospedale e nessuno pare interessato ad ascoltarla). Dopo aver donato l'amore a un vecchio avido e paralizzato, aver sistemato le pendenze economiche e aver chiuso i conti con la giustizia (è evidente che sia proprio lei a denunciare il nipote alla polizia), sceglie a sua volta il suicidio, come suggeriscono le belle inquadrature finali e la voce fuori campo che legge la sua poesia e che si trasforma in quella di Agnes (non è solo la regressione infantile dovuta alla malattia, ma un vero e proprio processo di identificazione e di espiazione). Con il suo ritmo lento, come lo scorrere placido del fiume che trasporta il cadavere della ragazza, e un approccio minimalista che scava in profondità nelle ipocrisie e negli egoismi sociali e culturali della Corea moderna, il film racconta il sofferente e consapevole percorso della protagonista e affronta temi e sentimenti come il rimorso, la vergogna e il contrasto fra il desiderio di giustizia per Agnes e la protezione della propria famiglia. Straordinaria la prova di Yoon Jeong-hee, star del cinema coreano degli anni settanta (tornata a recitare dopo quindici anni appositamente su richiesta di Lee) che dà vita a un personaggio sfaccettato e vitale, e ben bilanciate regia e sceneggiatura (quest'ultima premiata a Cannes). È il tipo di film che nelle mani sbagliate poteva naufragare nella retorica e nel sentimentalismo, ma che si tiene miracolosamente in equilibrio fino alla fine. Alcuni spunti ricordano i film precedenti di Lee: il suicidio dal cavalcavia sul fiume (come in "Peppermint Candy") e la crisi di una donna dopo la morte di un adolescente (come in "Secret Sunshine").
3 commenti:
E' un film che con i giorni cresce e fa molto riflettere sulla globalizzazione dell'indifferenza e del cinismo:
Bellissima la figura di Mija e la sua ricerca "poetica" che diventa coraggio di guardare in faccia la malattia, il male morale e la morte proprio come lo sguardo poetico insegna ad andare al nocciolo delle cose e trovare in ogni cosa banalizzata dall'uso quotidiano la vera, intima bellezza.
"È il tipo di film che nelle mani sbagliate poteva naufragare nella retorica e nel sentimentalismo, ma che si tiene miracolosamente in equilibrio fino alla fine"
Concordo e sottoscrivo.
La bellezza del cinema (in cui ci può essere tutto -l'arte- e il contrario di tutto -la morte di una ragazzina-) passa da opere come questa.
Marisa: Sì, anche dopo la visione il film continua a offrire spunti che in un primo momento non si erano colti. D'altronde è il film stesso a invitare a fermarsi un attimo per riflettere sulle cose e non fermarsi all'apparenza e alle banalità.
Eraserhead: Bisogna essere felici che ogni tanto da noi escano ancora (seppur in pochissime sale) film così.
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