24 marzo 2011

La gatta sul tetto che scotta (R. Brooks, 1958)

La gatta sul tetto che scotta (Cat on a hot tin roof)
di Richard Brooks – USA 1958
con Elizabeth Taylor, Paul Newman
***

Rivisto in DVD.

Per ricordare Liz Taylor, scomparsa ieri all'età di 79 anni, ho rivisto uno dei suoi film più famosi, tratto da un dramma teatrale di Tennessee Williams (un autore al quale l'attrice è particolarmente legata, avendo recitato in altri adattamenti cinematografici di suoi lavori: "Improvvisamente l'estate scorsa", "La scogliera dei desideri" e un tv movie da "La dolce ala della giovinezza"). In una ricca tenuta del profondo Sud, l'intera famiglia si raduna per celebrare il compleanno del vecchio patriarca (Burl Ives), appena uscito da una clinica e condannato – a sua insaputa – da un male incurabile. Mentre il figlio maggiore Gooper (Jack Carson), con l'intrigante moglie Mae (Madeleine Sherwood) e cinque insopportabili bambini, si preoccupa soltanto dell'eredità, il figlio minore Brick (Paul Newman), ex campione di football, si dedica all'alcolismo, sconvolto dai sensi di colpa per la tragica morte dell'amico Skipper, di cui attribuisce la responsabilità un po' a sé stesso e un po' alla moglie Maggie (Liz Taylor). La tensione fra i due coniugi, che dopo tre anni di matrimonio non hanno ancora avuto figli, è palpabile ("Io non vivo con te, condivido solo la stessa cella!", grida Maggie al marito), così come quella fra gli altri membri della famiglia. In un clima di avidità, menzogne, solitudini e ipocrisie, tutti i nodi verranno a galla nel giro di poche ore e nel corso di una "catarsi collettiva", dopo un temporale notturno e una discussione in una cantina ricolma di inutili oggetti acquistati nel corso degli anni come surrogati d'amore (e che ricorda il vasto magazzino di Kane in "Quarto potere"). Evidente l'origine teatrale: la pellicola è dominata da lunghe scene di dialogo fra i personaggi (notevoli gli "scontri" fra Brick e Maggie e fra Brick e il padre), figure aspre e antipatiche che solo nel finale troveranno un nuovo equilibrio dopo aver finalmente accettato verità e responsabilità. Lo scostante Brick, in fuga dalla vita, cerca nell'alcool quel sostegno che rifiuta dalla moglie: si tratta di una stampella virtuale, ad affiancare quella reale che lo sorregge dopo essersi rotto la caviglia. Maggie, indurita (ma solo fino a un certo punto) dalle difficoltà della vita, si sente "come un gatto su un tetto di lamiera rovente" ma cerca comunque di riconquistare in ogni modo l'amore del marito. La presenza ingombrante di Skipper, personaggio che ritorna spesso nei dialoghi e che, nonostante sia morto, si frappone fra i due, ricorda quella del figlio/marito in "Improvvisamente l'estate scorsa". Rispetto al dramma originale, nel film è stato eliminato ogni riferimento a una possibile relazione omosessuale fra Brick e l'amico (e l'annacquamento non fece piacere né a Tennessee Williams né a George Cukor, che avrebbe dovuto inizialmente dirigere la pellicola e che si tirò indietro proprio per questo motivo), mentre rimangono quelli all'impotenza del ragazzo. Nel cast, una menzione particolare per la prova di Burl Ives nei panni del dispotico padre-padrone.

6 commenti:

Mauro ha detto...

La Taylor aveva una presenza scenica che le ragazzotte di oggi si sognano.
E lo stesso vale per Paul Newman.

Giuliano ha detto...

una grandissima attrice: io me ne sono accorto tardi, cioè quando le tv hanno cominciato a trasmettere i film con il sonoro originale. Con il doppiaggio italiano, anche se ben fatto, non è che si capisca tanto la differenza con tante altre.
Invece la visione casuale di un frammento di "Chi ha paura di Virginia Woolf" mi aveva lasciato sconvolto: lei e Burton, due attori fantastici.
E qui si sposterebbe il discorso sul doppiaggio...alcuni attori ne hanno beneficiato, per altri è ininfluente (doppiatori fantastici: per il ten. Colombo, Giannini con Nicholson, Proietti con Sutherland...), in altri casi si perde molto.
Ma qui stiamo parlando di Liz Taylor, onore a Liz.

Christian ha detto...

Mauro: molte "divette" di oggi se lo sognano il carisma di quelle di una volta. Ma come sempre, sarà il tempo a giudicare: vedremo quali di loro saranno ricordate anche fra qualche decennio.

Giuliano: è vero quello che dici sul doppiaggio italiano. Questo film, per esempio, secondo me soffre un po' a questo riguardo, soprattutto per le voci femminili. In generale, ci sono stati ottimi doppiatori maschili (come quelli che citi) ma non mi vengono in mente nomi altrettanto validi per il doppiaggio delle voci femminili, che in passato erano tutte troppo stridule o esageratamente impostate.

Fabio ha detto...

Forse a Christian non piace il mitico birignao, ma ci sono scene come questa che la Simoneschi e la Lattanzi rendono meglio della scena originale.
E non sto esagerando.

Giuliano ha detto...

ripensandoci, è un peccato che Liz Taylor e Richard Burton non abbiano mai lavorato con Cassevetes, o con Altman...
è un peccato anche per noi che non siamo inglesi madrelingua, altrimenti avremmo potuto ascoltare Burton in Shakespeare, a teatro!
ma il primo pensiero che mi è venuto in mente, dispiace ammetterlo, è che arrivare a 79 anni con tutto quel whisky è stata un'impresa memorabile (i racconti in proposito su lei e su Burton sono spaventosi).

Christian ha detto...

Fabio:
Hai ragione, in quella scena le doppiatrici sono ottime! In generale non amo il doppiaggio e non sono molto ferrato sull'argomento (non mi informo quasi mai, per esempio, sui nomi dei doppiatori) e dunque mi aveva colpito il fatto che, quando si parla di grandi doppiatori del passato, si citino sempre e solo nomi maschili...

Giuliano:
In questi casi ci si chiede sempre (un po' cinicamente) se sia meglio "andarsene" al proprio apogeo, come Marilyn (che non abbiamo mai visto invecchiare), oppure subire tutto il processo di decadenza, non solo fisica ma anche morale, come Liz o – ancora peggio – la Bardot (ovvio che sono discorsi "filosofici", la morte non la si augura mai a nessuno, tantomeno a un'artista...!).