22 ottobre 2016

Funny games (Michael Haneke, 1997)

Funny Games (id.)
di Michael Haneke – Austria 1997
con Susanne Lothar, Ulrich Mühe
***1/2

Rivisto in divx.

Giunti nella loro casa sul lago per trascorrere una breve vacanza, i membri di una famiglia (padre, madre e figlioletto) vengono sequestrati da due misteriosi giovani che intendono ucciderli senza apparente motivo. Il film più scioccante e disturbante di Haneke (e ce ne vuole, visto che gli altri non sono certo delle passeggiate) può sembrare a prima vista semplicemente un torture horror che precorre un filone che avrà particolare successo negli anni a venire ("Saw", "Hostel"): al punto che dieci anni più tardi, su richiesta degli americani, lo stesso Haneke ne realizzerà un remake in lingua inglese del tutto identico, scena per scena. In realtà si tratta di una controversa e provocatoria riflessione meta-cinematografica sui temi della violenza, della sua rappresentazione nelle opere di finzione e del grado di coinvolgimento del pubblico, che pur facendo il tifo per i "buoni" e disapprovando le azioni dei "cattivi", non può fare a meno di assistervi e prova persino piacere nel guardarle. A questo proposito, la pellicola rompe frequentemente il "quarto muro": uno dei due aguzzini, Paul, guarda occasionalmente in camera, strizzando l'occhio agli spettatori e rivolgendoci la parola. Paul pare consapevole di trovarsi in un film e di doverne rispettare alcune regole, come quella di prolungare la suspense o di concedere alle vittime una possibilità di fuga per rendere le cose più interessanti. In altri momenti, invece, le sovverte completamente, come nella celeberrima scena del telecomando con cui, letteralmente, riavvolge indietro il film che stiamo vedendo per cambiare qualcosa che è già accaduto e far prendere alla storia una piega differente. Nel finale, il dialogo fra i due ragazzi a proposito dei diversi gradi di finzione (la realtà che si osserva in un film è "vera" quanto quella del mondo reale?), chiarisce qual era l'intento "moralista", se vogliamo, di Haneke: mettere lo spettatore di fronte alle proprie colpe, quelle di ricercare la violenza nei media come se si trattasse di qualcosa di "innocuo" o addirittura di divertente, senza rendersi conto che tutto ciò che si vede è in qualche modo reale. Da questo punto di vista, il film si può dire perfettamente riuscito: la tensione è ai massimi livelli, la sofferenza dei personaggi è quasi insostenibile e le immagini sono brutali e angoscianti (anche se gran parte della violenza rimane fuori dall'inquadratura). Nella colonna sonora, particolarmente disturbante è l'uso dell'heavy metal (di John Zorn) che interrompe, sui rossi titoli di testa, la rilassante musica classica che la famiglia stava ascoltando in macchina. Susanne Lothar e Ulrich Mühe, che interpretano i due coniugi, avevano già lavorato con Haneke ne "Il castello". Arno Frisch e Frank Giering, i due torturatori, hanno aspetto (abiti e guanti bianchi) e modi di fare (ambiguamente gentili) che ricordano la gang di "Arancia meccanica": ma i personaggi sono forse ispirati al caso (vero) di Leopold e Loeb. Il titolo fa riferimento al carattere "ludico" delle torture perpetrate da Peter e Paul, che comprendono giochi, indovinelli, scommesse, conte e filastrocche, per non parlare delle continue variazioni del proprio nome (Tom e Jerry, "Ciccia") e background.

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