30 aprile 2009

Wolverine (Gavin Hood, 2009)

X-Men Le origini: Wolverine (X-Men Origins: Wolverine)
di Gavin Hood – USA 2009
con Hugh Jackman, Liev Schreiber
**

Visto al Medusa Multisala di Rozzano, con Martin, Eliana e Gabriele.

I fratelli Jimmy Logan (il futuro Wolverine) e Victor Creed (il futuro Sabretooth) sono mutanti simili a bestie feroci, dotati di affilati artigli e di capacità rigeneranti che li rendono estremamente longevi e quasi invulnerabili. Dopo aver combattuto insieme in tutte le guerre del diciannovesimo e ventesimo secolo, si dividono quando il primo – stufo della lotta e del sangue che invece sembra eccitare sempre di più il secondo – si ritira a fare il boscaiolo nelle foreste canadesi. Ma il perfido militare Stryker lo rintraccia e lo sottopone a un misterioso esperimento, rivestendo il suo scheletro con un metallo indistruttibile, l'adamantio, e trasformandolo così in un'arma micidiale. Come capita spesso con i film Marvel, anche in questo caso ho finito con il godermi la pellicola al di là dei suoi effettivi meriti: essendo stato per molti anni un appassionato lettore dei fumetti della "casa delle idee", il piacere di vedere muoversi sullo schermo i personaggi dell'universo creato da Stan Lee mi porta a giudicare con particolare benevolenza anche lungometraggi che hanno qualche difetto a livello di sceneggiatura. È il caso di questo prequel/spin-off, che termina con la debole trovata di far dimenticare tutto al protagonista: una necessità per riportarlo allo stato in cui lo troviamo nel primo dei tre film degli X-Men (dove ignorava completamente il proprio passato), certamente, ma che avrebbe potuto essere sfruttata in maniera molto più efficace, per esempio cominciando il film con l'ultima scena e narrando tutto il resto in un flashback. La sostanziale linearità della vicenda (che contrasta invece con la tortuosità e la confusione con cui le origini del personaggio sono state raccontate a spizzichi e bocconi negli albi a fumetti) non pregiudica comunque il risultato: si tratta di un film onesto con una discreta regia, buone scene d'azione, belle ambientazioni (è stato girato in Australia e Nuova Zelanda), l'inattesa partecipazione di diversi mutanti (fra gli altri, Blob, Deadpool, Gambit... c'è persino un'apparizione del giovane Ciclope e, nel finale, di un professor Xavier imbarazzantemente ringiovanito) e un protagonista che fa di tutto per soddisfare gli occhi del pubblico femminile. Francamente poteva andare peggio.

29 aprile 2009

Il bandito della casbah (J. Duvivier, 1937)

Il bandito della casbah (Pépé le Moko)
di Julien Duvivier – Francia 1937
con Jean Gabin, Line Noro
***

Visto in divx, con Marisa.

"Vista a volo d'uccello, quella zona che si chiama la casbah domina quasi la vita. Brulicante come un formicaio, è una vasta scalea da cui ogni terrazza è un gradino che scende verso il mare. Tra questi gradini vi sono viuzze tortuose e scure, che sembrano fatte per l'agguato; viuzze che si incrociano, che si accavallano, che s'annodano e si snodano caoticamente, si confondono tra loro come un inestricabile labirinto. In ogni punto, dovunque si vada, scale, salite ripide e sinuose, discese facili alle fughe, portici oscuri saturi di vermi e di umidità, botteghe sospette dove si giuoca ad ogni ora, angoli pieni di silenzio, vie dal nome bizzarro. Vivono in quarantamila, là dove potrebbero stare appena diecimila, quarantamila d'ogni razza, venuti da tutte le frontiere: uomini di origine barbaresca e i loro onesti discendenti, tradizionalisti e per noi misteriosi; arabi, cinesi, zingari, balcanici, nordici, corsi, negri, spagnoli, tunisini... e ragazze, ragazze di tutti i paesi, di tutti i tipi: alte, basse, grasse, senza età, senza forme, abissi di grasso in cui nessuno osa guardare. Le case, bucate da cortili interni, isolate come celle senza tetto e piene di eco, comunicano quasi tutte una con l'altra attraverso le terrazze. Queste terrazze sono dominio esclusivo degli algerini, che ne sono i padroni. Essi scendono lungo quest'ampia scalea, e di gradino in gradino arrivano fino al mare. Infinita, brulicante, misteriosa, tumultuosa, di casbah non ve n'è una, ve n'è cento, ve n'è mille. E in questo dedalo, in questo brulichio, Pépé è il re. E per arrestarlo non basta alzarsi di buon ora."

Con questa introduzione "documentaristica" ci viene presentata la vera protagonista della pellicola, la casbah di Algeri dove si nasconde Pépé, gangster autoritario e dandy romantico, protetto dai suoi seguaci e dalle sue donne, invano ricercato dalla polizia, dominatore assoluto del suo piccolo mondo, di cui però è anche prigioniero. E proprio il desiderio di libertà e la nostalgia per la sua patria d'origine (la Francia) lo tradiranno, quando si innamorerà di una raffinata mantenuta parigina che lo farà precipitare nelle mani dell'amico-rivale ispettore Slimane. Il finale tragico non fece che contribuire all'aura di classica romanticità della pellicola. Precursore e punto di riferimento di almeno tre generi cinematografici che avrebbero spopolato negli anni a venire (il noir, con le sue figure destinate a soccombere di fronte al destino; il dramma romantico di ambientazione esotica alla "Casablanca" – ma scenari di questo tipo si ritrovano anche in film d'avventura alla Indiana Jones; e il realismo poetico, di cui Gabin sarebbe presto diventato il volto per eccellenza), il film ebbe uno strepitoso successo, al punto che Duvivier fu immediatamente chiamato a Hollywood, dove la pellicola venne peraltro rifatta l'anno successivo da John Cromwell ("Algiers", con Charles Boyer e Hedy Lamarr) e nel 1948 da John Berry ("Casbah", con Tony Martin e Peter Lorre). E il personaggio sarebbe entrato nell'immaginario collettivo di mezzo mondo, come dimostra la parodia napoletana del 1949, "Totò le Moko". Un caldo bianco e nero, gli innumerevoli primi piani (splendida la sequenza il cui lo sguardo del protagonista si sofferma sugli occhi, sul sorriso e... sui gioielli della dama francese), i variopinti comprimari – dal giovane protetto Piero (Pierrot, nella versione originale) al rude complice Carlos, dall'infido informatore Regis (la scena della sua esecuzione, per mano dell'uomo che ha tradito e che muore nello stesso momento, è notevole) alla gelosa zingara Ines, dallo scaltro ispettore Slimane all'aristocratico ricettatore chiamato il Conte (le Grand Père, in originale) – e per l'appunto l'ambientazione, la scenografia e lo stile contano molto più della semplice trama, che non si fonda sulla suspense (tutto "è già scritto", come dice Slimane a Pépé) bensì sull'atmosfera, sulla malinconia per i sogni perduti, sul desiderio di cambiar vita. Suggestiva, a questo proposito, la scena in cui la vecchia cantante Fréhel intona la canzone nostalgica "Où est-il donc?". E anche il realismo si mescola con la finzione della messinscena (celebre la sequenza della discesa finale di Pépé attraverso la casbah, chiaramente proiettata su un fondale): non a caso le stradine e le scale di Algeri furono ricostruite in studio.

27 aprile 2009

Dove sognano le formiche verdi (W. Herzog, 1984)

Dove sognano le formiche verdi (Wo die grünen Ameisen träumen)
di Werner Herzog – Germania/Australia 1984
con Bruce Spence, Wandjuk Marika
***

Rivisto in DVD, con Marisa e altra gente.

Un geologo che lavora per una compagnia mineraria nel deserto australiano deve interrompere il proprio lavoro perché un gruppo di aborigeni non vuole che il terreno venga devastato dagli esplosivi: quello, sostengono, è infatti il luogo "dove sognano le formiche verdi" e al quale la loro tribù è legata da tempi immemorabili. La causa in tribunale che ne consegue – fondata sulla legge inglese – non può che dar ragione alla compagnia, ma il geologo sarà ormai entrato in contatto con un mondo che non conosceva e questo lo costringerà a ripensare la propria vita...
Con la sua consueta commistione tra fiction e documentario (la vicenda è ispirata a un caso reale), Herzog realizza un film suggestivo, anche se un po' didascalico e "a tema", che parla delle radici ancestrali dell'umanità, dello scontro fra culture e fra i diversi modi di concepire l'esistenza, dell'impossibilità di comunicare (come nel caso dell'aborigeno "muto", chiamato così perché nessuno è in grado di comprendere la sua lingua essendo l'ultimo discendente della propria tribù), del legame indissolubile fra l'uomo e la terra, dall'incompatibilità di determinati individui con la tecnologia occidentale (l'ascensore che si guasta o l'orologio che impazzisce in presenza degli anziani tribali), del ruolo dei canti e dei sogni nel dare forma alla realtà (indimenticabile la scena in cui un gruppo di aborigeni prega all'interno di un supermercato, nel reparto dei detersivi, perché quello è il luogo sacro dove si trovava l'unico albero della regione e dove da millenni gli uomini vanno a "sognare i propri figli"): un film da abbinare alla lettura de "Le vie dei canti" di Bruce Chatwin. Le formiche verdi (e le loro caratteristiche, illustrate sullo schermo da un bizzarro entomologo) sono frutto della fantasia del regista, che ha preferito inventarsi un animale totemico di sana pianta anziché proporre sullo schermo un mito reale (allo stesso modo in cui gli oggetti sacri della tribù non possono essere mostrati ad estranei, o i nomi dei morti non possono essere pronunciati per diversi anni). Lo spilungone Spence, che assomiglia vagamente a Donald Sutherland, era già apparso nei film della serie "Mad Max".

26 aprile 2009

Quel maledetto treno blindato (E. G. Castellari, 1978)

Quel maledetto treno blindato
di Enzo G. Castellari – Italia 1978
con Bo Svenson, Fred Williamson
**

Visto in divx, con Giovanni.

Ho voluto recuperare questo film per prepararmi adeguatamente all'uscita del prossimo lavoro di Quentin Tarantino, che a quanto pare dovrebbe esserne un (non troppo fedele) remake, o almeno usarlo come fonte di ispirazione. Distribuito negli Stati Uniti con il titolo "Inglorious bastards" (il film di Tarantino si chiamerà invece "Inglourious basterds", con la "e" e una "u" di troppo), è infatti una delle pellicole cult del buon Quentin, da sempre appassionato di cinema italiano anni settanta. La storia, ambientata in Francia durante la seconda guerra mondiale, si incentra su un gruppo di soldati americani composto da disertori, ladri e assassini, in fuga dalla polizia militare: mentre cercano di farsi strada verso il confine svizzero, combattendo sia contro i tedeschi sia contro le proprie stesse truppe, si ritrovano costretti a offrirsi volontari per una pericolosa missione: assaltare un treno sul quale i nazisti stanno trasportando un nuovo tipo di missili balistici V2. Fra scene d'azione, cruente sparatorie e ardite prove di coraggio, gli sbandati "bastardi" si dimostreranno eroi loro malgrado: la squadra, piena di individualità, ricorda a tratti l'A-Team (ma non mancano tocchi di umorismo in stile Gruppo TNT, come nel personaggio nel maneggione italo-americano). Non certo memorabile, ma per fortuna nemmeno sciatto (buona la ricostruzione ambientale, e anche il tedesco parlato dai nazisti è convincente). Nel cast spicca Williamson, popolare attore del filone blaxploitation, mentre l'unica presenza femminile è quella di Debra Berger nei panni di un'infermiera francese.

24 aprile 2009

L'imperatrice Caterina (J. von Sternberg, 1934)

L'imperatrice Caterina (The scarlet empress)
di Josef von Sternberg – USA 1934
con Marlene Dietrich, John Lodge
***

Visto in divx, con Marisa.

All'interno della vasta filmografia dedicata a sovrane e imperatrici (da "La regina Cristina" con Greta Garbo alle recenti pellicole su Elisabetta I con Cate Blanchett), questo film è uno dei più celebrati, e a ragione. La storia comincia quando la giovane principessa prussiana Sofia Federica viene inviata dai genitori in Russia, dove sposerà il futuro zar Pietro III e assumerà il nuovo nome di Caterina II. L'autoritarismo dell'imperatrice madre Elisabetta, la pazzia del marito e gli intrighi della corte russa la trasformeranno da fanciulla ingenua, semplice e innocente, piena di sogni romantici, in una cinica manipolatrice che lotta per la propria sopravvivenza e contemporaneamente per conquistare il potere, portando dalla propria parte l'esercito (fra le cui file si procura numerosi amanti, come il conte Alexei e il capitano Orlov), il clero e il popolo. La pellicola si conclude con la deposizione del folle e crudele Pietro e l'ascesa al trono di Caterina la Grande, destinata a regnare a lungo e a trasformare la Russia in una delle maggiori potenze europee. Liberamente adattato dai diari dell'imperatrice stessa, è un film strabordante, stilizzato e monumentale, dove le vere protagoniste sono le scenografie deliranti ed espressioniste: la reggia di Mosca è infatti sontuosa e barocca, dominata da statue lignee grottesche e inquietanti, da immagini di torture e di scheletri appesi alle pareti, da candele accese che proiettano ombre guizzanti, da porte così pesanti da richiedere una decina di persone per essere aperte, e da saloni cupi e angoscianti come quelli di un castello di vampiri in un film horror. In mezzo a tutto questo, i personaggi sembrano come schiacciati da un destino che pare già scritto e che li plasma secondo la propria volontà (solo così si può spiegare la repentina metamorfosi della protagonista). La colonna sonora prende in prestito numerosi temi da Tchaikovsky (soprattutto dall'ouverture "1812" e dalla Danza slava) ma anche da Mendelssohn e da Wagner; la fotografia, cupa e luminosa al tempo stesso, è perfetta nel rendere l'atmosfera di un paese dove regnano "l'ignoranza, la violenza, la paura e l'oppressione" (come recita una didascalia introduttiva); la produzione è imponente (nei titoli di testa si cita la presenza di oltre "mille comparse"); la Dietrich brilla di luce propria e von Sternberg non nasconde la propria venerazione per la sua attrice, alla bellezza della quale rende giustizia in ogni possibile inquadratura. In un film del genere, naturalmente, la fedeltà alla ricostruzione storica ha poco spazio e ancor meno importanza. La scena in cui Pietro schiaffeggia il prete che chiede la carità, il quale risponde "Questo era per me. E per i poveri?", fa riferimento a un episodio che sarebbe accaduto a San Filippo Neri.

23 aprile 2009

Il quartiere dei lillà (René Clair, 1957)

Il quartiere dei lillà (Porte des Lilas)
di René Clair – Francia 1957
con Pierre Brasseur, George Brassens
***

Visto in divx, con Marisa.

Il povero e pittoresco quartiere dei lillà, alla periferia di Parigi, è messo in subbuglio dai gendarmi che stanno cercando un pericoloso gangster in fuga. Costui si rifugia nell'abitazione dell'Artista, un uomo taciturno che insieme all'amico ubriacone Juju decide di ospitarlo nella propria cantina e di nasconderlo alle forze dell'ordine. Il vecchio Juju, che tutti ritengono un buono a nulla e un egoista, vuole così dimostrare di essere in grado di fare qualcosa anche per gli altri: ma quando il gangster si prende gioco dell'amore della giovane Maria, la cameriera del caffè locale di cui anche Juju è infatuato, qualcosa fra i due si incrina...
Sostenuto da ottime interpretazioni (ci sono anche Henri Vidal e Dany Carrel) e dalle belle canzoni di Brassens alla chitarra, Clair realizza un film romantico e d'atmosfera, molto "old fashioned" e anni trenta, il cui solo difetto risiede forse nel giungere con due decenni di ritardo sulla stagione del "realismo poetico", ignorando le evoluzioni del cinema del dopoguerra (che proprio con la rappresentazione neorealista degli individui ai margini della società aveva raggiunto le vette più alte). La Nouvelle Vague era sul punto di esplodere, con le sue storie girate per la strada, le sue figure sfaccettate e le sue commistioni socio-politiche, eppure Clair si "permetteva" ancora di scrivere e realizzare un film dove tutto ruota attorno ai sentimenti più basilari, le scenografie e le strade sono ricostruite in studio, i personaggi corrispondono a ruoli stereotipati (alcuni, come l'Artista, non hanno nemmeno un nome), le dinamiche che intercorrono fra loro sono semplici ed essenziali. Ne risulta un film gradevolissimo, sia chiaro, ma completamente fuori dal suo tempo (non a caso è difficile dire in che anno si svolga la storia). Molto bella la scena in cui i bambini giocano per strada a riproporre la fuga del gangster inseguito dalla polizia, mentre una voce fuori campo commenta gli eventi leggendo la cronaca di un giornale.

22 aprile 2009

Tandem (Patrice Leconte, 1987)

Tandem (id.)
di Patrice Leconte – Francia 1987
con Jean Rochefort, Gérard Jugnot
**1/2

Visto in DVD, con Marisa.

L'anziano Michel Mortez conduce da oltre vent'anni il programma radiofonico di quiz "La lingua al gatto", trasmesso in diretta dalle piazze delle città di provincia francesi, e deve spostarsi ogni giorno da un paese all'altro su una vecchia automobile in compagnia dell'autista, factotum e tecnico del suono Rivetot: una vita da saltimbanco, senza pause e senza amici, che sta per concludersi forzatamente in seguito alla decisione della stazione radio di interrompere il vetusto programma. Il buon Rivetot vorrebbe tenere nascosta la ferale notizia all'iracondo, depresso ed emotivo Michel, anche perché teme per la sua salute, ma la verità verrà a galla e porrà fine anche al lungo sodalizio fra i due... o forse no? Un piccolo film "on the road", gradevole e divertente nonostante il tono crepuscolare e malinconico, su una coppia di "amici per forza" (che ricordano in qualche modo Don Chisciotte e Sancho Panza: non a caso Rochefort avrebbe dovuto interpretare il personaggio di Cervantes nel film mai realizzato da Terry Gilliam), legati dall'affetto reciproco ma anche dai continui battibecchi e interpretati da due ottimi attori (Rochefort è un po' un habitué delle pellicole di Leconte, Jugnot è un bravo caratterista comico). Nella colonna sonora si sente ripetutamente la canzone "Il mio rifugio" di Riccardo Cocciante, anzi "Richard Cocciante", com'è scritto il suo nome nei titoli di testa.

21 aprile 2009

Kontroll (Nimród Antal, 2003)

Kontroll (id.)
di Nimród Antal – Ungheria 2003
con Sándor Csányi, Eszter Balla
**1/2

Visto in divx, con Marisa, Alberto ed Eva.

Ambientato interamente nei tunnel della metropolitana di Budapest (la seconda metropolitana più antica al mondo dopo quella di Londra, e la prima dell'Europa continentale), è una sorta di "Subway" ungherese che segue le vicende di un gruppo di controllori in borghese guidati da Bulcsú, un uomo che per qualche motivo ha scelto di vivere sottoterra ventiquattr'ore su ventiquattro, senza mai uscire alla luce del sole e all'aria aperta. Lui e i suoi bizzarri amici svolgono a fatica il loro lavoro, alle prese con passeggeri che provano in tutti i modi a non pagare il biglietto, con uno sfuggente vandalo armato di bomboletta spray, con una banda di controllori "rivali", e soprattutto con la costante minaccia di un misterioso individuo incappucciato che spinge i passeggeri sui binari. Fra strani incontri, sogni e simboli, atmosfere bizzarre e allucinate (con echi di Lynch, vedi la ragazza vestita da orso o le strane apparizioni di un gufo), pericolose prove di coraggio con le corse lungo le gallerie e improvvisi attacchi di follia, paranoia o narcolessia, l'insolita pellicola si snoda claustrofobica ma interessante fino al salvifico finale.

19 aprile 2009

Franklyn (Gerald McMorrow, 2009)

Franklyn (id.)
di Gerald McMorrow – GB 2009
con Ryan Phillippe, Eva Green
***

Visto al cinema Uci Bicocca, con Monica e Roberto.

In una metropoli monumentale e gotica, dominata dalle religioni e dove tutti i cittadini sono obbligati per legge a seguire un culto (non importa quale: ci sono anche le manicuriste del settimo giorno e gli adepti delle sacre istruzioni delle lavatrici!), l'eroe mascherato Jonathan Preest (Ryan Phillippe) – unico abitante ateo della città – indaga sull'omicidio di una bambina e contemporaneamente prova a sfuggire ai guardiani dell'inquisizione. Nella "nostra" Londra, invece, l'anziano custode di una chiesa di Cambridge (Bernard Hill) cerca di ritrovare suo figlio David, reduce della guerra in Iraq e misteriosamente scomparso; Emilia (Eva Green), una studentessa ribelle e in crisi depressiva, tenta ripetutamente il suicidio mentre lavora a un personale progetto audiovisivo; e infine il giovane Milo (Sam Riley), abbandonato dalla promessa sposa alla vigilia delle nozze, rintraccia una sfuggente amica d'infanzia di cui è da sempre innamorato. I quattro personaggi sono forse destinati a incontrarsi in un appartamento sulla cui targhetta c'è un semplice e misterioso nome: "Franklyn"... Il quotidiano e il fantasy, la realtà e l'immaginazione, i sogni e gli incubi si intrecciano in un film complesso e stratificato, cupo e bizzarro, che ha ben poco da spartire con l'attuale cinema fantastico hollywoodiano, veloce e adolescenziale: da un lato sembra una versione adulta de "Il ponte di Terabithia" e dall'altro ricorda gli scenari futuristici di Terry Gilliam ("L'esercito delle dodici scimmie", "Brazil"). Per gran parte della pellicola le storie dei diversi protagonisti sembrano procedere separate l'una dall'altra, a parte alcuni vaghi incroci che lasciano comunque il dubbio se si tratti di vicende reali, immaginate (ma da chi?), alternative o parallele. E la sceneggiatura gioca con lo spettatore, proponendogli tanti pezzi di un puzzle che quasi lottano pur di non incastrarsi fra loro, almeno in un primo momento. Alla fine, comunque, tutto tornerà. "Se immagini qualcosa con sufficiente intensità, quella cosa diventerà reale": ma la frase si riferisce ai mondi paralleli, ai sogni da realizzare, alle vie di fuga più disperate, o alla religione? Ottimo il cast. Il regista, esordiente e anche sceneggiatore, ha alle spalle un cortometraggio ("Thespian X") sempre fantascientifico e distopico: che sia un nome da annotarsi e da seguire in futuro?

18 aprile 2009

Gli argonauti (Don Chaffey, 1963)

Gli argonauti (Jason and the Argonauts)
di Don Chaffey – USA/GB 1963
con Todd Armstrong, Nancy Kovack
**

Visto in divx, con Marisa, Alberto, Eva ed Elena.

Per rivendicare il trono di Tessaglia, usurpato dal tirannico Pelia, il coraggioso Giasone si imbarca in un'impresa leggendaria: impadronirsi del mitico Vello d'Oro, custodito nella lontana Colchide. Insieme ai più forti atleti e guerrieri dell'antichità (c'è anche un Ercole brizzolato e molto più umano che divino, dall'aspetto ben diverso da quello dei numerosi peplum di produzione italiana o europea), supererà difficili prove e affronterà molte avventure, aiutato dalla benevolenza della dea Era, prima di giungere a destinazione. Considerato da molti il capolavoro di Ray Harryhausen, mago degli effetti speciali e delle animazioni a passo uno, il film andrebbe effettivamente ricordato quasi solo per i momenti in cui sono di scena le sue creazioni: dalla lotta contro la gigantesca statua di bronzo di Talos alla sequenza in cui il dio del mare sorregge il promontorio permettendo alla nave di Giasone di passare; dallo scontro con le arpie che tormentano il veggente cieco Fineo al combattimento contro un mostruoso idra a sette teste; senza dimenticare, naturalmente, la celebre battaglia contro gli scheletri, una scena che ha richiesto quattro mesi di lavoro per essere girata e che in seguito ha ispirato autori come Sam Raimi ("L'armata delle tenebre") o Peter Jackson. Il resto della pellicola, però, soffre però per il casting non brillante, per la musica invadente, per i personaggi poco approfonditi e per un ritmo che, agli occhi di uno spettatore di oggi, può apparire eccessivamente lento. Senza contare le molte libertà che gli sceneggiatori si sono presi nei confronti del mito originale. Curiosamente la storia si interrompe all'inizio del viaggio di ritorno verso la Tessaglia: forse era previsto un seguito, magari con maggior spazio per il personaggio di Medea?

17 aprile 2009

Salto nel buio (Joe Dante, 1987)

Salto nel buio (Innerspace)
di Joe Dante – USA 1987
con Martin Short, Dennis Quaid
**

Visto in divx, con Marisa, Alberto, Eva ed Elena.

Miniaturizzato nel corso di un esperimento scientifico, il tenente Tuck Pendleton viene iniettato – a bordo di un microsottomarino – non in un coniglio da laboratorio, come previsto, ma nel corpo di Jack Putter, giovane e ipocondriaco commesso di un supermercato. "Guidandolo" dall'interno, lo aiuterà a sfuggire ai cattivi che intendono impadronirsi del segreto della miniaturizzazione, e contemporaneamente lo spingerà ad avere maggiore fiducia in sé stesso. Un film giocattolo, prodotto da Spielberg, che tenta di riproporre in chiave più moderna, divertente e per famiglie l'idea alla base di "Viaggio allucinante". A tratti ci riesce, anche grazie a un buon cast di contorno (su tutti Meg Ryan nei panni della ragazza di Tuck, che aiuta Jack nelle sue avventure e quasi se ne innamora), ai sottintesi psicologici e agli adeguati effetti speciali. Ma manca la suggestione fantastica dell'originale.

16 aprile 2009

Lolita (Stanley Kubrick, 1962)

Lolita (id.)
di Stanley Kubrick – GB 1962
con James Mason, Sue Lyon
***

Rivisto in DVD, con Marisa.

Humbert Humbert, intellettuale europeo trasferitosi per lavoro in una cittadina americana, rimane folgorato dalla bellezza della quattordicenne "ninfetta" Lolita, al punto da sposarne la madre pur di poterle stare vicino. Dopo la morte (accidentale) della donna, si trasferirà con la ragazzina in un'altra città, ma i sospetti, la gelosia e la paranoia gli impediranno di vivere tranquillo insieme a lei. Tratto dal celebre e "scandaloso" romanzo di Vladimir Nabokov (che ha collaborato alla sceneggiatura, peraltro ampiamente rimaneggiata da Kubrick), è il film che ha portato il nome del regista definitivamente all'attenzione della critica e del grande pubblico. Visto l'argomento pruriginoso (ma sullo schermo non ci sono mai scene volgari o sessualmente esplicite, anche se è facile intuire cosa accade fra una dissolvenza e l'altra), Kubrick ha dovuto lottare duramente contro la censura dell'epoca, andando a girare in Inghilterra anziché negli Stati Uniti, innalzando l'età del personaggio (che nel romanzo ha solo dodici anni) ed eliminando alcuni dei passaggi più controversi (in alcune interviste successive, il regista si è lamentato di non aver potuto rendere più evidente l'attrazione erotica fra i due protagonisti). Anche così, tuttavia, la tensione psicologica rimane a livelli alti per tutto il film, mentre la scelta di cominciare la pellicola dal finale del libro (la resa dei conti fra Humbert e il suo "rivale" Quilty) e di narrare il resto attraverso un flashback aggiunge profondità alla seconda parte della vicenda, quella "on the road". Oltre ai due personaggi principali (la Lyon era all'esordio ma poi non ha avuto una carriera brillante, Mason rende bene la caratteristiche del suo personaggio, subdolo, ambiguo, intelligente e autodistruttivo), spiccano le ottime interpretazioni di Shelley Winters nei panni della madre di Lolita e di Peter Sellers (alla sua prima collaborazione con il regista che lo avrebbe poi diretto nel "Dottor Stranamore") in quelli del camaleontico e mefistofelico Clare Quilty. La scelta del cast fu alquanto problematica, visto che molti attori (come Laurence Olivier, cui era stata proposta la parte di Mason) rifiutarono di farsi coinvolgere, dati i temi tabù e l'assenza di personaggi positivi. Indimenticabile la scena (proposta anche all'inizio, sui titoli di testa), in cui Humbert mette lo smalto alle dita dei piedi di Lolita. Il nome del personaggio è entrato poi nel linguaggio comune e ha generato anche diversi neologismi (come "lolicon", da "lolita complex", usato spesso in Giappone).

Le avventure di Peter Pan (aavv, 1953)

Le avventure di Peter Pan (Peter Pan)
di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Ham Luske – USA 1953
animazione tradizionale
**1/2

Rivisto in DVD, con Elena.

Tratto dalla commedia di J.M. Barrie, "Peter Pan" fa parte di quel gruppo di lungometraggi disneyani degli anni cinquanta che – benché non agli stessi livelli dei cinque capolavori degli inizi – hanno contribuito ad affermare la casa di Burbank come leader nel campo dell'intrattenimento a cartoni animati. La trama, pur semplificata, è essenzialmente fedele a quella dell'opera originale, di cui ripropone tutti i personaggi – Peter Pan, il bambino che non vuole crescere; Wendy Darling e i suoi fratellini John e Michael (Gianni e Michele nella versione italiana), che lo seguono dalla Londra vittoriana fino all'isola che non c'è; i Ragazzi Perduti, fedeli seguaci di Peter; la capricciosa fatina Trilli (il cui nome originale, Tinker Bell, è tradotto a volte come Campanellino); il perfido Capitan Uncino e la sua ciurma di pirati, fra i quali spicca il nostromo Spugna; l'affamato coccodrillo che ha ingoiato una sveglia e che segue Uncino come un ombra nella speranza di divorarlo; la principessa indiana Giglio Tigrato – in parte ispirandosi all'iconografia classica e in parte creandone una nuova, destinata a molta fortuna. Anche i principali temi del testo di Barrie sono fortunatamente sopravvissuti alla rielaborazione disneyana: il conflitto fra l'innocenza e la fantasia infantile da una parte (esemplificate da Peter Pan e dal suo desiderio di non crescere mai) e la responsabilità dell'età adulta dall'altra (impersonata soprattutto dal padre di Wendy – il cui interprete, in teatro, recita spesso anche il ruolo di Uncino – ma anche dalla scelta dei bambini, nel finale, di ritornare nel proprio mondo). Oltre al piacere dell'avventura, vissuta quasi sempre come un gioco, ci sono gradevoli e curiose sottotrame romantiche, con la gelosia di Trilli (e delle sirene) nei confronti di Wendy e quella di Wendy stessa nei confronti di Giglio Tigrato: per non parlare di come tutti i personaggi femminili, e in particolare Trilli (che secondo alcune voci dell'epoca, poi smentite, sarebbe stata modellata su Marilyn Monroe!), risultino sexy e spigliati. Rispetto ad altri classici disneyani, le musiche e le canzoni non sono particolarmente memorabili (il brano che mi piace di più è quello iniziale, "You can fly!"). Si tratta dell'ultimo film Disney distribuito dalla RKO prima della fondazione della Buena Vista Pictures, oltre che dell'ultima pellicola in cui i leggendari "nine old men" (i primi e più fedeli collaboratori di Walt) hanno lavorato tutti insieme.

15 aprile 2009

The matador (R. Shepard, 2005)

The matador (id.)
di Richard Shepard – USA/Irlanda 2005
con Pierce Brosnan, Greg Kinnear
**1/2

Visto in divx, con Giovanni.

Insolita pellicola su un killer professionista sull'orlo di un esaurimento nervoso che, incapace di continuare a svolgere il proprio lavoro (il suo compito è quello di eliminare bersagli selezionati, spostandosi da un capo all'altro del mondo senza mai avere la possibilità di tessere legami o di fermarsi da qualche parte), si rivolge all'unico amico che ha: un impiegato incontrato per caso nel bar di un albergo a Città del Messico e al quale ha confidato tutti i propri segreti, una persona che sembra la sua antitesi, visto che è sposato, razionale, integrato nella società. Non si tratta di un thriller (persino gli omicidi non vengono mai mostrati sullo schermo) ma di una commedia politicamente scorretta – a tratti anche malinconica – sull'amicizia che supera ogni differenza e ogni stile di vita, un film che mostra i lati più fragili e insospettabili di un freddo sicario. Entrambi gli interpreti sono bravi, ma strepitoso è soprattutto Pierce Brosnan, che dimostra ancora una volta tutta la propria versatilità e riesce a dar vita a un personaggio amorale, sociopatico, eccentrico e sessuomane, "cattivo" eppure simpatico, distante anni luce dal self-control britannico del suo James Bond.

14 aprile 2009

Changeling (Clint Eastwood, 2008)

Changeling (id.)
di Clint Eastwood – USA 2008
con Angelina Jolie, Michael Kelly
**

Visto in DVD, con Albertino, Ghirmawi ed Enzo.

Los Angeles, 1928: la centralinista e madre single Christine Collins denuncia l'improvvisa scomparsa del figlioletto Walter. Quando la polizia afferma di averlo trovato, lei nega fermamente che il bambino restituitole sia suo figlio. Per evitare di essere messi pubblicamente in imbarazzo e di dover ammettere il proprio errore, i corrotti vertici delle forze dell'ordine fanno passare la donna per pazza e la internano in un manicomio. Ma grazie alle indagini di un ostinato detective e all'appoggio di un predicatore radiofonico, la verità verrà a galla e lo scandalo travolgerà il capo della polizia. Tratto da una storia vera, il film non mi ha convinto molto: la sceneggiatura (del "fumettaro" J. Michael Straczynski) è forzata e manichea nel dividere i personaggi in assolutamente buoni e assolutamente cattivi, e il comportamento dei poliziotti e dei medici appare francamente esagerato e sopra le righe, lasciando il sospetto che Straczynski si sia preso molte libertà nel romanzare la storia originale, dando inoltre vita a situazioni stereotipate (tutta la parte ambientata nella clinica, per esempio). Ma anche la confezione è troppo ricercata nello stile, soprattutto per quanto riguarda la fotografia e le scenografie d'epoca. Inutilmente lunga, infine, la "coda" del film dopo il rilascio della protagonista dal manicomio. L'interpretazione della Jolie, che nelle scene ambientate nella clinica mentale sembra tornare alle origini (non dimentichiamo che si era fatta scoprire con "Ragazze interrotte") non esalta: molto meglio invece l'ottimo cast maschile. Eastwood (autore anche delle musiche) ha sostituito alla regia Ron Howard all'ultimo momento, e si vede: la pellicola ha ben poco in comune con i suoi lavori recenti. Il titolo, che fa riferimento a una figura del folklore scandinavo e britannico (una creatura fatata che prende il posto di un bambino umano), è forse un po' pretestuoso, visto che in realtà nel film è del tutto assente la dimensione fantastica, simbolica o misteriosa. Per la cronaca, "Changeling" era anche il nome di un personaggio della DC Comics, un giovane mutaforma che faceva parte dei Teen Titans (un albo dei quali è stato il primo lavoro di Straczynski in campo fumettistico).

13 aprile 2009

Ancora vivo (Walter Hill, 1996)

Ancora vivo (Last man standing)
di Walter Hill – USA 1996
con Bruce Willis, Christopher Walken
**1/2

Visto in divx, con Giovanni.

Per la trama del suo "Per un pugno di dollari", Sergio Leone si era ispirato (senza dichiararlo) a "La sfida del samurai" di Akira Kurosawa. Walter Hill fa lo stesso (ma segnalando il debito nei credits), trasportando la vicenda fra i gangster negli anni trenta e chiudendo quindi una specie di cerchio, visto che il lungometraggio giapponese era probabilmente influenzato a sua volta dal romanzo "Red Harvest" di Dashiell Hammett (in italiano, "Piombo e sangue"). La storia è quella di un individuo senza nome (nel film, a un certo punto, si fa chiamare John Smith), probabilmente un killer in fuga, che giunge in una cittadina texana non distante dal confine con il Messico dove spadroneggiano due bande di contrabbandieri in lotta fra loro, guidate rispettivamente dall'irlandese Doyle e dall'italiano Strozzi. Alleandosi ora con l'una ora con l'altra, facendo il doppio gioco e provocando sanguinose vendette, il protagonista farà divampare ai massimi livelli la feroce guerra fra le bande, portandole così a distruggersi a vicenda. Girato da Hill con un occhio verso il cinema di Tarantino e uno verso quello di Hong Kong (le sparatorie sembrano uscire da una pellicola di John Woo, con Bruce Willis che impugna due pistole alla volta come Chow Yun Fat), il film è scorrevole, anche se un po' monotono, e può contare su una fotografia che rende con efficacia la calura dell'ambiente e l'aria permeata di sabbia del deserto. Fra i personaggi minori rimangono impressi i due capibanda, le rispettive donne (vere vittime della violenza dei gangster), i pochi abitanti neutrali del villaggio, che in qualche modo aiutano l'opera di repulisti del protagonista (il locandiere, lo sceriffo), e soprattutto Hickey, il braccio destro di Doyle, interpretato da Christopher Walken.

12 aprile 2009

Il marito della parrucchiera (P. Leconte, 1990)

Il marito della parrucchiera (Le mari de la coiffeuse)
di Patrice Leconte – Francia 1990
con Jean Rochefort, Anna Galiena
*1/2

Visto in DVD, con Marisa.

Sin da quando era soltanto un bambino, Antoine ha sempre sognato di sposare una parrucchiera. Da adulto riesce a realizzare il suo desiderio diventando il marito della bella Mathilde, e da allora la sua vita si svolge quasi interamente fra le mura della sua bottega. Tutti i film che avevo visto finora di Leconte mi erano piaciuti (da "La ragazza sul ponte" a "Il mio miglior amico", passando per "L'uomo del treno" e "Confidenze troppo intime"): questo, invece, non mi ha detto quasi niente, anzi l'ho trovato anche abbastanza noioso. È essenzialmente la storia di una perversione, con personaggi poco approfonditi e soprattutto poco credibili nei loro comportamenti (vedi il finale, per esempio). I due protagonisti non hanno amici, né interessi, né una vita degna di questo nome, e il loro rapporto è proposto sullo schermo in maniera piatta, a malapena ravvivata dall'incontro con alcuni clienti bizzarri e dai momenti in cui Antoine si esibisce in strani balletti con lo sfondo di musiche arabe. Le scene con il protagonista da piccolo, affascinato dalla prorompente parrucchiera della sua infanzia, ricordano naturalmente "Amarcord" di Fellini.

10 aprile 2009

Virgin stripped bare by her bachelors (Hong, 2000)

Virgin stripped bare by her bachelors (Oh! Soo-jung)
di Hong Sang-soo – Corea del Sud 2000
con Lee Eun-ju, Jeong Bo-seok
**1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

La giovane Soo-jung, assistente del regista indipendente Young-soo e sua compagna occasionale, accetta il lungo corteggiamento del ricco amico Jae-hoon e infine intreccia una relazione clandestina con lui, sorprendendolo però quando gli rivela di essere ancora vergine. La vicenda minimalista, narrata con uno stile che deve molto alla Nouvelle Vague e in particolare a Godard (fotografia in bianco e nero, storia divisa in capitoli con tanto di titoletti e numeri in sovrimpressione sullo schermo, ritmo dilatato, situazioni realistiche, dialoghi che danno l'impressione di essere improvvisati), non è particolarmente interessante in sé ma viene ravvivata dalla trovata che caratterizza in maniera indelebile il film, anche a rischio di un astratto formalismo: la molteplicità dei punti di vista, o per meglio dire dei ricordi e delle percezioni (un aspetto che ha spinto alcuni critici ad avanzare un paragone – forse azzardato – con "Rashomon"). Il titolo internazionale è ispirato a un'opera del surrealista Marcel Duchamp, "The bride stripped bare by her bachelors, even", e proprio come quella la pellicola è divisa in due metà. A un certo punto si ricomincia dall'inizio e riassistiamo agli stessi eventi, visti però dal punto di vista di Soo-jung (mentre all'inizio il protagonista era Jae-hoon). Molti particolari (dialoghi, situazioni, oggetti, stati d'animo) sono però differenti: come in ogni relazione, i due amanti ricordano infatti le cose in maniera diversa e spesso in contraddizione fra di loro. Il tutto dà una patina di maggior realismo alla vicenda, visto che è normale che due persone diverse percepiscano in maniera differente le esperienze comuni, a seconda della propria sensibilità, oppure che tendano a mischiarle e a confonderle nei propri ricordi. Anche la regia contribuisce a questo effetto, variando le inquadrature o capovolgendo i rapporti di campo e controcampo quando deve riproporre i medesimi episodi. E alla fine lascia lo spettatore nel dubbio su come si siano veramente svolti i fatti e sui reali contorni delle personalità dei due protagonisti.

Balls of fury (R. B. Garant, 2007)

Balls of fury (id.)
di Robert Ben Garant – USA 2007
con Dan Fogler, Christopher Walken
**

Visto in DVD, con Albertino.

Randy Daytona, ex bambino prodigio e promessa statunitense del ping pong, caduto in disonore dopo essere stato eliminato ignominosamente durante le olimpiadi di Seul del 1988 e ormai ridotto a umilianti esibizioni in cabaret di quart'ordine, viene reclutato dall'FBI per sgominare l'organizzazione del misterioso criminale Feng, di cui si ignora persino l'identità. Costui, infatti, è un noto appassionato di tennis tavolo, e organizza ogni cinque anni un grande torneo a inviti nel suo quartier generale segreto. Ma per raggiungere il livello di abilità necessario ad attirare la sua attenzione, e ricevere così l'invito, Randy deve affrontare un duro addestramento presso un anziano maestro cinese cieco e la sua affascinante figlia (la snellissima Maggie Q). La pellicola, stupidissima, è un incrocio fra i film demenziali-sportivi tipo "Dodgeball" o "Shaolin Soccer" e quelli di spionaggio e combattimenti a base di tornei segreti come "I tre dell'operazione Drago" o "La prova": l'umorismo è spesso sotto al livello di guardia, ma ci sono comunque alcune chicche che non ne rendono del tutto inutile la visione, prima fra tutte la presenza di Christopher Walken – un attore sempre disposto all'autoparodia – nei panni del cattivo, con costumi davvero improbabili. Non disprezzabile, inoltre, la presenza di alcune graziose fanciulle (oltre a Maggie Q, c'è anche la statuaria Aisha Tyler nei panni della guardiana che elimina a colpi di cerbottana i giocatori sconfitti). Fra le gag migliori, tutte quelle con la bambinetta soprannominata "Il drago".

9 aprile 2009

Amici x la morte (A. Bartkowiak, 2003)

Amici x la morte (Cradle 2 the grave)
di Andrzej Bartkowiak – USA 2003
con Jet Li, DMX
*1/2

Rivisto in DVD.

Una banda di rapinatori di colore, assoldati da un misterioso committente, svaligia un caveau blindato e si impadronisce di alcuni insoliti "diamanti neri". Ma le pietre, che non sono gioielli bensì una forma concentrata di energia nucleare, fanno gola a un trafficante internazionale di armi. Questi, pur di impossessarsene, rapisce la giovane figlioletta del capo della banda, che si vede così costretto ad allearsi con un freddo agente speciale di Taiwan. Dopo "Romeo deve morire", Jet Li torna a collaborare con il regista Andrzej Bartkowiak, ma il risultato è un film del tutto dimenticabile, di cui fra l'altro l'attore cinese non è nemmeno il vero protagonista. Al centro della vicenda, infatti, c'è semmai il rapper DMX (che aveva un ruolo minore già nel film precedente). Nel cast compaiono anche i "cattivi" Mark Dacascos e Kelly Hu. Le coreografie degli scontri a base di arti marziali sono di Corey Yuen Kwai. No comment sulla grafia da SMS del titolo (sia quello italiano, sia quello originale).

The One (James Wong, 2001)

The one (id.)
di James Wong – USA 2001
con Jet Li, Jason Statham
**

Rivisto in DVD.

Il nostro universo è in realtà composto da numerosi mondi paralleli, in ciascuno dei quali esiste una copia alternativa di ogni abitante. Uno speciale corpo di agenti speciali sorveglia i passaggi da un mondo all'altro per impedire ai malintenzionati di viaggiare tra gli universi, ma proprio uno di questi controllori si rende conto che eliminando le altre copie di sé stesso può acquisire enormi poteri, visto che le energie di chi viene soppresso si suddividono fra tutti i suoi "gemelli". Spinto dal desiderio di diventare "l'unico" (a un certo punto sbotta in un "Ne rimarrà soltanto uno!" che non può non ricordare "Highlander"), e dopo aver eliminato ben 123 suoi alter ego, scoprirà che l'ultimo sopravvissuto – un poliziotto di Los Angeles, nella nostra realtà – è un osso duro. Lo spunto fantascientifico, sebbene non originalissimo, è piuttosto inedito per un film con Jet Li. Peccato che la pellicola si riveli poi un action movie piuttosto convenzionale, se si toglie il fatto che l'attore cinese si ritrova per una volta a interpretare contemporaneamente il ruolo del buono e del cattivo. Al suo fianco c'è una coppia di agenti del multiverso composta da Delroy Lindo (già al fianco di Jet in "Romeo deve morire") e soprattutto da Jason Statham, che però è un po' sprecato. Fra effetti speciali alla "Matrix" (personaggi che schivano i proiettili), inseguimenti e sparatorie, c'è poco spazio per le arti marziali, tranne che nello scontro finale dove Jet lotta contro sé stesso. Nel cast, come moglie del protagonista, anche Carla Gugino.

7 aprile 2009

Elegia di Osaka (Kenji Mizoguchi, 1936)

Elegia di Osaka (Naniwa ereji)
di Kenji Mizoguchi – Giappone 1936
con Isuzu Yamada, Seiichi Takegawa
**1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Prima sceneggiatura di Yoshikata Yoda – che da questa pellicola in poi diverrà l'abituale collaboratore di Mizoguchi – "Elegia di Osaka" trasporta la consueta eroina femminile dei film del regista in un contesto contemporaneo: ma sebbene calati in un ambiente più moderno, quasi "alla Ozu", i temi e i rapporti fra i personaggi sono ancora quelli dell'epoca feudale (non a caso nel titolo originale figura Naniwa, l'antico nome di Osaka). Ayako, la protagonista, lavora come telefonista nell'ufficio di una compagnia farmaceutica ed è fidanzata con il giovane impiegato Nishimura. Suo padre, però, è pieno di debiti: pur di aiutarlo, la ragazza accetta di diventare segretamente l'amante e la mantenuta di Asai, il proprietario dell'azienda. Quando la moglie di Asai scopre tutto, lo costringe a troncare la relazione. Ayako, a questo punto, vorrebbe sposare Nishimura, ma per aiutare anche il fratello – che ha bisogno di denaro per pagare la retta universitaria – decide di ingannare Fujino, un altro dirigente della compagnia, fingendosi disposta a diventare anche la sua amante ma lasciandolo con un pugno di mosche dopo aver preso i suoi soldi. Denunciata da questi, viene arrestata. Nishimura la lascia sola, la famiglia la ripudia (il padre ha nascosto il denaro inviato da Ayako e ha tenuto segreto al figlio i motivi del comportamento della ragazza), e lei si ritrova così in mezzo alla strada, rinnegata e disprezzata di tutti. Ancora una volta, come si vede, al centro del film c'è il tema del sacrificio di una donna forte, altruista e coraggiosa, in favore di uomini deboli, sfruttatori e in questo caso anche ingrati. Anche se meno tragico di quelli di Taki no Shiraito o di O-Sen, il destino di Ayako è segnato: diventare dapprima una mantenuta e poi una delinquente ("una malattia che nemmeno io so curare", dice il dottore di famiglia nel finale). Se la simpatia del regista è tutta per lei, il mondo in cui si svolge la vicenda è descritto come oppressivo e dipendente solo dal denaro, dal dovere e dalla morale. Persino la famiglia, anziché un baluardo contro le asprezze della società come in Ozu, ne è uno specchio fedele che riflette al proprio interno meschinità ed egoismo. Forse un po' troppo melodrammatico per i miei gusti: il modo in cui il destino si accanisce contro i personaggi di Mizoguchi mi è sempre parso un po' esagerato. In un ruolo minore (un poliziotto) c'è anche Takashi Shimura. La musica è jazz, quasi gerschwiniana.

6 aprile 2009

Master with cracked fingers (Zhu Mu, 1979)

Master with cracked fingers (Guang dong xiao lao hu)
di Zhu Mu – Hong Kong 1979
con Jackie Chan, Yuen Siu-Tien
*1/2

Rivisto in VHS, in inglese.

Nonostante il padre gli abbia proibito di praticare le arti marziali, un ragazzo prende lezioni in segreto da un misterioso mendicante e diventa così un campione. Dovrà usare le proprie abilità per affrontare una banda di farabutti che terrorizzano il suo villaggio. Questo lungometraggio non è altro che il rimontaggio di alcune sequenze di una precedente pellicola, "Little Tiger of Canton", girata nel 1971 e distribuita nelle sale hongkonghesi soltanto nel 1973 con scarsissimo successo. Si trattava, fra l'altro, del primo film da protagonista per il giovane Jackie Chan (che in precedenza aveva già recitato in piccole parti, spesso non accreditate, come stuntman o come comparsa). Nel 1979, quando ormai l'attore era diventato una star grazie a titoli come "Snake in the Eagle's Shadow" e "Drunken Master", il film originale venne rimontato con l'aggiunta di nuove sequenze con Dean Shek, Yuen Siu-Tien e una controfigura dello stesso Jackie, e persino con una scena scartata da "Drunken Master"! Il risultato, naturalmente, è di qualità piuttosto altalenante e a volte sfiora il ridicolo (come in tutto il duello finale, nel quale la macchina da presa si mantiene distante dalla controfigura di Jackie e non lo riprende mai in volto per non far capire che non si tratta di lui). Questa nuova versione ha anche una trama piuttosto pasticciata, visto che tenta malamente di fondere due fili narrativi che hanno poco in comune fra di loro (quello in cui il nostro eroe lavora come cameriere nel ristorante dello zio, che proviene dai frammenti superstiti di "Little Tiger of Canton", e quello in cui si allena con l'anziano maestro). Peccato, perché gli spezzoni con un Jackie giovanissimo non sono poi così male: varrà la pena di procurarsi il film originale, distribuito in DVD solo nel 2007 con il titolo "The cub tiger from Kwang Tung". A causa della sua storia travagliata, nelle diverse filmografie di Jackie la pellicola viene fatta risalire di volta in volta al 1971, al 1973, al 1974 o persino al 1981 (quando in realtà arrivò in occidente e le venne imposto il titolo "Master with cracked fingers"). In alcune edizioni, inoltre, il titolo è "Snake fist fighter" e il nome del regista è traslitterato come Hdeng Tsu, mentre in Italia il film è noto anche come "La mano insanguinata". Curiosa la colonna sonora, che a un certo punto propone anche il tema di "Popeye".

5 aprile 2009

Two lovers (James Gray, 2008)

Two lovers (id.)
di James Gray – USA 2008
con Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow
***1/2

Visto al cinema Colosseo, con Daniela.

I genitori di Leonard, ragazzotto trentenne da poco uscito da una relazione finita male e assai propenso al suicidio, spingono affinché si fidanzi con la dolce Sandra, figlia di alcuni amici di famiglia con i quali il padre ha anche degli affari in corso. Ma lui si innamora della nuova vicina di casa, la problematica Michelle, tossicodipendente e che trascina a fatica una relazione con un uomo sposato. Di James Gray finora avevo visto soltanto "I padroni della notte", che mi era parso un film del tutto convenzionale e dimenticabile. Questo invece non solo è decisamente migliore, ma è una pellicola che mi ha colpito profondamente e che mi è cresciuta sempre di più nei giorni successivi alla visione. Si tratta di un lungometraggio psicologico sui difficili equilibri sentimentali di un uomo che cerca la propria felicità in un mondo dove non tutte le storie d'amore hanno un lieto fine ma dove l'importante è non rimanere solo, girato con uno stile classico e controllato. I maggiori pregi della pellicola (ispirata, pare, a "Le notti bianche" di Dostoevskij) sono proprio l'assenza di enfasi e il grande realismo nel descrivere sentimenti e stati d'animo dei personaggi, senza trascurare i lati più opprimenti e devastanti di una storia d'amore. In più ci sono alcuni sviluppi imprevedibili (fino all'ultimo non si sa come andrà a finire), una bella ambientazione (la casa di Leonard, i ristoranti, le strade e i tetti di Brooklyn) e ottimi attori (nel cast c'è anche Isabella Rossellini, la madre del protagonista). Il bravo Joaquin Phoenix ha dichiarato che si tratterà del suo ultimo film come attore, visto che d'ora in poi vorrebbe dedicarsi esclusivamente alla carriera musicale. Gran parte dei personaggi sono ebrei di origine russa, come nei precedenti film di Gray.

Idiocracy (Mike Judge, 2006)

Idiocracy (id.)
di Mike Judge – USA 2006
con Luke Wilson, Maya Rudolph
***1/2

Visto in divx.

Senza predatori naturali e grazie allo sviluppo tecnologico che rende la vita ormai semplice e comoda, l'evoluzione degli esseri umani non viene più guidata dalla capacità di adattamento all'ambiente ma semplicemente dalla prolificità: e siccome gli individui con il quoziente intellettivo più elevato si fanno mille problemi e molte seghe mentali prima di fare figli, sono soprattutto gli idioti a riprodursi maggiormente e a trasmettere i propri geni e le proprie caratteristiche. Per questo motivo, da qui a cinquecento anni, l'umanità potrebbe essere formata soltanto da deficienti! Dietro un umorismo surreale e demenziale, questo film nasconde una satira sociale molto intelligente: il protagonista è un soldato che ai giorni nostri viene scelto per un esperimento di ibernazione. Dovrebbe essere risvegliato dopo un solo anno, ma qualcosa va storto e il malcapitato si ritrova a vivere nell'anno 2505, dove le sue pur limitate capacità intellettive (era stato selezionato perché tutti i suoi valori, compreso il Q.I., erano perfettamente nella media) lo rendono di fatto l'uomo più intelligente del pianeta! La pellicola è ambientata in un'America da incubo, dove nessuno ha più la capacità di compiere semplici ragionamenti, il presidente degli Stati Uniti è un ex wrestler, gli sponsor dettano legge e la cultura è ormai dimenticata se non sbeffeggiata: si dovrebbe ridere, ma spesso è un riso amaro perché in fondo – nonostante le esagerazioni – a tratti si ha l'impressione che la strada che stiamo prendendo è proprio quella. Il regista, noto per essere il creatore del cartoon "Beavis & Butt-Head", si prende gioco di diversi aspetti della società moderna: dall'eccessivo affidamento ai meccanismi automatici (in maniera non dissimile da "Wall-e") alle interfacce semplificate e a prova di idiota di molti apparecchi, che non fanno altro che rendere sempre più stupidi i loro utenti; dall'insensatezza delle pubblicità ("Contiene elettroliti!") al decadimento culturale dei prodotti di intrattenimento, cinema compreso. Un film da non sottovalutare, e che anzi merita di diventare un piccolo cult. E che, senza accorgercene, ci rimane dentro, al punto da essere oggetto di citazione e riferimento in parecchie situazioni della vita reale.

4 aprile 2009

Demoni e cristiani nel Nuovo Mondo (W. Herzog, 1999)

Demoni e cristiani nel Nuovo Mondo
(Christ and demons in New Spain, aka Gott und die Beladenen)
di Werner Herzog – Germania 1999
**1/2

Visto in DVD, con Marisa.

Con questo documentario senza narratore (ci sono solo alcune didascalie in inglese), realizzato per la televisione tedesca all'interno di una miniserie chiamata "2000 Jahre Christentum", Herzog mostra alcuni curiosi aspetti della religiosità cristiana in Guatemala, caratterizzata da elementi che rimandano ancora ai culti pagani e alla mitologia maya. Le sequenze più interessanti sono quelle riprese nella chiesa di San Simone il carpentiere, la cui figura viene identificata e confusa con quella della divinità maya Maximòn, rappresentato con gli abiti di un ricco ranchero spagnolo. All'interno della chiesa, davanti a tavoli ricolmi di candele, i fedeli (compresi i bambini!) fumano enormi sigari in suo onore, mentre alcuni officianti soffiano loro addosso degli alcolici. La seconda parte del mediometraggio mostra invece le processioni della Pasqua, dove pesanti carretti con sculture e immagini della via crucis vengono trasportate da uomini incappucciati che camminano su tappeti di fiori, in maniera non dissimile da quello che avviene tuttora in molti paesini di Spagna e Italia.

3 aprile 2009

Noi tre (Pupi Avati, 1984)

Noi tre
di Pupi Avati – Italia 1984
con Cristopher Davidson, Dario Parisini
**1/2

Rivisto in divx.

Nell'estate del 1770, accompagnato dal padre, il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart giunge in Italia e viene ospitato dall'anziano conte Pallavicini in una villa nella campagna emiliana, dove trascorre le giornate in attesa di un esame che dovrà sostenere presso l'Accademia Filarmonica di Bologna. Immerso in un ambiente per lui misterioso ed estraneo, fra la quiete dei boschi e le cupe stanze della grande casa, dopo un'iniziale ostilità il giovane musicista stringe una forte amicizia con Giuseppe, il figlio del conte, e si innamora (per la prima volta) di Antonia Leda, una ragazza che abita nei dintorni. I tre coetanei diventano inseparabili, al punto che "Amadè" medita persino di fallire volontariamente l'esame per poter rimanere per sempre in quel luogo, come per prolungare indefinitamente il momento magico dell'adolescenza e rinunciare così a quella carriera da compositore che sembra invece stare tanto a cuore a suo padre. Uscito nello stesso anno dell'"Amadeus" di Miloš Forman, con il quale ha però ben poco in comune, la pellicola di Avati è un film intimo e psicologico, incentrato soprattutto sui sentimenti e sulle dinamiche della fanciullezza (il fatto che uno dei protagonisti sia Mozart è in realtà del tutto marginale), che si fa apprezzare anche per l'ambientazione (mitiche le risse con i figli dei fattori) e per una punta di grottesco. Al racconto di formazione si sovrappongono infatti le vicende che vedono come protagonisti i personaggi di contorno, su tutti il vecchio conte (interpretato da Carlo Delle Piane), che ha terrore della morte e mangia la terra della sua proprietà per esorcizzare la paura di abbandonarla, e il cugino folle e dall'animo romantico (Gianni Cavina), che si aggira sperduto fra visioni e allegorie.

Tamara, figlia della steppa (J. Tourneur, 1944)

Tamara, figlia della steppa (Days of glory)
di Jacques Tourneur – USA 1944
con Tamara Toumanova, Gregory Peck
*1/2

Visto in DVD, con Albertino e Ghirmawi.

La ballerina Tamara (che nell'originale si chiama Nina) si unisce a un gruppo di partigiani russi che lottano contro l'invasione nazista con azioni di guerriglia. Retorico e inconcludente film di propaganda bellica (si tratta di una delle rare pellicole americane che esaltavano il coraggio degli "alleati" sovietici durante la seconda guerra mondiale), questo tributo alla resistenza russa si trascina in maniera noiosa e scontata, fra scene melodrammatiche e comprimari macchiettistici, ed è reso ancora peggiore dal doppiaggio italiano dell'epoca, che trasforma i nomi dei personaggi in "Vladimiro" e "Michele" e attribuisce alla protagonista quello dell'attrice che la interpreta. L'unico motivo di interesse è l'esordio cinematografico di Gregory Peck (ma praticamente tutti gli attori erano alla loro prima esperienza; la Toumanova era la fidanzata del produttore nonché una vera ballerina classica che a Hollywood non fece fortuna). La regia di Tourneur, senza un adeguato direttore della fotografia, è lontana anni luce dai livelli dei capolavori realizzati in coppia con il produttore Val Lewton.

2 aprile 2009

Tokyo gang (Kinji Fukasaku, 1992)

Tokyo gang (Itsuka giragirasuruhi, aka The triple cross)
di Kinji Fukasaku – Giappone 1992
con Kenichi Hagiwara, Kazuya Kimura
**

Rivisto in VHS.

A parte questo titolo, realizzato quando ormai la sua carriera volgeva al termine (prima di essere ravvivata proprio nel finale da "Battle royale"), non credo di aver visto mai nient'altro di Fukasaku, leggendario regista di film ultraviolenti su gangster e yakuza, celebre soprattutto per i suoi lavori degli anni sessanta e settanta che rappresentano quasi un trait d'union fra i poliziotteschi italiani, i polar francesi e il cinema di Tarantino o di Miike (non a caso suoi ferventi estimatori). La trama non sembra discostarsi molto dai temi centrali del genere, a base di tradimenti e vendette. Shiba, Kanzaki e Imura, tre esperti rapinatori che dopo numerosi colpi avevano deciso di ritirarsi, vengono spinti dalle necessità a tornare in scena per effettuare un ultimo "lavoretto", un assalto a un furgone portavalori. Ma il bottino è inferiore al previsto e soprattutto con loro, questa volta, c'è anche il giovane Kadomachi, che intende fregarli e tenere il malloppo tutto per sé per acquistare una discoteca. Nello scontro che ne segue, Shiba e Imura ci lasciano la pelle mentre Kanzaki riesce a sopravvivere e medita vendetta. Ma tra lui e Kadomachi (legato da uno strano rapporto di amore e odio alla giovane e sciroccata Mai, l'ex amante di Shiba, che ha contribuito a organizzare il colpo) ci sono anche la polizia e soprattutto la yakuza, alla quale il giovane deve un bel po' di denaro. Se la sceneggiatura non sembra offrire molto di nuovo o di originale rispetto ad altre pellicole del genere, l'azione comunque non latita e i personaggi (in particolare i due giovani, Kadomachi e Mai) sono ben costruiti, anche se un po' parodistici. Fra gli attori ci sono anche Sonny Chiba, Renji Ishibashi e soprattutto Keiko Oginome nei panni della pazza Mai.