24 giugno 2017

Loveless (Andrey Zvyagintsev, 2017)

Loveless (Nelyubov)
di Andrey Zvyagintsev – Russia 2017
con Maryana Spivak, Aleksey Rozin
***

Visto al cinema Colosseo, con Sabrina, Marisa e Paola, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).

Resosi conto che i genitori Boris e Zhenya (che stanno per divorziare) non lo amano e che nessuno dei due vorrebbe tenerlo con sé, il dodicenne Alyosha fugge di casa. È il 21 dicembre 2012, il giorno della "fine del mondo" secondo il calendario Maya. Zhenya e Boris, immersi nei loro litigi e distratti dalle relazioni con i nuovi compagni, se ne accorgono solo dopo più di 24 ore, quando sta per scatenarsi una tempesta di neve. E le lunghe ricerche, effettuate con l'aiuto di un'organizzazione di volontari (la polizia, convinta che basti attendere che il bambino torni da solo, se ne lava le mani), non porteranno a nulla. La tragedia non servirà a riavvicinare i due coniugi, ma se non altro li farà rendere conto che un po' a quel figlio forse ci tenevano. Tuttavia l'epilogo, ambientato qualche anno più tardi, li mostrerà nella stessa situazione di prima. Nonostante le nuove famiglie e le nuove relazioni, gli egoismi continuano a imperare: lui ha bisogno di una famiglia solo per opportunismo lavorativo, non ama davvero la nuova moglie e il nuovo figlio (così come non amava quelli vecchi); lei, fredda, sola e indipendente, ha bisogno di avere al fianco un uomo che la soddisfi ma che lei non ama a sua volta. Casi non rari in una società ossessionata dai selfie, dall'edonismo, dalla mancanza di empatia e dalla chiusura in sé stessi. Ancora più che in passato, Zvyagintsev lancia uno sguardo desolato e pessimista sul vuoto presente e sull'incerto futuro della nostra società, attraverso una pellicola intensa e "apocalittica", ma girata in maniera elegante e controllata. Per una volta i fari non sono puntati soltanto sulla Russia (se l'avesse realizzato Haneke, il film avrebbe potuto essere ambientato in Austria, in Francia o in qualsiasi altro paese occidentale), se non per le suggestioni politiche, una lettura suggerita dalle ultime sequenze (con i telegiornali che parlano della crisi e della guerra con l'Ucraina). D'altronde, il segreto di questo tipo di film (vale anche per il citato Haneke: ma ci si ritrovano echi de "L'avventura" di Antonioni – anche in questo caso la sparizione acquisisce un significato metafisico – e di "Scene da un matrimonio" di Bergman) è il rispecchiamento fra pubblico e privato, il disagio e l'infelicità degli individui e la disfunzionalità della famiglia che riflettono quelli dell'intera società. E ogni elemento, per quanto piccolo (dalle abitudini integraliste del datore di lavoro di Boris, che licenzia gli impiegati che divorziano, alla scostante chiusura della madre di Zhenya, che vive da sola e in guerra con il mondo), rappresenta una tessera dell'inquietante mosaico. La spettrale colonna sonora di Evgeni Galperin comprende brani di Arvo Pärt ("Silouans Song").

1 commento:

Marisa ha detto...

Impressionante nella sua lucidità. La bellezza della fotografia e di alcune immagini(i maestosi alberi, che aprono e chiudono il film e che che fanno da testimoni silenziosi alla meschinità degli autoreferenziali umani...) rende ancora più evidente il vuoto e l'aridità in cui tutta la società del "benessere" continua a precipitare.
Anche le notizie tragiche del conflitto in Ucraina servono solo a riempire il vuoto emotivo che dilaga nelle coppie, senza alcuna vera risonanza per il dolore e i massacri, come si vede sia nell'uso della radio sempre accesa in auto che la TV nella bella e modernissima casa della nuova coppia.