Il gusto dell'anguria (Tsai Ming-liang, 2005)
Il gusto dell'anguria (The wayward cloud)
di Tsai Ming-liang – Taiwan 2005
con Lee Kang-sheng, Chen Shiang-chyi
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Visto alla Fogona, in DVD, in lingua originale con sottotitoli.
Seguito di "Che ora è laggiù?", da cui ritornano gli stessi personaggi (e nel frattempo, fra i due film, c'è stato in mezzo anche il cortometraggio "The skywalk is gone"). Il timido Hsiao-kang (Lee Kang-sheng) recita adesso in scalcinati film porno, mentre Chien Shiang-chyi (che mi pare sempre più sexy, più per la sua "fisicità" e il modo di recitare col corpo che per la sua bellezza) lavora in una videoteca. Complice un'anguria galeotta, i due si ritrovano e danno vita a una passionale relazione, mentre a Taiwan impazzano il caldo e la siccità (cosa strana, per il regista che più di tutti – forse insieme a Tarkovskij – ama rappresentare la pioggia, l'acqua e l'umidità). La storia è più o meno tutto qui, il resto è il solito Tsai Ming-liang che a me piace molto, con i suoi silenzi e la sua lentezza, i suoi spazi e i suoi sguardi, i suoi personaggi introversi e le loro strane ossessioni, le sue divagazioni erotiche e surreali, stavolta particolarmente hard. C'è chi accusa l'Antonioni di Taiwan di essersi involuto, io invece ritengo che sia sempre perfettamente coerente nel fare un tipo di cinema personalissimo, essenziale (nel vero senso della parola) ma comunque ricco, esteticamente coraggioso e inventivo. Qui poi, come aveva già fatto in "The hole", ravviva il tutto inserendo dei siparietti musicali con vecchie canzoni romantiche, kitsch, allegre o stupide, che rendono la storia un po' meno claustrofobica.
2 commenti:
Che dire?
Ho spesso pensato che anche per esprimere un semplice parere personale sarebbe consigliabile avere qualcosa di interessante o stimolante da dire, tuttavia, dal momento che mi è stato richiesto e che i blog mi sembrano degli spazi aperti anche all'inutile approssimativo, ecco una superficialissima opinione strappata "dal mio taccuino di dannato".
Il film è lento. Lento ma senza squarci di poesia, lento ma senza frammenti di inquietudine... è all'inizio anche discretamente volgare, ma volgare senza turbare o eccitare...è palloso senza preoccuparsi di voler catturare l'interesse dello spettatore(che nell'occasione sarei io), senza trasmettere emozioni (ovvio, oltre alla noia, ...ma vedere un film per provare noia esula dalle mie attuali motivazioni).
Ora non so se nel proseguo del fim (ho resisitito una quarantina di lunghissime minuti) succeda qualcosa ma sinceramente non credo che nulla al di là di uno stoico eroismo nel voler arrivare alla conclusione, qualche personale vantaggio secondario (lavoro, scommesse,...) o un vago feticisno dell'anguria possa motivare uno spettatore ad affrontare la visione del film fino alla fine. E che non lo si abbandona per la presenza di scene violenti o disturbanti, per la musica o le tematiche che tratta...è solo per la noia e così viene naturale pensare a come impiegare meglio la propria vita (e in 40 minuti qualcosa viene in mente, credetemi).
E per finire è vero che nei primi 40 minuti del film si vedono tante angurie, a mollo, a spasso o penetrate ma, a voler ben vedere, è proprio quella fresca vitalità dell'anguria che manca alla pellicola...che a Taiwan le angurie siano insapori?
Evidentemente è destino che chi non ama Tsai Ming-liang tenda ad abbandonarlo a metà strada. E dire che questo è decisamente più accessibile di altri suoi lavori (e, ahimé, il finale è la parte più memorabile del film). La noia, in fondo, è un'emozione estremamente soggettiva: c'è chi la trova in film lenti come questi, che lasciano allo spettatore il compito di "assorbire" personaggi e ambientazioni senza la mediazione di dialoghi e didascalie esplicative, e chi invece ne viene sommerso guardando certi film d'azione, avventurosi o comici che recano il marchio della catena di montaggio e l'unico interesse, da parte di registi e produttori, di andare incontro al gusto di un pubblico più vasto e medio possibile.
Quanto all'anguria... la sua importanza nel film risulta forse sopravvalutata dal fatto che il distributore italiano ha avuto la pensata di metterla addirittura nel titolo. Sarebbe come se "Ultimo tango a Parigi" fosse stato chiamato "Il gusto del burro"... Il titolo originale del film, in realtà, è "La nuvola capricciosa", dal titolo dell'ultima canzone che si sente nella pellicola, ed è decisamente più appropriato nella sua poetica volgarità.
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