29 maggio 2006

Ultimatum alla Terra (R. Wise, 1951)

Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still)
di Robert Wise – USA 1951
con Michael Rennie, Patricia Neal
***

Visto in DVD.

"Michael Rennie was ill
the day the Earth stood still
but he told us where we stand..."

Un disco volante atterra a Washington, in piena guerra fredda: ne escono un uomo in tuta spaziale accompagnato da un possente automa distruttore. L'alieno, Klaatu, è giunto per lanciare ai governi terrestri un ultimatum: se continueranno a sperimentare armi atomiche e porteranno la guerra al di fuori del proprio pianeta, la Terra verrà distrutta. Prima di compiere la sua missione, tuttavia, Klaatu decide di trascorrere alcuni giorni mimetizzato fra gli esseri umani allo scopo di comprenderli meglio: non troverà altro che paura, diffidenza e incapacità di accettare l'ignoto.
Una pietra miliare della fantascienza, un classico con i quali tutti, per una ventina d'anni e forse più, hanno dovuto fare i conti, e che ha influenzato fra gli altri Stan Lee, Jack Kirby, Gene Roddenberry e George Lucas. Un film così dichiaratamente pacifista che sorprende come possa essere stato prodotto in pieno maccartismo, per di più da un noto militarista come il produttore Darryl F. Zanuck. Ricco di spunti di ogni tipo, ottimo a livello cinematografico, con musiche ed effetti speciali realistici e sopra la media, l'ho trovato piacevolissimo da vedere ancora oggi, curato nei dettagli e nelle atmosfere. Incredibile a dirsi, Wise non si rese conto del parallelo fra Klaatu e Gesù Cristo se non quando il film era già nelle sale. La frase "Klaatu barada nikto", con la quale viene arrestata la follia distruttiva dell'automa, è entrata nella memoria collettiva e viene citata, fra gli altri, da Sam Raimi ne "L'armata delle tenebre".

Nota: il doppiaggio italiano dell'epoca, peraltro ben fatto, suona piuttosto buffo alle orecchie moderne. "Spaceship" è tradotto con "aereo astrale", "spaceman" con "uomo astrale", per non parlare di "robot" sempre tradotto con "automa".

28 maggio 2006

La lettera scarlatta (Wim Wenders, 1973)

La lettera scarlatta (Der scharlachrote Buchstabe)
di Wim Wenders – Germania 1973
con Senta Berger, Hans Christian Blech, Lou Castel
**

Visto in DVD, con Martin, in originale con sottotitoli.

Approfittando delle ottime edizioni in DVD della Ripley, io e Martin abbiamo deciso di dare inizio a una piccola rassegna di Wim Wenders, guardando tutti i suoi film almeno fino ai primi anni novanta. Avremmo dovuto cominciare con "Prima del calcio di rigore", ma il DVD di questa pellicola non è ancora uscito e non ne abbiamo più una copia su VHS. Perciò, si inizia con il secondo titolo della serie, forse un po' atipico per il regista: storia e ambientazione sembrerebbero più nelle corde di un Werner Herzog, per esempio. Lo stesso Wenders, nel commento presente sul disco, conferma che "il secondo film della filmografia di un regista è il più difficile" e ammette di aver avuto molti problemi durante la lavorazione, non ultimo il fatto di non aver potuto girare nelle location desiderate e con gli attori voluti. Le vicende del romanzo di Nathaniel Hawthorne, che in teoria si svolgono in un villaggio puritano del New England, negli Stati Uniti nord-occidentali, al tempo dei primi insediamenti europei, sono state trasposte sulla costa della Spagna usando scenografie riciclate da spaghetti western italiani! Il risultato non è perfetto e i personaggi poco approfonditi, ma mi è piaciuta comunque la capacità di trasmettere l'atmosfera cupa e oppressiva e il senso di condanna morale della storia originale, oltre che il rapporto fra l'uomo e la natura incontaminata che fa da sfondo, quasi ignorata, alle vicende. In ogni caso meglio della pessima versione del 1995 con Demi Moore e Gary Oldman.

I giardini di pietra (F. F. Coppola, 1987)

I giardini di pietra (Gardens of Stone)
di Francis Ford Coppola – USA 1987
con James Caan, Anjelica Huston, James Earl Jones
*1/2

Visto in DVD, con Martin.

Durante la guerra del Vietnam, i soldati della Vecchia Guardia hanno il compito di gestire il cimitero militare di Arlington, a Washington, dove vengono sepolti con tutti gli onori i caduti. Un sergente prende sotto la propria ala protettiva una giovane recluta che naturalmente, a un certo punto, preferirà partire "eroicamente" per il fronte. Un film e un argomento per me di nessun interesse. Pieno di retorica militare (l'esercito è una grande famiglia, solo i militari sanno veramente quanto sia brutta la guerra, ecc.) e di eroismo dietro le quinte (non si vedono mai scene di battaglia, se non in alcuni filmati di repertorio in televisione), si lascia guardare solo per le capacità registiche di Coppola e per i nomi degli attori, che peraltro sembrano recitare al minimo sindacale. Molto meglio, su temi simili, "Streamers" di Robert Altman (uscito nel 1983), per non parlare naturalmente di "Full metal jacket" (uscito lo stesso anno) e del capolavoro dello stesso Coppola, "Apocalypse Now", di dieci anni prima.

26 maggio 2006

Santa Maradona (M. Ponti, 2001)

Santa Maradona
di Marco Ponti – Italia 2001
con Stefano Accorsi, Libero De Rienzo, Mandala Tayde
**

Rivisto in DVD.

L'ho rivisto ieri sera insieme a Daniela e Saveria. Della visione al cinema di cinque anni fa non mi ricordavo molto se non l'atmosfera generale. E infatti non c'era molto da ricordare, visto che non c'è una vera trama ma solo "scene di vita" dei personaggi: Accorsi è un laureato in lettere, disoccupato, che cerca lavoro senza nemmeno troppa convinzione in una serie di colloqui disastrosi. De Rienzo è il suo amico cinico e sarcastico, un po' asociale ma in fondo simpatico. La Tayde è una ragazza italo-indiana (toh!) con un fidanzato che non piace agli amici. L'unica parvenza di storia è l'innamoramento di Accorsi per una ragazza (Anita Caprioli) conosciuta per caso, frequentata per un paio di settimane e poi mollata quando lei gli confessa di aver passato la notte con un regista teatrale pur di avere una parte. Segue lezioncina morale, che forse non va a buon fine, e finale aperto. Il titolo, preso dalla canzone di Manu Chao, è abbastanza pretestuoso.
Ambientato a Torino (ma a parte una capatina allo stadio delle Alpi potrebbe trattarsi di una qualsiasi altra città italiana), il film parte malino con personaggi che – quasi in stile Kevin Smith – (s)parlano in maniera forzata di cinema, di libri, del calcio, degli amici. Alla lunga però la sceneggiatura riesce a costruire dei personaggi interessanti: un po' perdigiorno, un po' snob, magari non troppo originali ma comunque abbastanza caratterizzati da permettere a qualche spettatore di identificarcisi. La storia d'amore, comunque, resta la parte meno interessante del film. Da segnalare invece il personaggio di Mandala Tayde, che ricorda le protagoniste indiane o pakistane di molte commedie british (come "Sognando Beckham") ma è meno macchiettistica e più verosimile.

25 maggio 2006

Femmina folle (John M. Stahl, 1945)

Femmina folle (Leave Her to Heaven)
di John M. Stahl – USA 1945
con Gene Tierney, Cornel Wilde
***

Visto in DVD.

Ancora un film con Gene Tierney. Questa volta più che un noir è un bel melodrammone hollywoodiano a tinte forti, incentrato sulla gelosia folle e possessiva di una donna che ama così intensamente il proprio uomo da non sopportare di dividerlo con nessun altro, rendendo la sua vita e quella di chi gli sta intorno un vero inferno. Oltre che dalla torbida psicologia della protagonista, il film è caratterizzato da una splendida fotografia a colori (di Leon Shamroy, premiato con l'Oscar) che mette in risalto i bellissimi scenari naturali sullo sfondo della vicenda, in particolare lo chalet con il lago fra le montagne nel Maine. E proprio i colori così accesi e caldi si contrappongono invece alla fredda durezza della protagonista, capace di vere nefandezze. Nonostante certe ingenuità e le costrizioni del codice Hays, alcune scene (come quella in cui Ellen si getta dalle scale e naturalmente quella in barca sul lago) non si dimenticano facilmente, così come il senso di morte che incombe su tutta la storia. Oltre alla statuetta per la fotografia, il film ricevette tre nomination agli Oscar per la Tierney (che ebbe problemi mentali anche nella vita vera), per la scenografia e per il sonoro. Nel cast appaiono anche Jeanne Crain (Ruth, la sorella di Richard) e Vincent Price (il procuratore). Nota: era uno dei film elogiati da Martin Scorsese nel suo bellissimo documentario "Un viaggio nel cinema americano". Mi ricordo che all'epoca mi ero fatto un appunto mentale, proponendomi di vederlo non appena ce ne fosse stata l'occasione. E ho fatto bene.

23 maggio 2006

Volver (Pedro Almodóvar, 2006)

Volver (id.)
di Pedro Almodóvar – Spagna 2006
con Penélope Cruz, Carmen Maura, Lola Dueñas
**1/2

Visto al cinema Colosseo con Albertino, in originale con sottotitoli.

Almodóvar lascia da parte le trasgressioni e realizza un film più misurato e introverso, che parla di affetti familiari con un cast tutto al femminile e un titolo programmatico: "tornare". Storie di madri, figlie, nonne e nipoti alle prese con persone amate che spariscono, scappano oppure muoiono. Alcune forse ricompariranno, altre chissà. A tornare, però, non sono solo le persone ma anche il passato: avvenimenti tragici che qualcuno cerca di nascondere o di evitare fuggendo da casa, altri di espiare in segreto e in silenzio. Solo quando i conti col passato vengono finalmente chiusi, anche chi era scomparso può davvero "tornare". Nonostante la complessità del tema trattato, il film scorre apparentemente leggero, carico di quel "realismo magico" che ricorda un po' Garcia Marquez e un po' alcuni episodi del fumetto "Love and Rockets" di Gilbert Hernandez: Penélope Cruz come Luba? Entrambe sono peraltro modellate su Sophia Loren, e forse anche su quella Anna Magnani di cui Almodóvar ci mostra uno spezzone in televisione. In ogni caso, il film mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato. A leggere la critica italiana sembra quasi che si tratti del miglior film di Almodovar. Io invece l'ho trovato inferiore ai tre precedenti ("Tutto su mia madre", "Parla con lei" e "La mala educacion"), più coraggiosi e personali. Mi pare che il regista abbia voluto allargare il proprio pubblico (peraltro riuscendoci benissimo), rinunciando un po' alle proprie caratteristiche e scendendo a qualche compromesso.

La colazione dei campioni (A. Rudolph, 1999)

La colazione dei campioni (Breakfast of Champions)
di Alan Rudolph – USA 1999
con Bruce Willis, Nick Nolte
**

Visto in divx.

Il film è tratto dal romanzo omonimo di Kurt Vonnegut, che non ho letto. Bruce Willis (in una delle sue migliori interpretazioni) veste i panni di Dwayne Hoover, popolare proprietario di un autosalone in una cittadina del midwest che, dietro la facciata del "campione" amato da tutti, è in realtà esaurito, depresso e sull'orlo della follia. Nolte è invece il suo responsabile delle vendite, non meno folle e paranoico: le scene in cui si veste da donna sono imperdibili. Quando in città giunge Kilgore Trout, scrittore fallito di romanzi di fantascienza e alter ego dello stesso Vonnegut, Hoover si convince di poter ottenere da lui una risposta sul significato della propria vita. Un film grottesco e allucinato, che talvolta sembra volare alto (si discute di libero arbitrio: Hoover si sente "l'unica creatura senziente in un mondo di automi") e talvolta appare semplicemente banale e stupido. In ogni caso è un interessante specchio del malessere della società statunitense, dove tutti sono obbligati a inseguire il successo e l'ottimismo e dove la pubblicità è vista come la bocca della verità. Forse ci sono troppi personaggi, alcuni dei quali superflui, come il figlio cantante di Hoover o l'ex detenuto interpretato da Omar Epps. Più volte, durante la visione del film, mi sono chiesto come sarebbe stato se fosse stato diretto da un regista più talentuoso, per esempio dal Terry Gilliam di "Paura e delirio a Las Vegas".

21 maggio 2006

Insieme per caso (P. J. Hogan, 2002)

Insieme per caso (Unconditional Love)
di P. J. Hogan – USA 2002
con Kathy Bates, Rupert Everett
**1/2

Visto in divx.

Alla notizia della morte del suo cantante preferito, una casalinga americana di mezza età appena lasciata dal marito decide di recarsi in Inghilterra per partecipare ai suoi funerali: il viaggio dà una scossa alla sua vita in crisi e la fa trascina in una strana avventura in compagnia dell'amante gay del cantante. Strana è anche questa pellicola, diretta dal regista de "Il matrimonio del mio migliore amico": una commedia sentimentale che sfugge ai binari della prevedibilità di questo tipo di film grazie a una coppia di attori davvero improbabile (soprattutto bravissima, come sempre, la Bates). Niente di speciale, intendiamoci, ma divertente e simpatico e con un tocco di leggerezza che non sfocia mai nel farsesco.
Secondo una leggenda cinematografica, Hitchcock avrebbe definito gli attori "nient'altro che bestiame" (in realtà il regista avrebbe detto soltanto che sul set "vanno trattati come bestiame"). Effettivamente anch'io, quando si tratta di scegliere i film da vedere, tengo conto quasi esclusivamente del regista o comunque dell'"autore", truffautianamente parlando, del film. Ci sono però casi come questo, dove l'interesse nasce proprio dalla combinazione degli interpreti, senza comunque togliere nulla a Hogan, che in più occasioni ha dimostrato di essere un ottimo professionista. Oltre ai due protagonisti, poi, il cast è completato dall'irresistibile Meredith Eaton (la nuora nana) e da vecchie volpi come Jonathan Pryce e Dan Aykroyd. Ah, c'è anche un'esilarante Julie Andrews nella parte di sé stessa!

20 maggio 2006

Zazie nel metrò (Louis Malle, 1960)

Zazie nel metrò (Zazie dans le métro)
di Louis Malle – Francia 1960
con Catherine Demongeot, Philippe Noiret
**

Visto in DVD.

Terzo lavoro di Malle dopo i folgoranti "Ascensore per il patibolo" e "Gli amanti", il film è tratto dall'omonimo romanzo di Raymond Queneau, che avevo letto qualche tempo fa e mi era piaciuto molto: una ragazzina in visita allo zio, a Parigi, vuole a tutti i costi andare nella metropolitana, che però è chiusa per sciopero. Nel suo vagare attraverso la città, incontra bizzarri personaggi e vive surreali avventure. Di fronte alla sfida di rendere sullo schermo i giochi linguistici di Queneau e la sua narrazione destrutturata, Malle ha scelto di giocare soprattutto con il montaggio e con il tempo, accelerando molte sequenze come nelle vecchie comiche. E anche gran parte delle gag sembra provenire dal cinema muto, dai cartoni animati della Warner Bros o dall'umorismo tipico dei mimi. Il risultato è un hellzapoppin curioso e un po' datato, che all'inizio diverte ma che alla lunga può finire per annoiare un po'. La descrizione chiassosa e confusa della società francese e la satira dei rapporti interpersonali ricordano anche Jacques Tati (in particolare, la rissa con distruzione del locale sembra anticipare quella di "Play Time"). Se i singoli momenti sono comunque interessanti, il difetto principale del film è nella sua visione d'insieme. Mentre il libro, pur sperimentale, lasciava un'impressione di coerenza interna, qui molte cose sembrano improvvisate o prive di significato. La protagonista Catherine Demongeot aveva dieci anni e smetterà di recitare poco più tardi, mentre Philippe Noiret è il bizzarro zio Gabriel, che lavora come drag queen in un locale notturno.

19 maggio 2006

The call of Cthulhu (A. Leman, 2005)

The Call of Cthulhu
di Andrew Leman – USA 2005
con Matt Foyer, David Mersault
**1/2

Visto in divx.

Un film amatoriale, di soli 47 minuti, ispirato ai racconti di H. P. Lovecraft e girato come se fosse stato realizzato negli anni '20. Dunque in bianco e nero, muto con cartelli e didascalie, scenografie espressioniste, e imperdibili effetti speciali "artigianali" (i mostri animati a passo uno). Regia e montaggio, invece, sono decisamente più moderni, forse per non sacrificare troppo il coinvolgimento dello spettatore contemporaneo. E la cosa che fa più piacere, al di là dell'intelligenza e del talento degli autori, è proprio scoprire come le tecniche del cinema muto siano ancora oggi efficaci e sufficienti per produrre un buon film.
La sceneggiatura è estremamente fedele e contiene qua e là citazioni da altri racconti di Lovecraft: il risultato è probabilmente il miglior adattamento mai realizzato dall'opera del maestro di Providence. Curiosamente, la natura dei racconti originali (spesso contenenti diari, lettere o testimonianze) fa sì che alcune parti del film siano vere e proprie scatole cinesi: il protagonista legge un documento che racconta una vicenda all'interno della quale un altro personaggio racconta un'altra vicenda, e così via.

17 maggio 2006

A bittersweet life (Kim Ji-woon, 2005)

A bittersweet life (Dalkomhan insaeng)
di Kim Ji-woon – Corea del Sud 2005
con Lee Byeong-heon, Shin Min-ah
**

Visto al cinema Colosseo, con Albertino, Elena e Cristiano.

Il braccio destro di un capobanda viene incaricato dal boss di sorvegliare la sua giovane amante per scoprire se lo tradisce. Il nostro sorprende effettivamente la ragazza in compagnia di un altro, ma anziché giustiziare entrambi come gli era stato ordinato, risparmia loro la vita. Il boss, naturalmente, scopre tutto e punisce il suo ex pupillo, lasciandolo in balia di una gang rivale. Comincia da qui una sanguinosa vendetta.
Il film di Kim Ji-woon (già autore del noiosissimo "Two sisters") è giunto nelle sale nostrane sull'onda di "Old boy", ma la sua violenza, seppur notevole e brutale, è decisamente meno estrema, anche moralmente, di quella di Park Chan-wook. Siamo piuttosto dalle parti dei film sulle triadi di Hong Kong, di titoli come "A better tomorrow" e "The mission", pieni di sparatorie coreografate, di tradimenti, onore e vendetta. Curiose anche alcune (involontarie?) citazioni da Tarantino: lo spunto iniziale ricorda il primo episodio di "Pulp Fiction", la scena in cui il protagonista viene sepolto vivo quella analoga di "Kill Bill, vol. 2". Ben confezionato e recitato, ma funestato dal solito pessimo doppiaggio italiano, è un film che si lascia vedere senza però sorprendere particolarmente e senza lasciare granché allo spettatore al termine dei titoli di coda. Rispetto alle pellicole hongkonghesi, poi, infastidisce la presenza di alcuni tocchi zen del tutto superflui, che cercano di dare una patina autoriale a quello che in fondo è "solo" un film di genere.

Santa sangre (A. Jodorowsky, 1989)

Santa sangre (id.)
di Alejandro Jodorowsky – Messico/Italia 1989
con Axel Jodorowsky, Blanca Guerra
***

Visto ieri in DVD.

Me l'ha passato Martin che è un grande estimatore di Jodorowsky, uno di quei registi da cui è lecito aspettarsi di tutto, nel bene e nel male, ma del quale non si può certo dire che non faccia un cinema personale e spontaneo. Si tratta, come mi aspettavo, di una pellicola barocca, surreale e visionaria. Rispetto agli altri suoi film che ho visto ("El topo" e "La montagna sacra") mi è comunque sembrato più lucido e consapevole, anche dal punto di vista tecnico e cinematografico.
La storia comincia con un lungo flashback: Fenix, un bambino che vive in un circo rimane traumatizzato quando il padre taglia le braccia alla madre e poi si suicida. Prima finisce in un ospedale psichiatrico e poi, da adulto – spinto dalla madre folle, al cui servizio ha letteralmente messo le proprie mani – si mette a uccidere tutte le ragazze che frequenta. La prima parte, quella ambientata nel circo, è molto felliniana (vedi per esempio la scena del funerale dell'elefante, con tanto di bara gigantesca e pagliacci vestiti a lutto), mentre la seconda ricorda un po' le atmosfere di certi gialli/horror italiani: sarà un caso, visto che il produttore e co-sceneggiatore è il figlio di Dario Argento? Forse no. Molto bello anche il finale.

16 maggio 2006

I gangsters (R. Siodmak, 1946)

I gangsters (The Killers)
di Robert Siodmak – USA 1946
con Burt Lancaster, Ava Gardner
***1/2

Visto in DVD.

Un classico del noir, un film quasi perfetto nel suo genere, sceneggiato fra l'altro da John Huston e Richard Brooks a partire da un breve racconto di Hemingway. Tutto inizia in una piccola e tranquilla cittadina del New Jersey, con l'arrivo di due misteriosi sicari giunti fin lì per assassinare lo "Svedese" (Lancaster), proprietario di una pompa di benzina che sembra quasi attenderli con rassegnazione. Un detective di una compagnia assicuratrice (Edmond O'Brien), incaricato di indagare sull'omicidio, scava con ostinazione e pervicacia nel passato della vittima, portando alla luce un'intricatissima vicenda di furti, tradimenti e doppi giochi. L'atmosfera è cupa e affascinante, al servizio di una sceneggiatura ad incastro che rivela poco a poco i dettagli della vicenda. Su tutto spicca il personaggio intrepretato da un Burt Lancaster alle prime armi, ex boxeur fallito, perdente e manipolato dalla femme fatale Ava Gardner. Ma anche Edmond O'Brien è bravo in un ruolo quasi "bogartiano". La regia è coerente e funzionale: oltre che sulla solida sceneggiatura, può contare su una fotografia (di Woody Bredell) che gioca con luci e ombre, metaforiche e non. Innumerevoli sono le scene in cui, più che gli stessi personaggi, spiccano le loro ombre proiettate sulle pareti o sul pavimento. Da notare la struttura in comune con film come "Quarto potere" o altri gialli come "Vertigine", che ho visto di recente: la pellicola mette in scena un'inchiesta su un personaggio che muore all'inizio del film e i cui misteri vengono svelati da una serie di flashback e testimonianze. Alla fine tutti i particolari vanno al posto giusto, ma c'è tempo per un ultimo sberleffo finale.

15 maggio 2006

Matrimoni e pregiudizi (G. Chadha, 2004)

Matrimoni e pregiudizi (Bride & Prejudice)
di Gurinder Chadha – GB/USA 2004
con Aishwarya Rai, Martin Henderson
*1/2

Rivisto in DVD alla Fogona.

Dopo il grande successo di "Sognando Beckham", la regista anglo-indiana Gurinder Chadha non riesce a confermarsi e, di fatto, blocca subito sul nascere la possibilità di una carriera promettente, mostrando di avere ben poche frecce al proprio arco (e l'originalità non è fra queste). Co-prodotta dagli USA, questa versione finto-bollywoodiana di "Orgoglio e pregiudizio", il romanzo di Jane Austen, non mi aveva entusiasmato quando l'avevo vista al cinema e non mi è piaciuta molto di più ora che l'ho rivista: è piatta e poco coinvolgente, nonostante le vivaci scenografie, i balli e le canzoni che fanno il verso al cinema popolare indiano. Il romanzo, fra l'altro, negli ultimi anni sembra aver avuto una sorte un po' sfortunata al cinema, vista anche la sciatteria del recente adattamento con Keira Knightley. Trasferirne le vicende in India e ai giorni nostri poteva sembrare una buona idea per aggiornarle e approfondirle, invece il risultato è banalotto: spensierato ma un po' stupido nella prima parte, privo di tensione e inutilmente complicato nella seconda (con tutta una serie di voli intercontinentali fra Delhi, Londra e New York). Per di più non è nemmeno un vero film di Bollywood, ma una pellicola a uso e consumo degli spettatori occidentali. A un certo punto, la protagonista si lamenta a proposito dei turisti che si recano in India e poi rimangono negli alberghi o nei villaggi vacanze, illudendosi magari di aver visto la "vera" India. Ebbene, il film non è poi diverso da quegli alberghi: una copia per "turisti" cinefili. Fra gli attori si salva Aishwarya Rai, più per la sua bellezza che per la recitazione. Lo pseudo-Tom Cruise che interpreta la delicata parte di William Darcy, invece, convince poco. Nel complesso una netta delusione.

8 maggio 2006

Flying padre (Stanley Kubrick, 1951)

Flying Padre
di Stanley Kubrick – USA 1951
con Fred Stadmueller
**

Visto su YouTube, in lingua originale.

Subito dopo aver terminato il suo primo cortometraggio, "Day of the fight", a Kubrick venne offerta la possibilità di realizzarne un secondo, da proiettare all'interno della serie di documentari "Screenliner". Con una durata di soli nove minuti, il film segue per due giorni un prete cattolico, il reverendo Fred Stadmueller, la cui parrocchia nel New Mexico è così vasta (4000 miglia quadrate) e scarsamente popolata che l'unico modo che ha per visitare le varie comunità è quello di spostarsi su un piccolo aereo leggero (un Piper J-3 Cub) che lui stesso pilota. Soprannominato "il padre volante", Stadmueller visita villaggi e insediamenti rurali, celebra messe, funerali e matrimoni, e risolve piccoli problemi (come rimproverare un ragazzino che bullizza una coetanea). Poco più che un esercizio per Kubrick, che ha l'occasione di mettere al lavoro la sua esperienza di fotografo: la macchina da presa si sofferma sui volti dei parrocchiani, per lo più contadini o allevatori di lingua spagnola, e mostra il prete anche nel tempo libero (alleva uccellini e si diletta nel tiro a segno, oltre che nella manutenzione dell'aereo, che può servire anche in casi di emergenza, come il trasporto di un bambino malato da un ranch isolato all'ospedale). Curiosità: il soggetto della pellicola, priva di dialoghi (le immagini sono accompagnate da una voce narrante e dalla musica), è simile a quello di uno dei primi lavori di Werner Herzog ("I medici volanti dell'Africa orientale").

7 maggio 2006

La grazia (Aldo De Benedetti, 1929)

La grazia
di Aldo De Benedetti – Italia 1929
con Giorgio Bianchi, Carmen Boni, Ruth Weyher
***

Visto ieri in DVD, con Martin.

Una vera sorpresa. Un film muto quasi del tutto dimenticato (non figura nemmeno sul Mereghetti, almeno fino alla scorsa edizione), restaurato recentemente a partire dall'unica copia esistente (in pessime condizioni), edito in un DVD allegato all'Unione Sarda e distribuito solo in Sardegna! Il regista non ha poi diretto più nulla e in seguito ha lavorato come sceneggiatore e commediografo: peccato, perché nella pellicola mostra qualità tecniche non indifferenti, tanto nella composizione delle scene quanto nella direzione degli attori. Il film è tratto da una novella di Grazia Deledda ("Di notte") e dall'opera lirica verista ("La grazia") che ne era stata ricavata agli inizi del secolo. Narra una storia di passione, tradimento, vendetta e redenzione ambientata in una Sardegna folcloristica ma calda e viva. Bellissime, soprattutto, le scenografie: il paese nell'entroterra sardo fra le montagne ricoperte di neve dove vive Simona, la pastorella corteggiata dal protagonista, e la dimora moderna e futurista della donna ammaliatrice che lo tenta e lo tiene lontano dalla sua bella. Uno di quei muti dove le (poche) didascalie sono quasi superflue: gli stati d'animo e i sentimenti sono perfettamente trasmessi dagli sguardi e dalle espressioni dei bravi attori. Non sfigurerebbe accanto a capolavori come "Aurora" di Murnau o "Diario di una donna perduta" di Pabst. Da segnalare anche l'ottima colonna sonora presente sul DVD, composta per l'occasione dal pianista Romeo Scaccia.

Il mostro della laguna nera (J. Arnold, 1954)

Il mostro della laguna nera (Creature from the Black Lagoon)
di Jack Arnold – USA 1954
con Richard Carlson, Julia Adams
**

Visto ieri in DVD, con Martin.

Pellicola che ha rinnovato la tradizione dei mostri Universal, dopo i fasti degli anni '30, anche se ha poco a che fare con i vari Frankenstein, Dracula e Uomo Lupo: in quei casi i protagonisti erano proprio i mostri in prima persona, mentre qui siamo più dalle parti di "King Kong", con un gruppo di paleontologi che, durante una spedizione scientifica in Sud America, si imbatte in una creatura anfibia la cui evoluzione si è arrestata da milioni di anni. Ciò che differenzia il film dai molti altri titoli sul tema "la bella e la bestia" è l'ambientazione particolarmente curata: si svolge nella foresta amazzonica (anche se in realtà le riprese furono effettuate in California e Florida) e il regista ne ha approfittato per far sfoggio di numerose e suggestive inquadrature subacquee. Il risultato è un lungometraggio d'avventura piacevole e ben fatto, anche se visto oggi, forse, può risultare un po' ingenuo, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, funzionali alla vicenda narrata e poco più. Grazie al design dell'animatore disneyano Milicent Patrick e al make-up di Bud Westmore (oltre che al lavoro "tecnico" degli scultori Jack Kevan e Chris Mueller Jr.), però, l'aspetto visivo del mostro rimane impresso e talvolta, più che paura, suscita simpatia (sotto il costume si celavano gli attori Ben Chapman, per la maggior parte delle scene, e Ricou Browning): non stupisce il suo ingresso nella memoria collettiva, che lo porterà (fra le altre cose) a essere riutilizzato in spot pubblicitari e in tante altre pellicole ("La forma dell'acqua" di Guillermo del Toro è praticamente un sequel non ufficiale!). All'epoca fu uno dei film-simbolo del 3D.

4 maggio 2006

Red eye (Wes Craven, 2005)

Red Eye (id.)
di Wes Craven – USA 2005
con Rachel McAdams, Cillian Murphy
**1/2

Visto ieri in DVD, con Albertino.

Adoro Wes Craven, un regista-artigiano che conosce il proprio mestiere come pochi. Anche in un piccolo film come questo riesce a mantenere lo spettatore incollato alla poltrona, mantenendo alti ritmo e tensione fino alla fine. Metà thriller psicologico, metà thriller "fisico", il film scorre come da manuale e, pur non essendo propriamente un horror, non lesina richiami ai temi fondamentali del cinema di Craven, protagonista femminile decisa e determinata in testa. Come per tener fede al titolo (gli occhi rossi sono quelli che i passeggeri dei voli di linea notturni esibiscono allo sbarco!), la macchina da presa si concentra molto sugli occhi dei due protagonisti: quelli della bella McAdams (la Regina di "Mean Girls"), a volte velati di lacrime e a volte estremamente determinati, e quelli azzurro chiaro e inquietanti di Cillian Murphy (lo spaventapasseri di "Batman Begins"): due attori giovani, bravi e poco noti. Anche se gran parte del film si svolge nella claustrofobica cabina di un aereo in volo, nel finale Craven riesce persino a riproporre per l'ennesima volta la classica situazione dei film horror che lui stesso ha contribuito a codificare (in "Nightmare" prima e in "Scream" poi), con la protagonista chiusa in casa insieme al maniaco: e funziona ancora come se fosse la prima volta.

2 maggio 2006

Visible secret (Ann Hui, 2001)

Visible Secret (Youling renjiang)
di Ann Hui – Hong Kong 2001
con Eason Chan, Shu Qi
***

Visto in DVD, in originale con sottotitoli in inglese.

Un'affascinante ghost story "d'autore", urbana e soprannaturale, bella soprattutto sul piano estetico/visivo. Come molti horror orientali, più che sugli effettacci gioca sulle atmosfere: di solito questi film mi annoiano, invece in questo caso mi ha coinvolto e i personaggi mi sono piaciuti, anche se alcuni colpi di scena sono decisamente prevedibili. Ha forse il difetto di fare poca paura, ma si concentra più sul lato intimo e sentimentale. Eason Chan, un giovane parrucchiere, conosce una misteriosa ragazza che afferma di poter vedere con l'occhio sinistro i fantasmi che si aggirano tra la gente comune. I due cominciano a essere perseguitati dallo spettro di un uomo morto decapitato quindici anni prima in un incidente automobilistico: ma qual è il segreto che li lega fra loro? Nonostante le somiglianze nella trama, il mood del film è comunque molto diverso da quelli de "Il sesto senso" e "The eye". Shu Qi, già bella di suo, è addirittura bellissima in versione dark e con il trucco pesante, oppure con gli occhiali scuri o ancora con la benda da pirata. Ottima e inquietante la fotografia, che rende coloratissime anche le scene notturne. Nota: esiste anche un seguito, sempre con Eason Chan ma senza Shu Qi, ma pare che abbia poco a che vedere con il primo.