7 dicembre 2009

Alphaville (Jean-Luc Godard, 1965)

Agente Lemmy Caution: missione Alphaville
(Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution)
di Jean-Luc Godard – Francia 1965
con Eddie Constantine, Anna Karina
***

Visto in DVD, con Giovanni.

Sotto le false spoglie del giornalista Ivan Johnson del "Figaro-Pravda", l'agente speciale Lemmy Caution giunge ad Alphaville, capitale di un'altra galassia, per rintracciare il professor Von Braun, scienziato transfuga con le sue pericolose invenzioni. Alphaville è una città dominata dai computer, dove i nomi delle strade sono dedicate a scienziati (come Enrico Fermi), a leggi fisiche o a teoremi matematici, i sentimenti sono messi al bando e tutto è freddo e logico: chi esprime le proprie emozioni viene eliminato (attraverso grottesche cerimonie collettive per l'intrattenimento delle élite) o ricondizionato, e le donne sono programmate per essere sottomesse (e numerate come gli ebrei nei campi di concentramento). La città, oltre che indicare un possibile sviluppo (secondo Godard) delle tendenze sociali, tecnologiche e capitalistiche che erano in atto nel dopoguerra, è l'evidente metafora di un formicaio, dove ogni abitante segue le direttive del computer centrale Alfa-60 (che ha sviluppato l'autocoscienza e sta progettando addirittura di attaccare i "paesi esterni", i residui del mondo come lo conosciamo noi, le cui capitali hanno nomi familiari come Tokyorama, Angoulême City e Nuova York): quando nel finale il computer viene distrutto, infatti, i cittadini impazziscono e muoiono come formiche lasciate senza una guida da seguire.

Anticipando "Blade runner" con la sua fusione di due generi letterari e cinematografici ben distinti (ovvero il noir e la fantascienza), Godard realizza un film insolito e affascinante, con un messaggio forse semplicistico (l'amore che si oppone alla disumanizzazione e alla mercificazione risultante dalla tecnologia) ma con uno stile originale e coerente. Fra le fonti di ispirazione spicca senza dubbio "1984" di Orwell, a partire dal "Grande Fratello" che controlla tutti (qui il computer di Von Braun) e dall'alterazione del linguaggio: ad Alphaville le parole vengono continuamente cancellate, bandite o mutate di significato, la Bibbia è sostituita da un dizionario, e vige un'assurda formula di saluto universale, ripetuta meccanicamente in ogni occasione ("Io sto benissimo-grazie-prego"). Ma che non si tratti di un'operazione legata solo al passato lo dimostra il fatto che il film precorre a sua volta molto cinema che verrà: il dialogo del protagonista con il computer Alfa-60 non può non far pensare all'occhio di Hal 9000 in "2001: Odissea nello spazio", mentre di "Blade runner" (o meglio, della sua versione cinematografica originale) sembra anticipare anche il finale, con la fuga del detective in compagnia della ragazza "robotizzata" che sta lentamente imparando a riconoscere i propri sentimenti e a riacquistare le emozioni. Echi del film si ritroveranno anche nei fumetti di Moebius e degli altri "umanoidi associati".

Se i dialoghi parlano di galassie, armi atomiche e (auto)coscienza, e gli interni sono geometrici, freddi ed essenziali (i corridoi, gli ascensori, le porte e le scale a chiocciola tutte uguali ricordano Tativille, il gigantesco set che Jacques Tati aveva fatto costruire per "Playtime"), le scene in esterno non fanno invece uso di architetture futuristiche, anzi sono girate nella Parigi contemporanea e si rifanno agli stilemi del noir, come d'altronde gli abiti dei personaggi (impermeabili e cappelli anni '40) e la stessa scelta di una fotografia in bianco e nero, seppure l'uso delle illuminazioni e delle ombre sia davvero notevole. Ma tutto il film gioca sul contrasto fra vecchio e nuovo, fra tradizione e modernità, fra il confortante passato (rappresentato anche dalla macchinetta fotografica, quasi un giocattolo, con cui Lemmy Caution scatta di continuo le sue foto, apparentemente senza motivo) e il minaccioso futuro (il pericolo, nemmeno tanto velato, è quello di un conflitto nucleare). La rivisitazione intellettuale di generi popolari della narrativa o del cinema (un'operazione simile a certe cose fatte in quegli anni da Chabrol) affiora continuamente: uno degli agenti che hanno preceduto Lemmy Caution nella stessa missione, fallendo, si chiamava Dick Tracy; il vero nome del professor Von Braun è Nosferatu; a un certo punto Lemmy risponde a una domanda citando Shakespeare ("dormire, sognare forse"); e il titolo che originalmente Godard aveva pensato per la pellicola era "Tarzan contro l'IBM". Il personaggio di Lemmy Caution, sempre interpretato da Eddie Constantine, era già apparso in due film polizieschi (tratti da romanzi gialli degli anni '40) che nulla avevano a che vedere con le provocazioni filosofiche e intellettuali di Godard, né con la fantascienza.

2 commenti:

Zonekiller ha detto...

Bella recensione! Lo vidi molti anni fa e mi lasciò interdetto (alcune idee bellissime, altri passaggi oscuri e noiosi) e lo voglio assolutamente rivedere (questo e Il bandito delle ore undici)...anche per capire se lo stile di Godard abbia retto il tempo o sia oggi un po' datato...indimenticabile comunque Constantine!

Christian ha detto...

Che un po' sia datato è innegabile, ma questo film è così particolare e ricco di idee da mantenere molto del suo fascino. A dire il vero, io non sempre vado matto per il cinema di Godard, soprattutto quello sperimentale dagli anni settanta in poi, mentre continuo a ritenere molto godibili diverse pellicole dei primi anni (come "Fino all'ultimo respiro" o "Il disprezzo").