28 dicembre 2006

Giù per il tubo (D. Bowers, S. Fell, 2006)

Giù per il tubo (Flushed Away)
di David Bowers, Sam Fell – GB/USA 2006
animazione digitale
***

Visto ieri al cinema Colosseo, con Hiromi e Albertino.

Un topolino che vive in una gabbia dorata all'interno di un appartamento di Kensington, a Londra, si ritrova catapultato nelle fognature ed entra così in contatto con il mondo dei ratti delle fogne. Nel corso di una movimentatissima avventura (al tentativo di tornare a casa si aggiunge la lotta contro una perfida rana e il suo piano per spazzare via la comunità dei topi) troverà anche l'amore. Per la prima volta la Aardman, la casa di Wallace & Gromit, abbandona la plastilina e, in collaborazione con la Dreamworks, realizza un film tutto in CGI. L'aspetto grafico dei personaggi e la loro "consistenza" (sia pure virtuale) sono però gli stessi di sempre, così come il divertimento, le trovate, la simpatia. La tecnica digitale consente in più di raggiungere un maggior dinamismo e fluidità nelle scene d'azione, che sono peraltro molto lunghe ed elaborate, addirittura a volte esageratamente "fisiche" e rendono il film assai movimentato. Nel complesso mi è piaciuto molto, l'ho trovato divertente e pieno di momenti godibilissimi. È ricco anche di battute autoironiche sull'Inghilterra e gli inglesi, ma anche di gag "politiche" su americani e francesi, riferimenti ai recenti mondiali di calcio, e mille altre cose. Magnifiche le lumache urlanti e canterine.

27 dicembre 2006

Vento di passioni (E. Zwick, 1994)

Vento di passioni (Legends of the Fall)
di Edward Zwick – USA 1994
con Brad Pitt, Anthony Hopkins
*1/2

Visto in TV, con Hiromi.

Un polpettone storico-romantico, dai toni esagerati e sopra le righe, in parte saga familiare e in parte tormentata storia d'amore, anche se mi aspettavo che se il lato sentimentale, visto anche il titolo italiano, avesse un peso maggiore nella vicenda. Nonostante avessi parecchi pregiudizi (molti dei quali confermati dalla visione), alla fine il film non mi è del tutto dispiaciuto. Se l'ambientazione potrebbe essere quella di un romanzo Harmony e i personaggi principali risultano stereotipati e fin troppo delineati (si capisce tutto di loro pochi secondi dopo la prima apparizione, e nel corso del film rimangono immutati tanto fisicamente quanto moralmente), la pellicola è comunque attraversata da una certa forza viscerale da soap opera, la stessa dei grandi "drammoni" romantici americani da "Via col vento" in poi, che sorregge le vicende fino in fondo. I temi storici (la prima guerra mondiale, il proibizionismo) sono comunque affrontati in maniera quasi ridicola e non mancano tocchi ingenui di politically correct (si pensi al rapporto dei protagonisti con gli indiani). Regia e fotografia non mostrano qualità particolari, mentre nel cast spicca su tutti un ottimo Anthony Hopkins nei panni del vecchio patriarca della famiglia.

23 dicembre 2006

Marie Antoinette (S. Coppola, 2006)

Marie Antoinette (id.)
di Sofia Coppola – USA 2006
con Kirsten Dunst, Jason Schwartzman
*1/2

Visto al cinema President, con Hiromi.

Non mi ha fatto impazzire, questa rilettura pop della vita di Maria Antonietta a Versailles (il film si apre con il viaggio dall'Austria alla Francia e si chiude con il trasferimento dei sovrani dalla reggia al palazzo delle Tuileries, dunque poco prima del tentativo di fuga e della successiva condanna a morte da parte dei rivoluzionari). L'attenzione della regista si concentra tutta sul personaggio principale, e dunque è soltanto attraverso lei che osserviamo l'ambiente circostante. La giovanissima regina vive però in un microcosmo tutto suo nel quale c'è poco spazio per gli eventi storici che avvengono intorno a lei: questi risultano perciò quasi assenti, o al limite filtrati da una personalità rassegnata e superficiale. Il personaggio che ne esce fuori, infatti, è ben poco interessante, direi quasi noioso: non sembra mai interessato a conoscere il mondo né prova il minimo interesse per quello che accade attorno a lei. Alla fine anche lo spettatore tende ad addormentarsi, anestetizzato dai colori pastello, dalle parrucche, dai cibi sontuosi. E non bastano un po' di canzoni moderne nella colonna sonora (una scelta che alcuni hanno criticato, ma che a me non è dispiaciuta: almeno ogni tanto forniva qualche scossa) per rendere il film meno piatto.

Nota a margine: dopo il film mi sono fermato a riflettere su quanto siano prive di personalità le "divette" hollywoodiane della nuova generazione (Dunst, Lohan, Johansson...). Nel migliore dei casi, di loro si può dire che siano simpatiche. Ma il carisma di una Lauren Bacall che esordiva a vent'anni in "Acque del sud", a fianco di Bogart, se lo sognano.

Grattacielo tragico (H. Hathaway, 1946)

Grattacielo tragico (The dark corner)
di Henry Hathaway – USA 1946
con Mark Stevens, Lucille Ball
**1/2

Visto in DVD.

Un detective privato scopre che il suo socio di un tempo, a causa del quale aveva dovuto scontare due anni di galera per un reato che non aveva commesso, lo sta facendo pedinare da un misterioso individuo in abito bianco. La situazione peggiora quando il detective viene narcotizzato: al suo risveglio trova al suo fianco il cadavere dell'ex-socio e nelle proprie mani l'arma del delitto. Aiutato dalla sua leale segretaria, della quale è innamorato, dovrà scoprire chi lo vuole incastrare, e perché. Un bel noir, elegante e raffinato, con un'ottima fotografia in bianco e nero e un cast (ci sono anche William Bendix, Cathy Downs, Kurt Kreuger e soprattutto Clifton Webb, in un ruolo simile a quello di "Vertigine") che dà vita a personaggi ben caratterizzati e contrastati. Forse manca un pochino di profondità (l'intreccio mi è sembrato più lineare della media del genere) ma la sensazione di complotto e di accerchiamento, così come la voglia di riscatto sociale del protagonista (e di un'intera società, visto che il film è ambientato subito dopo la fine della guerra), lo rendono molto piacevole. Stevens non è un antieroe cinico e duro come vorrebbe apparire, ma si dimostra vulnerabile e dipendente dalla sua donna, anche per tirarsi fuori dai guai. Stupido il titolo italiano, che si riferisce a un'unica scena peraltro marginale: era meglio quello originale, più evocativo.

22 dicembre 2006

Scusi, dov'è il west? (R. Aldrich, 1979)

Scusi, dov'è il west? (The Frisco Kid)
di Robert Aldrich – USA 1979
con Gene Wilder, Harrison Ford
**

Visto in DVD.

Dico subito che non mi è sembrato il miglior Aldrich (quello di "Che fine ha fatto Baby Jane?", "Piano... piano, dolce Carlotta" o "Un bacio e una pistola", per intenderci): anche nel campo del western il regista ha fatto di meglio, per esempio con "Vera Cruz", che ho visto di recente. Però il film si lascia vedere, se non altro per la scelta curiosa del protagonista, un rabbino polacco (interpretato con vigore da Gene Wilder) che deve raggiungere la propria comunità a San Francisco, attraversando l'intera America. Lungo la strada incontrerà banditi e indiani (con cui si troverà in sintonia) e farà amicizia con un rapinatore di banche, un giovanissimo Harrison Ford, che lo aiuterà a giungere a destinazione. Il difetto principale del film, a mio parere, è quello di non spingersi con decisione né verso la commedia (a parte pochissime gag, non particolarmente memorabili) né verso il realismo (manca l'epicità del viaggio alla scoperta del west), né tantomeno calcare sulla "surrealità" della situazione. Procede invece per cliché e situazioni già viste, puntando quasi tutte le sue carte sul tema dell'amicizia e dell'integrità morale del rabbino e terminando con il più scontato dei temi western, il duello nella strada principale della città.

Transparent (K. Motohiro, 2001)

Transparent: Tribute to a sad genius (Satorare)
di Katsuyuki Motohiro – Giappone 2001
con Masanobu Ando, Kyoka Suzuki
**1/2

Rivisto in DVD, con Hiromi, in originale con sottotitoli inglesi.

Nel mondo esistono alcuni rarissimi individui, chiamati satorare ("trasparenti"), i cui pensieri sono percepibili nel raggio di una decina di metri come se li pronunciassero ad alta voce. Poiché si tratta anche di veri e propri geni in tutti i campi della scienza, essi sono importantissimi per il progresso della loro nazione. La loro natura viene tenuta accuratamente nascosta anche a loro stessi, nel timore che la scoperta di essere "trasparente" possa causare uno shock fatale. Attorno a questi individui nascono comunità, o intere città, i cui abitanti fingono di condurre una vita normale ma che in realtà agiscono dietro le quinte per impedire al "trasparente" di entrare in contatto con chiunque possa rivelargli la verità e per spingerlo a intraprendere la carriera più produttiva e conveniente al benessere della nazione. Lo spunto, in parte simile a quello di "The Truman Show", è parecchio interessante: ed è un peccato che venga sviluppato soltanto in minima parte. La sceneggiatura, infatti, sceglie di concentrarsi solo sul lato privato e sentimentale del protagonista, uno dei sette "trasparenti" esistenti in Giappone, e sulla sua storia d'amore con una ricercatrice incaricata dal governo di stare al suo fianco. Comunque il film è gradevole e tratta di un tema insolito: quanto è difficile vivere insieme a una persona i cui pensieri più intimi sono sempre accessibili a tutti?

21 dicembre 2006

C.S.I.: Grave danger (Q. Tarantino, 2005)

C.S.I. – Grave danger (CSI, stagione 5, ep. 24/25)
di Quentin Tarantino – USA 2005
con William Petersen, Marg Helgenberger
*

Visto in DVD, con Albertino e Giovanni.

Come ho già avuto modo di scrivere, le serie televisive americane non mi interessano e, per il poco che ho visto, non mi piacciono. Finora non avevo mai guardato una puntata di "CSI - Scena del crimine" (o dei suoi spin-off): le rare volte che mi è capitato per caso di gettarci un occhio, facendo zapping, non ho resistito per più di trenta secondi. Mi dà fastidio tutto, dalla recitazione scadente alla fotografia in eterna penombra (ma non le accendono mai le luci, in quegli uffici? O sono sponsorizzati da qualche industria che produce pile e torce elettriche?), per non parlare dei dialoghi scontatissimi e del ritmo monotono della narrazione. Questo doppio episodio l'ho visto soltanto perché è stato scritto e diretto da Tarantino. E visto che non mi ha fatto impazzire (è un eufemismo), potrò mettermi il cuore in pace ed evitare di sorbirmi in futuro altri episodi della serie, con la consapevolezza di averci almeno provato. Costruito su un'unica trovata stiracchiata per un'ora e mezza (un poliziotto della scientifica viene rapito e seppellito vivo, mentre i suoi colleghi devono cercarlo prima che sia troppo tardi), non coinvolge e non trasmette emozioni. Dopo dieci minuti già mi stavo annoiando. A differenza dell'analoga scena della Thurman sepolta in "Kill Bill, vol. 2", non c'è claustrofobia, né tensione, né panico. Due soli sussulti degni di nota ("l'esplosione" del ricattatore, l'allucinazione nella camera mortuaria) non bastano a sostenere il peso della vicenda. E se per una volta la regia di una serie tv non è da buttar via e la sceneggiatura è (appena) sufficiente, la recitazione, la fotografia e il montaggio televisivo continuano a sembrarmi ostacoli insormontabili per farmi piacere questo tipo di prodotto.

Nota: C'è una curiosa comparsata di Tony Curtis nella parte di sé stesso. Lascia un po' il tempo che trova e ci si chiede che senso abbia, ma è divertente sentirlo parlare di vestirsi da donna e dire "Non sono mica Jack Lemmon".

20 dicembre 2006

Un'ottima annata (R. Scott, 2006)

Un'ottima annata (A good year)
di Ridley Scott – USA 2006
con Russell Crowe, Marion Cotillard
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Hiromi.

Un film insolito per Ridley Scott, dall'intreccio molto semplice, se vogliamo pure scontato e prevedibile, eppure realizzato con cura e con passione e dunque niente affatto spiacevole. E il risultato è tenero e romantico senza calcare la mano: non c'è nemmeno il temuto effetto cartolina, anche se la fotografia e le scenografie, come sempre nei film di Scott, giocano un ruolo davvero essenziale. Crowe interpreta un broker cinico e spregiudigato che eredita da uno zio una vecchia villa in rovina (con vigneto annesso) nella Provenza francese. Recatosi sul posto per un rapido sopralluogo con l'intenzione di vendere al più presto la tenuta, si fa lentamente rapire dall'ambiente e dal paesaggio fino a trasferirsi lì definitivamente, complice anche una storia d'amore con una ragazza conosciuta nel villaggio vicino. Il tutto nonostante il vino prodotto nella tenuta sia letteralmente imbevibile (ma anche qui c'è un piccolo segreto, custodito gelosamente dall'anziano vignaio che lavora lì da sempre). Fino a questo film avevo considerato Crowe buono soltanto per le parti da "duro" (non mi aveva per nulla convinto quando aveva provato a uscire da questo stereotipo, come in "A beautiful mind", film che non mi era piaciuto per niente): qui invece è bravo a tratteggiare un personaggio contemporaneamente simpatico e scontroso, abile e goffo. Completano il tutto alcuni rimandi nostalgici all'infanzia (Albert Finney interpreta lo zio in numerosi flashback), a un mondo "perduto" e idealizzato, e a mille altri cliché che darebbero forse fastidio se non fossero maneggiati con sapienza ed eleganza e frammisti a situazioni comiche.

Nota: è stato il primo film che ho visto insieme a Hiromi.

19 dicembre 2006

Lo stato delle cose (W. Wenders, 1982)

state of things

Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge)
di Wim Wenders – Germania/Portogallo/USA 1982
con Patrick Bauchau, Allen Garfield
***

Visto in DVD, con Martin.

Una troupe cinematografica sta girando uno strano film di fantascienza catastrofica nei pressi di Lisbona. Ma la pellicola è terminata e il produttore non dà più notizie di sé. Dopo alcuni giorni di attesa durante i quali gli attori e i tecnici ammazzano il tempo come possono, azzardano riflessioni filosofiche e visitano la città vicina, il regista decide di volare negli Stati Uniti in cerca del produttore, scoprendo che questi si nasconde da tutti perché la sua vita è in pericolo. "La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico", dice a un certo punto Samuel Fuller, che interpreta il direttore della fotografia. Il film è volutamente rarefatto, soprattutto nella parte centrale, ed estremamente autobiografico (il regista è tedesco, come Wenders, è al suo decimo film e ha pretese autoriali, come appunto quella di girare in b/n): compaiono numerose citazioni cinefile (fra gli attori, oltre a Fuller, c'è anche Roger Corman; viene citato più volte "Sentieri selvaggi" di John Ford; a Hollywood il protagonista si sofferma sulla stella di Fritz Lang sul selciato, e lui stesso si chiama Fritz di nome); nel finale la vicenda porta a una riflessione sul potere dell'industria del cinema nei confronti dell'arte e della vita stessa degli artisti. Proprio la parte finale, comunque, mi è sembrata la più bella e interessante. E Allen Garfield che canta "Hollywood, Hollywood" nella sua roulotte è praticamente indimenticabile, così come la conclusione bruciante con la telecamera che continua a riprendere le immagini della strada e del selciato.

16 dicembre 2006

Quando meno te lo aspetti (G. Marshall, 2004)

Quando meno te lo aspetti (Raising Helen)
di Garry Marshall – USA 2004
con Kate Hudson, John Corbett
*

Visto in TV.

Alla morte della sorella e del cognato, una giovane agente di moda in carriera che non aveva mai pensato in precedenza a farsi una famiglia si ritrova affidati i tre nipoti: nonostante le difficoltà che sorgono sul lavoro e nella sua vita privata, fra i quattro nascerà l’affetto e la protagonista troverà anche l’amore (con un pastore luterano!). Un’insopportabile commedia moralista e di buoni sentimenti, con personaggi superficiali, situazioni stereotipate, gag prevedibili e a volte quasi imbarazzanti. Il regista di “Pretty Woman” non fa nulla per renderla più interessante, anche perché gli attori sono quello che sono. Di nessun interesse.

7 dicembre 2006

Il mio migliore amico (P. Leconte, 2006)

Il mio migliore amico (Mon meilleur ami)
di Patrice Leconte – Francia 2006
con Daniel Auteuil, Dany Boon
***

Visto al cinema Colosseo, con Marisa e Giuliana.

Una commovente pellicola sull'amicizia: Auteuil (bravissimo come sempre) interpreta un arido mercante d'arte che all'improvviso si rende conto che, quando giungerà il momento del suo funerale, nessuno si presenterà in chiesa poiché non ha nessun vero amico. Complice una scommessa si impegna a presentare ai suoi soci il proprio "miglior amico" entro dieci giorni. Dopo molte delusioni, forse lo troverà in un tassista estroverso e appassionato di quiz televisivi. Introspettivo e minimalista, è un film i cui toni a tratti agrodolci sono espressi in maniera delicata e leggera, con tutta la grazia di cui i francesi sono maestri. Come spesso capita nei film di Leconte ("L'uomo del treno", "Confidenze troppo intime", "La ragazza sul ponte"), due soli personaggi sostengono il peso di quasi tutta la vicenda. Stavolta la struttura è un po' meno "simmetrica", visto che l'attenzione è concentrata più su Auteuil che sul secondo personaggio, ma il risultato è comunque bello e equilibrato. Curioso lo spazio dedicato al quiz "Chi vuol essere milionario", naturalmente nella versione francese.

2 dicembre 2006

Labirinto di passioni (P. Almodóvar, 1982)

Labirinto di passioni (Laberinto de pasiones)
di Pedro Almodóvar – Spagna 1982
con Cecilia Roth, Imanol Arias
***

Visto in DVD, con Martin.

Una simpatica, grottesca e variopinta galleria di personaggi nel puro stile dell'Almodóvar degli inizi (si tratta del suo secondo film dopo l'esordio con "Pepi, Luci e Bom"), dove leggerezza e trasgressione – ma mai provocazione fine a sé stessa – si fondono per dar vita a una pellicola comica e trascinante allo stesso tempo. Il mondo è sempre quello della "movida" madrilena, con artisti e musicisti, giovani gay e rocker punk, donne ninfomani e terroristi islamici (fra i quali un giovane Antonio Banderas, all'esordio sul grande schermo), principesse e imperatori di una nazione mediorientale fittizia, intrighi sentimentali e situazioni bizzarre, degne di una screwball comedy. Molto divertente dall'inizio alla fine, e con un'interessante colonna sonora (alcune canzoni sono interpretate da Almodóvar stesso), ricorda per certe cose (come forse ho già detto da qualche altra parte) le storie di "Locas también", il bellissimo fumetto di Jaime Hernandez che fa parte della serie "Love & Rockets". Peccato solo che la traccia audio italiana del DVD fosse in condizioni particolarmente scadenti. La corsa in taxi verso l'aeroporto nel finale sarà ripresa in "Donne sull'orlo di una crisi di nervi". Malamente accolto dalla critica contemporanea, con il tempo (e la successiva ascesa del regista) è diventato un film cult.

30 novembre 2006

Scandalo (A. Kurosawa, 1950)

Scandalo (Shubun)
di Akira Kurosawa – Giappone 1950
Con Toshiro Mifune, Takashi Shimura
**1/2

Visto in DVD, in originale con sottotitoli.

Alcuni fotoreporter di un giornale scandalistico sorprendono due "celebrità" (una cantante e un pittore) in vacanza in atteggiamento apparentemente amichevole. In realtà i due non si conoscono affatto e si sono appena incontrati, ma la fotografia del loro rendez-vous finisce su tutti i giornali e diventa il "caso" del giorno. Nonostante lo scandalo finisca col favorire le loro carriere e accrescerne la notorietà, i due decidono di far causa alla rivista; ne segue un processo che calamita l’attenzione del pubblico: diritto alla privacy contro libertà di stampa! Come si vede, un tema attualissimo che si fa a fatica a credere possa essere stato trattato in maniera così diretta in una pellicola giapponese del 1950... La simpatia di Kurosawa è tutta per i due artisti, anche se a dire il vero il film non è completamente riuscito da questo punto di vista e ben presto spiazza lo spettatore spostando il centro della narrazione in favore di un personaggio introdotto in un secondo momento, l’avvocatucolo incapace e truffaldino interpretato da Takashi Shimura, un uomo fallito e disperato che soltanto all’ultima occasione si riscatta ritrovando il proprio orgoglio. Ambientato a cavallo delle festività di Natale, il film non è male ma non è certo fra i capolavori di Kurosawa.

29 novembre 2006

Kung fusion (Stephen Chow, 2004)

Kung fusion (Kung Fu Hustle)
di Stephen Chow – Hong Kong 2004
con Stephen Chow, Yuen Qiu
***

Rivisto in DVD, con Giovanni.

Nella Shanghai degli anni Trenta, la “gang delle asce” semina terrore e panico con i suoi continui soprusi. Ma i residenti del Vicolo dei Porci, accozzaglia di dimore popolari nel quartiere più povero della città, resistono a ogni tentativo di intimidazione grazie alle inaspettate capacità dei suoi abitanti, fra i quali si nascondono i più grandi maestri di kung fu. L’intervento maldestro di due inetti delinquenti di piccolo calibro, Sing (Stephen Chow) e Osso (Lam Chi-chung), fa però precipitare le cose. E proprio Sing, dopo aver “risvegliato” la propria forza interiore, riuscirà a sconfiggere il sicario inviato dalla banda, il terribile Diavolo (Bruce Leung). Tornato alla regia tre anni dopo il grande successo di “Shaolin soccer” (e non a caso, al suo ingresso in scena, afferma perentoriamente “Niente più calcio!”), Stephen Chow sforna un’altra pellicola di ampio respiro, epica e comicissima al tempo stesso, con cui si prende gioco dell’aspetto più spettacolare del genere delle arti marziali (con evidenti contaminazioni, oltre che dalle pellicole hongkonghesi, dai videogiochi, dai manga e dagli anime giapponesi in stile “Dragon Ball”). E se le risate a crepapelle sono garantite (si pensi alla scena del lancio dei coltelli!), il film è degno di nota anche dal punto di vista produttivo, vantando addirittura una profusione di effetti speciali mai vista prima in un film di Hong Kong. A differenza di altre volte, poi, il regista non ruba la scena con il proprio personaggio e lascia spazio a tutta una serie di individui ben caratterizzati, protagonisti di combattimenti irreali e fantasiosi. Non mancano poi citazioni sparse, da Bruce Lee a "Shining" e "Gangs of New York”. Purtroppo, come il precedente “Shaolin soccer” (anche se non agli stessi infimi livelli), la versione italiana è funestata da un doppiaggio indecoroso, tutto a base di vocine idiote e dialetti. Per fortuna il valore del film è talmente elevato da consentirgli di sopravvivere anche a questo handicap: a tratti, anzi, l'adattamento italiano risulta persino divertente, soprattutto nel caso del personaggio di Yuen Qiu, la dispotica "padrona di casa" del Vicolo dei Porci. Nel cast anche Yuen Wah (il marito della padrona), Danny Chan Kwok-kwan (il leader della "gang delle asce"), Eva Huang (la ragazza muta) e il regista Feng Xiaogang (il capo della "gang degli alligatori").

28 novembre 2006

Il mistero del cadavere scomparso (C. Reiner, 1982)

Il mistero del cadavere scomparso (Dead men don't wear plaid)
di Carl Reiner – USA 1982
con Steve Martin, Rachel Ward
**

Rivisto in DVD, con Albertino.

Avevo visto questa parodia del noir parecchi anni fa e non mi aveva molto impressionato, anche perché allora non avevo saputo cogliere tutte le citazioni di cui è pervasa. Adesso le citazioni le colgo, ma il film continua a non farmi impazzire. La trovata di far interagire e dialogare il protagonista con le più celebri icone del cinema noir degli anni '40 e '50, inserendo nel montaggio spezzoni di film con attori del calibro di Humphrey Bogart, Ava Gardner, James Cagney, Vincent Price, Veronica Lake, Ingrid Bergman, Lana Turner, Bette Davis, Cary Grant, Barbara Stanwyck e chi più ne ha più ne metta, può far sorridere e tutto sommato è anche efficace. Ma alla fine ci si diverte di più a cercare di indovinare da quali film sono tratti gli spezzoni che a seguire la vicenda. Il risultato è infatti farraginoso: personaggi, nomi e situazioni si succedono uno dopo l'altro, senza apparente collegamento. La complessità che ne consegue voleva certamente essere a sua volta un rimando alle opere di autori come Raymond Chandler. Ma a differenza di quelle, non porta da nessuna parte. Anche se le battute non sono particolarmente divertenti, il film è comunque interessante come omaggio verso un genere che col tempo ho imparato ad apprezzare sempre più.

27 novembre 2006

Radio America (R. Altman, 2006)

Radio America (A Prairie Home Companion)
di Robert Altman – USA 2006
con Garrison Keillor, Meryl Streep
***

Visto in DVD, con Martin.

In ricordo di Robert Altman, scomparso la settimana scorsa, io e Martin ci siamo visti il suo ultimo film, che non avevo fatto in tempo a gustarmi al cinema. E non è affatto un caso che "Radio America" sia stato il suo ultimo lavoro, visto che parla proprio della morte: la morte della radio, la fine di un'epoca, la chiusura di un certo tipo di spettacolo, ma anche la scomparsa di una generazione di uomini e di artisti. Ho letto che il regista è morto per le complicazioni di un tumore: dunque è probabile che mentre girasse il film fosse già cosciente della propria imminente fine. Quasi tutta la pellicola si svolge su un palco buio, durante la registrazione della puntata finale di uno spettacolo radiofonico che va in onda da circa cinquant'anni: il teatro da dove viene trasmesso è infatti stato acquistato da una compagnia che intende demolirlo per farne un parcheggio. Parzialmente incuranti della fine imminente, davanti al microfono passano numerosi artisti e cantanti che dilettano il pubblico con canzoni vecchio stile (country, ma anche bluegrass o gospel) e jingle pubblicitari molto retrò. L'atmosfera è calda e malinconica, mentre tra le quinte si aggira silenziosamente una misteriosa donna in impermeabile bianco con l'aspetto di un fantasma: si tratta in realtà di un angelo: è in attesa di qualcosa? A un certo punto, in occasione della morte di un anziano cantante nel proprio camerino, la donna dice alla sua compagna: "La morte di un vecchio non è mai una tragedia. Perdonalo per le sue mancanze e ringrazialo per l'amore e la tenerezza". Impossibile non pensare a questa frase come a un epitaffio per lo stesso Altman. Belle le canzoni (eseguite tutte dal vivo) e bravi gli attori, un cast numeroso e variopinto fra i quali, oltre alla Streep, spiccano Kevin Kline, Lily Tomlin, John C. Reilly, Woody Harrelson, Lindsay Lohan e Virginia Madsen. Per il tema trattato, l'ambientazione e certe atmosfere, il film mi ha ricordato una pellicola che stilisticamente c'entra ben poco: il bellissimo "Goodbye Dragon Inn" di Tsai Ming-Liang.

26 novembre 2006

I figli degli uomini (A. Cuarón, 2006)

I figli degli uomini (Children of Men)
di Alfonso Cuarón – USA/GB 2006
con Clive Owen, Claire-Hope Ashitey
***

Visto al cinema Plinius, con Elena e Andrea.

2027: Da oltre diciott'anni, sulla Terra non nasce più un bambino. Le cause della sterilità sono sconosciute, ma la situazione ha cambiato profondamente l'umanità, rendendola disperata e facendola piombare in un periodo quasi barbarico. Gran parte del mondo è stata distrutta o sconvolta da guerre e radiazioni, e solo l'Inghilterra ne è in qualche modo immune, anche se la politica contro gli immigrati illegali ha raggiunto livelli di estremismo pericolosi. Cuarón, il cui talento mi era già parso evidente nei due suoi film che avevo visto in precedenza ("Y tu mamá también" e il terzo Harry Potter, il migliore della serie) confeziona un'appassionante e impressionante pellicola di fantascienza catastrofica, dai toni molto british che fondono speculazione distopica e denuncia sociale. Espone subito le idee di base, tratte da un romanzo di P.D. James, e poi lascia che i bravi interpreti (ci sono anche alcuni mostri sacri: Julianne Moore, Michael Caine, Peter Mullan) guidino lo spettatore alla scoperta di un mondo senza futuro i cui abitanti sono rassegnati all'imminente estinzione della razza umana, dove non esistono più "giovani" ma in compenso gli animali domestici sono ovunque, dove razzismo e xenofobia la fanno da padroni e l'eutanasia è ormai una scelta di vita (come in "2022: i sopravvissuti"), pubblicizzata persino in televisione. Gli inseguimenti e le sparatorie della seconda parte del film (più "d'azione" rispetto alla prima) hanno un'intensità emotiva molto elevata: il regista fa ampio uso di piani sequenza, con due scene in particolare (quella in automobile e quella nel campo di detenzione per immigrati) che spiccano per tecnica e per lunghezza. Bravo Clive Owen, un eroe "impacciato" con le ciabatte infradito che è costretto a spingere a mano l'automobile con cui fugge.

25 novembre 2006

Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (G. Wilder, 1975)

Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The adventure of Sherlock Holmes' smarter brother)
di Gene Wilder – GB/USA 1975
con Gene Wilder, Marty Feldman
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Sigerson Holmes, fratello "più furbo" di Sherlock, viene coinvolto da una misteriosa donna in una pericolosa avventura, nel corso della quale si troverà ad affrontare il nemico giurato di suo fratello, il professor Moriarty. Scritto e diretto da Wilder e girato soltanto un anno dopo il capolavoro di Mel Brooks "Frankenstein Junior", ne ripropone il trio di protagonisti (oltre a Wilder e Feldman c'è anche Madeline Khan), ma il risultato non è certo allo stesso livello. Lo stile, simile a quello brooksiano, punta tutte le sue carte sulla parodia e sulle gag sguaiate infilate una dietro l'altra, ma non tutte le battute funzionano, anzi sono poche quelle che fanno davvero ridere (per esempio, la scena del telegramma cifrato). Gran parte della vicenda è ambientata nel mondo del teatro e dell'opera, ma anche in questo caso molte trovate sono fiacche (si pensi a cosa avevano saputo fare, in situazioni simili, i fratelli Marx in "Una notte all'opera"!).
Nota: curiosamente, anche nella "realtà" Sherlock Holmes aveva un fratello: Mycroft, più anziano di lui e impiegato nei servizi segreti britannici. Nel film non se ne fa menzione, né è chiaro se Wilder si sia ispirato a questo personaggio per il suo Sigerson (ma ne dubito).

21 novembre 2006

Banlieue 13 (Pierre Morel, 2004)

Banlieue 13 (id.)
di Pierre Morel – Francia 2004
con Cyril Raffaelli, David Belle
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Titolo e trama ricordano due pellicole di John Carpenter (rispettivamente “Distretto 13” e “Fuga da New York”), ma in realtà si tratta di una bessonata, e nemmeno delle migliori. In un futuro prossimo, l’incontrollabile ondata di criminalità nelle periferie parigine costringe le autorità a innalzare dei muri invalicabili attorno alle banlieue, trasformandole in quartieri completamente isolati e abbandonati a sé stessi, dove proliferano bande criminali. Un poliziotto viene incaricato di penetrare in una di queste per recuperare un ordigno a neutroni che esploderà entro ventiquattr’ore. Verrà aiutato da un giovane che è nato proprio nella banlieue e che ha un conto in sospeso con il boss in possesso della bomba. Un action movie semplice e piuttosto scontato, che non brilla né per regia (esageratamente videoclippara, almeno all’inizio) né per recitazione (ed è un peccato che la simpatica Dany Verissimo sia stata così sacrificata). Della sceneggiatura, poi, neanche a parlarne. Buona, tutto sommato, l’ambientazione urbana, con quei palazzoni di cemento. Poco credibili, invece, i tentativi di approfondimento sociale.

13 novembre 2006

Balla coi lupi (K. Costner, 1990)

Balla coi lupi (Dances with Wolves)
di Kevin Costner – USA 1990
con Kevin Costner, Mary McDonnell
***

Visto in DVD, con Martin.

Pur avendo visto in vita mia migliaia di film di ogni genere e di ogni periodo, ho ancora delle lacune relative a titoli importanti. Ogni tanto, grazie anche a stimoli esterni (in questo caso Martin, che da molto tempo voleva convincermi a vederlo), riesco a colmarne qualcuna. Non avevo mai visto "Balla coi lupi" e tutto sommato ero anche un po' prevenuto al riguardo. Mi immaginavo una storia dal sapore new age, magari sdolcinata o compiaciuta. Invece si tratta di un grande film, epico e umano al tempo stesso, con un respiro intenso e un ritmo adeguato al racconto. Naturalmente ne abbiamo visto la versione lunga (tre ore e quaranta), che rispetto a quella originariamente uscita al cinema ha circa un'ora di scene in più: ma non c'è un solo minuto che sembri superfluo. Dopo l'iniziale diffidenza, anche la musica mi ha conquistato.
Trasferito per sua volontà nell'avamposto più remoto della frontiera americana ("voglio vedere la frontiera prima che sparisca per sempre"), il tenente John Dunbar si ritrova a vivere da solo in un territorio sterminato e battuto dal vento. Prima entra in contatto con la natura selvaggia (simbolicamente rappresentata dal lupo) e poi con gli indiani Sioux, con la cui cultura si trova in sintonia al punto da acquisirne lentamente usi e costumi. Un western dai paesaggi sconfinati, completamente e romanticamente dalla parte dei pellerossa, che ha valso al genere il secondo premio Oscar come miglior film della sua storia dopo "I pionieri del west" di Ruggles nel 1931, un riconoscimento negato in passato persino ai mostri sacri come Ford o Hawks: evidentemente, al tempo della sua epoca d'oro, il western era considerato soltanto un prodotto di puro intrattenimento.
Tornando a "Balla coi lupi", mi è sembrato evidente come la pellicola abbia offerto molti spunti a Gianfranco Manfredi per il personaggio di Magico Vento. Comunque, oltre alla bella storia e ai personaggi ben costruiti, il film è notevole anche dal punto di vista tecnico: Costner, alla sua prima regia, padroneggia perfettamente tanto la macchina da presa quanto l'equilibrio narrativo. Mi ha particolarmente colpito la scena della caccia ai bisonti: mi chiedo come sia stata girata! Ho letto sull'imdb che, per quella scena, Costner è stato aiutato dal suo amico Kevin Reynolds (il regista di "Fandango").

12 novembre 2006

Tarzan (C. Buck, K. Lima, 1999)

Tarzan (id.)
di Chris Buck, Kevin Lima – USA 1999
animazione tradizionale
**1/2

Rivisto in DVD, con la mia nipotina Elena.

Poteva forse sembrare che la versione disneyana del celebre personaggio di Edgar Rice Burroughs giungesse fuori tempo massimo: Tarzan e il suo mondo erano già stati rappresentati in innumerevoli versioni nei fumetti, nei cartoni animati e al cinema, ne erano state fatte parodie di ogni tipo e il personaggio era ormai entrato a tal punto nell'immaginario collettivo da rendere difficile credere che se ne potesse trarre qualcosa di nuovo e interessante. Invece il film è gradevole e ben riuscito, grazie anche agli ottimi disegni, ai suggestivi fondali alla Frazetta o alla Hogarth, al character design morbido e originale e a una tecnica di animazione bidimensionale che probabilmente rappresenta lo zenit per quanto riguarda la Disney: i prodotti successivi, infatti, anche se simpatici come "Lilo & Stitch" o "Le follie dell'imperatore", non sono all'altezza di questo dal punto di vista tecnico. E ora che la casa ha deciso di puntare tutte le sue cartucce sull'animazione al computer (riservando quella tradizionale alle pellicole a basso budget o ai seguiti dei vecchi classici da far uscire direttamente in home video), dubito che rivedremo nel breve termine altre opere di questo livello. Particolarmente d'impatto sono le scene dei movimenti di Tarzan sulle liane e sui rami, ma anche quelle degli animali, soprattutto dei gorilla e del leopardo. Per quanto riguarda la storia, mi è piaciuta molto la prima parte con Tarzan ancora neonato e bambino. Con l'arrivo di Jane, di suo padre e del cacciatore, invece, la sceneggiatura si fa più prevedibile e meno interessante. Proprio lo stereotipato cattivo mi è sembrato il punto debole del film: una brutta copia del Gaston de "La bella e la bestia". Non male, invece, i personaggi di contorno (le altre scimmie e l'elefante) e tutto sommato anche Jane, svampita e simpatica. Ah, persino le canzoni di Phil Collins sono belle!

11 novembre 2006

Babel (Alejandro G. Iñárritu, 2006)

Babel (id.)
di Alejandro González Iñárritu – USA/Messico 2006
con Brad Pitt, Cate Blanchett
**1/2

Visto al cinema Excelsior, con Saveria.

Dopo "Amores perros" e "21 grammi", Iñárritu e il suo sceneggiatore Guillermo Arriaga presentano un'altra storia corale, brulicante di vita e di violenza, che ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes. Questa volta, come indicato sin dal titolo, l'argomento è la babele linguistica: e non solo perché i personaggi provengono un po' da tutto il pianeta (le storie narrate nel film si svolgono in Marocco, in Giappone, in Messico e negli USA), ma perché il tema principale è quello della comunicazione e dell'incomprensione fra culture, società e condizioni diverse. Per fortuna l'edizione italiana ha mantenuto i sottotitoli (soltanto l'inglese è stato doppiato), anche perché sarebbe stato impossibile farne a meno nelle scene con i personaggi sordomuti. Un cast insolito e variegato (oltre agli hollywoodiani Pitt e Blanchett, sul cartellone figurano i nomi di Gael García Bernal e Koji Yakusho, ma i ruoli più delicati e importanti sono interpretati da attrici meno note, Adriana Barraza, già vista in "Amores perros" dove era la madre di Bernal, e Rinko Kikuchi) è al centro di vicende drammatiche legate fra loro da fili conduttori esili e forse un po' pretestuosi. L'aspetto più interessante è il sonoro: Le musiche, le canzoni, i suoni e i rumori sono amplificati al massimo e svolgono un ruolo chiave nell'esposizione formale della vicenda, coinvolgendo l'udito dello spettatore come raramente capita: dai colpi di fucile che risuonano contro le pietre nel deserto marocchino all'allegria festosa del matrimonio messicano, dal frastuono della discoteca giapponese al silenzio assordante nel quale vive Chieko. La prima parte mi è parsa davvero folgorante, ricca e profonda: nella seconda alcune storie si dilungano forse troppo e al momento di tirare le fila mi aspettavo qualcosa di più. Inoltre mi ha dato un po' fastidio il comportamento insensato di alcuni personaggi, soprattutto nell'episodio messicano, un difetto che – molto più amplificato – mi aveva fatto detestare un film per molti versi paragonabile a questo, "Crash" di Paul Haggis, che comunque il talento visivo e registico di Iñárritu se lo sognava.

10 novembre 2006

Fascisti su Marte (C. Guzzanti, 2006)

Fascisti su Marte
di Corrado Guzzanti, Igor Skofic – Italia 2006
con Corrado Guzzanti, Marco Marzocca
**1/2

Visto ieri al cinema Apollo, con Albertino.

Di solito non guardo molta TV, ma qualche sketch dei "Fascisti su Marte" di Guzzanti lo avevo visto e lo avevo trovato simpatico. Le avventure fantascientifiche di un gruppo di Arditi, guidati dal gerarca Barbagli, che nel 1939 avevano raggiunto il "rosso pianeta, bolscevico e traditor" perché convinti che "l'Italia ha diritto alla sua espansione... anche in verticale", narrate con lo stile del cinegiornali d'epoca dell'Istituto Luce, sono surreali e a tratti spassose. In questo film il comico ricicla il materiale già trasmesso (quasi tutta la prima parte del film ne è un montaggio), vi aggiunge nuove scene e soprattutto un finale. Il risultato è gradevole, ma dopo una mezz'oretta di visione comincia già ad annoiare: forse si tratta di un tipo di umorismo più adatto a pillole quotidiane che a un lungometraggio. Inoltre la vena parodistica della prima parte tende pian piano ad assumere le sfumature della farsa, per non parlare delle allusioni alla politica moderna che ne annacquano la natura di (falso) documentario. Da salvare comunque la satira del linguaggio del ventennio e dei temi cari all'immaginario fascista, ma anche alcune trovate come la scomparsa di Majorana narrata nel retrolampo (italica versione di "flashback") o i nomi geografici dati alle località marziane ("Crepaccio ma non mollo", "Valli Alida"). E naturalmente il conto alla rovescia con i numeri romani.

9 novembre 2006

Il bandito senza nome (J. L. Mankiewicz, 1946)

Il bandito senza nome (Somewhere in the night)
di Joseph L. Mankiewicz – USA 1946
con John Hodiak, Nancy Guild
***

Visto in DVD.

Alla fine della seconda guerra mondiale, un uomo si risveglia in un ospedale da campo a Okinawa. È ferito al volto, ma soprattutto è vittima di un'amnesia e non ricorda nulla, nemmeno il proprio nome. Gli unici legami con il passato sono due misteriose lettere: la prima è da parte di una donna che scrive di odiarlo, l'altra di Larry Cravet, un misterioso "amico" che gli ha lasciato cinquemila dollari presso una banca di San Francisco. Indagando, il protagonista scopre che Cravet è ricercato per omicidio e per il furto di due milioni di dollari. E che facendo troppe domande su di lui si rischia di attirare l'attenzione di personaggi poco raccomandabili... Un intricato giallo-noir su un tema classico, quello dell'uomo senza passato in cerca della propria identità e che, a un certo punto, non potrà che sospettare di essere proprio lui il criminale che tutti stanno cercando. Mankiewicz, al suo secondo film, è abile a descrivere "un'odissea notturna e onirica tra manicomi, locali notturni, porti e ospizi dell'esercito della salvezza" [Mereghetti] e un personaggio ossessionato dalla ricerca della verità. Il fatto poi che sia un reduce di guerra gli aggiunge profondità e spessore. Ottimo il cast, che comprende anche caratteristi come Richard Conte e Fritz Kortner.

8 novembre 2006

Vera Cruz (Robert Aldrich, 1954)

Vera Cruz (id.)
di Robert Aldrich – USA 1954
con Gary Cooper, Burt Lancaster
***

Visto in DVD.

Un bel western di ambientazione messicana, dal ritmo serrato e con numerosi capovolgimenti narrativi. Cooper e Lancaster sono due dei tanti avventurieri che si sono recati in Messico in cerca di fortuna approfittando della guerra civile fra le truppe dell'imperatore Massimiliano e i ribelli di Juárez. Vengono incaricati dall'imperatore in persona di scortare la carrozza di una contessa dalla capitale fino al porto di Vera Cruz, dove dovrà imbarcarsi per l'Europa. Ma la carrozza contiene in realtà un carico d'oro che fa gola tanto ai due americani quanto ai ribelli e persino alla stessa nobildonna: le alleanze si stringono e si sciogliono in un susseguirsi di colpi di scena, con tutti che, prima o poi, progettano di tradire tutti. I due protagonisti, amici-rivali ed esperti tiratori, non potrebbero essere più diversi fra loro. Cooper, ex colonnello sudista, è un gentiluomo tutto d'un pezzo e dai modi cortesi. Lancaster, invece, una "simpatica canaglia" che guida col pugno di ferro un gruppo di desperados poco raccomandabili, fra i quali c'è anche Ernest Borgnine. Il primo ("l'eroe") è sempre serio e veste di chiaro; il secondo ("l'anti-eroe") è perennemente sorridente e veste di nero. Suggestivi alcuni scenari, come il palazzo dell'imperatore o il passaggio della carovana all'ombra delle piramidi azteche. Memorabile anche l'assalto finale alla fortezza imperiale da parte dei ribelli. Per certi versi sembra anticipare alcuni temi, personaggi e ambientazioni degli spaghetti western.

7 novembre 2006

All the invisible children (aavv, 2005)

All the invisible children
di Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo – Italia 2005
**

Visto in DVD, con Albertino.

Film a episodi concepito da produttori italiani (fra cui Maria Grazia Cucinotta) sul tema dei "bambini invisibili" e delle loro condizioni disagiate in diverse parti del mondo: all'operazione, patrocinata dall'Unicef, si sono prestati alcuni grandi registi con cortometraggi di 15-20 minuti. Il risultato non è male, anche se lo stile tende troppo al leccato e alcuni episodi mancano di mordente. Il migliore mi è parso il segmento di Kusturica, ma anche quello di Spike Lee è molto bello. Interessanti, a modo loro, quelli di Ridley Scott (in compagnia della figlia Jordan, che ne ha anche scritto la sceneggiatura) e di John Woo. Gli altri tre sono assolutamente dimenticabili. Scendendo nei dettagli:

"Tanza" di Mehdi Charef, con Adama Bila (**). Girato in Burkina Faso ma ambientato in un paese africano imprecisato, racconta di un bambino guerrigliero incaricato di far saltare in aria la scuola di un villaggio. Interessante ma esile e dalla confezione forse fin troppo pulitina.

"Blue Gypsy" di Emir Kusturica, con Uroš Milovanović e Goran R. Vračar (***). Un giovane zingaro, terminato il suo periodo di detenzione in un centro per il recupero minorile, ne esce soltanto per farci ritorno volontariamente quasi subito. Il solito scoppiettante Kusturica, con il suo humour, la musica, la simpatia contagiosa per i propri personaggi.

"Jesus Children of America" di Spike Lee, con Hannah Hodson, Andre Royo (***). Una bambina di Brooklyn viene emarginata dalle compagne di scuola perché i suoi genitori sono tossici e sieropositivi. L'episodio più triste e intenso del film. Ottimi gli attori.

"Bilu & João" di Katia Lund, con Francisco Awanake e Vera Fernandez (*1/2). Due ragazzini di una favela brasiliana vagabondano per le strade di São Paolo in cerca di rifiuti, lattine e cartoni da rivendere. Assieme a quello italiano (vedi poi), è l'episodio che mi ha detto di meno: anche lo spaccato di vita che presenta mi è sembrato un po' troppo idealizzato.

"Jonathan" di Jordan Scott e Ridley Scott, con David Thewlis e Kelly MacDonald (**). Un fotografo di guerra fa ritorno alla propria infanzia e attraversa un mondo violento pieno di orfani che vivono in gruppo. Un episodio onirico, strano e surreale, con la solita fotografia luminosa dei film di Scott. Non del tutto convincente, comunque.

"Ciro" di Stefano Veneruso, con Daniele Vicorito ed Ernesto Mahieux (*1/2). Ambientato in una Napoli piena di musicisti e saltimbanchi, presenta un ragazzino che vive rubando i rolex agli automobilisti ma che in fondo, come i suoi compagni, sogna ancora di andare sulle giostre. Piatto e stereotipato, con una confezione forse troppo lussuosa per l'argomento (la fotografia è di Storaro). Veneruso è un produttore che ha lavorato come aiuto regista sui set de "La passione di Cristo" e "Gangs of New York".

"Song Song & Little Cat" di John Woo, con Zhao Zhicun, Qi Ruyi (**1/2). È la storia di due bambine unite da una bambola che passa di mano dall'una all'altra. Song Song è ricca ma soffre per la separazione dei genitori, Little Cat è una trovatella allevata da un vecchio senzatetto. Un racconto strappalacrime, forse non del tutto nelle corde di John Woo, che comunque fa un buon lavoro grazie anche alle due ottime attrici in erba (quella che interpreta Song Song sarebbe adatta per un film dell'orrore, tanto ha un volto inquietante!).

6 novembre 2006

Bubble (Steven Soderbergh, 2005)

Bubble (id.)
di Steven Soderbergh – USA 2005
Con Debbie Doebereiner, Dustin Ashley
**

Visto in DVD, con Martin.

Una donna che lavora in una fabbrica di bambolotti vede la sua amicizia con un collega di lavoro minacciata dall'arrivo di una nuova lavorante, più giovane e carina. Segue tragedia. Si è parlato tanto di questo film per questioni produttive e distributive (il regista lo ha fatto uscire contemporaneamente nei cinema, in DVD e alla TV via cavo), e verrebbe da dire "tanto rumore per nulla". Si tratta infatti di un filmettino non brutto, ma che in fondo dice ben poco. Abile a descrivere la squallida esistenza degli abitanti delle periferie americane, non è però particolarmente interessante né originale. Ci ho trovato il solito Soderbergh, che gioca a fare un cinema indipendente e autoriale ma che non raggiunge mai la profondità desiderata. Comunque è meglio della maggior parte delle sue cose che ho visto e, naturalmente, delle sue opere hollywoodiane tipo "Ocean's eleven".
Nota: gli attori sono tutti non professionisti, anche la protagonista che ho trovato abbastanza brava e convincente, in un ruolo alla Kathy Bates. Pare anche che molti dialoghi siano stati improvvisati sul set: ma questo, a differenza di operazioni analoghe, guardando il film non si nota per nulla.

5 novembre 2006

V per vendetta (J. McTeigue, 2005)

V per vendetta (V for Vendetta)
di James McTeigue – USA 2005
con Natalie Portman, Hugo Weaving
**1/2

Visto in DVD, con Martin.

Remember, remember the Fifth of November…”: comincia così una filastrocca per bambini, celebre nel Regno Unito e nei paesi anglosassoni, che ricorda il ‘giorno delle polveri’, il 5 novembre 1605, quando l’anarchico Guy Fawkes tentò di far saltare il aria il parlamento britannico con l’esplosivo. A lui si ispira il misterioso protagonista di questo film tratto da uno dei più celebri fumetti scritti dal grande Alan Moore, ambientato in un futuro prossimo e parallelo in cui una dittatura fascista, religiosa e omofobica si è impadronita della Gran Bretagna. Quando era uscito al cinema non ero riuscito a vederlo, e l'ho recuperato solo adesso in DVD. Per una curiosa coincidenza, poi, l'ho visto proprio il 5 novembre. Che dire? Le aspettative per una cocente delusione c'erano tutte: 1) i fratelli Wachowski come sceneggiatori e produttori; 2) Alan Moore che chiede persino di non essere citato nei titoli (compare soltanto la dicitura "dal fumetto illustrato da David Lloyd"); 3) il fatto che gli altri film tratti da opere dello "zio" fossero schifezze (nel peggiore dei casi: "La leggenda degli uomini straordinari") o versioni molto banalizzate (nel migliore: "From Hell"). E invece non mi è poi dispiaciuto. Come film funziona bene, e fortunatamente la voce che avevo sentito sui cambiamenti alla trama (e cioè che la dittatura in Inghilterra fosse dovuta a un mondo parallelo nel quale la Germania aveva vinto la guerra: come a dire, non siamo stati noi a fare del male a noi stessi, sono stati gli altri, "i cattivi", a toglierci la libertà) si è rivelata infondata. Pur con una regia non troppo brillante, il film tratta di concetti sociopolitici piuttosto delicati in maniera tutto sommato convincente, e a tratti si ha l'impressione che sia qualcosa di più che non l'ennesima rilettura di Orwell e di un mondo sconvolto da una dittatura oppressiva con annesso controllo mass-mediatico. Certo, le scene migliori sono quelle prese di sana pianta dal fumetto (per esempio, tutta la sequenza della finta prigionia di Evey), ma tutto sommato il personaggio di V è stato reso bene (la voce, nella versione originale, è di Hugo Weaving), anche se a tratti sembra un supereroe come Batman. Forse solo il finale, così americano e “democratico”, lascia qualche perplessità. Interessanti i rimandi interni (V come Edmond Dantès, la lettera V e il numero 5…), anche se rispetto al fumetto di Moore sono più banali ed espliciti. Molto brava la Portman, soprattutto in versione “dura” e rasata. Buono il cast di contorno, con volti noti come Stephen Rea (il poliziotto Finch), Stephen Fry (il comico televisivo Gordon) e John Hurt (il dittatore Sutler).

3 novembre 2006

The departed (M. Scorsese, 2006)

The Departed – Il bene e il male (The Departed)
di Martin Scorsese – USA 2006
con Leonardo DiCaprio, Matt Damon, Jack Nicholson
***1/2

Visto al cinema Plinius, con Marisa e Giuliana.

Sullivan (Damon), infiltrato nella polizia di Boston per conto di un gangster che gli fa quasi da padre, pare avviato a una brillante carriera e ha conquistato la fiducia dei suoi superiori che ne ignorano la natura di talpa. Costigan (DiCaprio), invece, ha seguito il percorso opposto: è un poliziotto infiltrato nella banda del criminale, e agli occhi di tutti non è che un fallito e un delinquente da quattro soldi. Ma i due personaggi sono molto più simili fra loro di quanto sembri: condividono non solo la stessa origine (il quartiere irlandese di Boston) e gli stessi problemi (la mancanza di una figura paterna), ma anche lo stesso destino (una vita di menzogne e finzioni) e persino la stessa donna (non a caso una psichiatra, visto il forte rischio per entrambi di smarrire la propria identità).

Di fronte a un remake hollywoodiano, di solito, ci si aspetta il peggio. Ma Scorsese è uno dei miei registi preferiti ed ero quasi sicuro che il suo rifacimento di "Infernal Affairs", uno dei thriller hongkonghesi più interessanti degli ultimi anni, non mi avrebbe deluso. E infatti il film è molto bello, teso e avvincente, con un finale duro e personaggi memorabili. Il tutto grazie alla mano del grande autore, a una confezione impeccabile e a un ottimo montaggio che consente di fondere alla perfezione le storie "parallele" dei due personaggi principali, al punto che quasi non ci si accorge che per gran parte del film Damon e DiCaprio non si incontrano mai. Gli attori sono tutti all’altezza, con una menzione particolare per il sornione e luciferino Jack Nicholson nei panni del boss mafioso Frank Costello, qui ai livelli delle sue interpretazioni migliori. È anche il terzo film consecutivo di Scorsese con DiCaprio, dopo "Gangs of New York" e "The aviator": probabilmente il migliore dei tre, anche se gli altri due (soprattutto il primo) non mi erano affatto dispiaciuti. Il sottotitolo italiano, "Il bene e il male", richiama il dualismo sul quale si basa l'intera pellicola. "The departed" presenta infatti un mondo chiaramente diviso in due, dove però la luce e il buio danno vita ad ampie zone d'ombra e i ruoli dei personaggi, poliziotti o criminali che siano, si fondono e si mescolano dietro le quinte. Rispetto al film di Andrew Lau e Alan Mak ho notato due cambiamenti importanti. I personaggi della psichiatra e della fidanzata della "talpa" mafiosa sono stati fusi in una sola persona (e la cosa, stranamente, funziona bene: anzi, giustifica meglio alcuni passaggi narrativi), e naturalmente è diverso il finale, meno cinico e più "morale", in linea con il cinema di Scorsese: ma l'ultima scena, quella che vede il ritorno del personaggio interpretato da Mark Wahlberg, era quasi necessaria e inevitabile viste le premesse. Nota: Frank Costello è soltanto omonimo del gangster italo-americano realmente esistito e, ovviamente, anche del personaggio interpretato da Alain Delon nel film di Jean-Pierre Melville (che peraltro, in originale, si chiamava Jeff e non Frank!).

2 novembre 2006

Nick's movie (W. Wenders, N. Ray, 1980)

Nick's Movie - Lampi sull'acqua (Lightning over Water)
di Wim Wenders [e Nicholas Ray] – Germania/USA 1980
con Wim Wenders, Nicholas Ray
**

Visto in DVD con Martin, in originale con sottotitoli.

Nel 1979, durante le pause della lavorazione di "Hammett", Wenders si è recato a New York da Nicholas Ray (il regista di "Gioventù bruciata" e "Johnny Guitar"), uno dei suoi numi tutelari che già aveva voluto come attore in "L'amico americano". Ray era malato di tumore e gli restava poco da vivere: questo film, che i due hanno girato insieme in quei giorni, documenta i loro incontri fino alla morte di Ray e il suo funerale con l'urna trasportata da una giunca cinese sul fiume Hudson. La struttura del lungometraggio è piuttosto insolita, trattandosi in un certo senso del making of di sé stesso. Il tema principale, ovviamente, è la morte: a un certo Wenders si rende conto di essere affascinato dall'idea di "filmare" la scomparsa dell'amico. Comunque, argomento a parte, non mi è piaciuto particolarmente: è un po' troppo confuso e procede a tentoni, senza una direzione precisa, anche se forse era inevitabile vista la natura impulsiva e improvvisata del progetto.

Nota: Il titolo sulla custodia del DVD era "Nick's Film", ma qui ho preferito usare la forma più comune, quella sempre citata nei libri e nelle filmografie.

Occhi di serpente (A. Ferrara, 1993)

Occhi di serpente (Snake Eyes, aka Dangerous Game)
di Abel Ferrara – USA 1993
con Harvey Keitel, James Russo, Madonna
*1/2

Visto in DVD, con Martin.

Eddie Israel (Keitel), regista alle prese con un attore difficile (James Russo), deve fronteggiare anche le proprie crisi coniugali. Ferrara torna a lavorare con Keitel dopo "Il cattivo tenente", ma il risultato non è all'altezza di quel capolavoro. Girato tutto in interni, implausibile e gridato, è un film che non mi è piaciuto e col quale non sono riuscito a entrare in sintonia. Anche come "cinema nel cinema" funziona poco e non è particolarmente interessante: sul set Eddie, più che al film, sembra interessato solo alla direzione degli attori e non fa mai un commento sulle inquadrature o su qualsivoglia aspetto tecnico della lavorazione. Il personaggio di Madonna, che pure narrativamente dovrebbe essere al centro dell'attenzione (è la causa scatenante delle bizze dell'attore principale e della crisi fra Eddie e sua moglie), soffre di scarsa caratterizzazione. Nel finale, nella vita privata del regista, assistiamo a una scena madre esagitata proprio come quelle del film che sta girando. Brutto il doppiaggio italiano, con voci mai sincronizzate con i labiali. Non ho capito il titolo (gli "occhi di serpente" sono il punteggio più basso che si possa fare tirando i dadi, due, e sono sinonimo di sfortuna: ma dov'è la sfortuna in questo film?). Pare che originariamente la durata fosse elevata (oltre tre ore), prima che Madonna insistesse su una serie di tagli. Da non confondere con "Omicidio in diretta" di Brian De Palma con Nicolas Cage, che in originale si intitola anch'esso "Snake Eyes".

1 novembre 2006

Gli incredibili (Brad Bird, 2004)

Gli incredibili - Una normale famiglia di supereroi (The Incredibles)
di Brad Bird – USA 2004
animazione digitale
**1/2

Rivisto in DVD, con Giuliana e la mia nipotina Elena.

Già quando l'avevo visto al cinema non mi aveva convinto del tutto. Intendiamoci: è sì bello e divertente, ma dalla Pixar ci si attende sempre qualcosa di memorabile e innovativo. "Gli incredibili", invece, è il loro film meno originale, ha meno inventiva del solito e non dice nulla di nuovo sul tema che affronta, limitandosi a riciclare idee che chi legge fumetti da una vita – come me – non può che trovare fin troppo familiari. L'idea di una famiglia di supereroi proviene dritta dai Fantastici Quattro (così come alcuni poteri: Elastigirl è una copia di Mr. Fantastic, mentre Violetta ha le stesse caratteristiche della Donna Invisibile, campi di forza compresi; per non parlare dei costumi con le "molecole instabili"), mentre il concetto degli eroi ripudiati dalla società e costretti a rinunciare all'identità segreta era già presente nel Watchmen di Alan Moore. Se poi si aggiunge la mancanza di un livello di lettura più adulto, i cliché e la retorica dei film d'azione e avventurosi e le troppe situazioni scontate (dalla spalla che diventa villain all'equivoco del "tradimento coniugale", dalle riflessioni su mediocrità ed eccellenza alla gag del mantello che rimane impigliato – anch'essa mutuata da Watchmen), ecco che del film si salvano quasi soltanto le scene d'azione, il livello tecnico (stupendi quei costumi umidi dopo essere stati bagnati!) e il look retrò, sebbene anch'esso sia ormai inflazionato (sin dai tempi delle Batman Adventures). Inoltre si tratta del primo film Pixar con personaggi umani: anche questo, secondo me, è stato un errore. Ritengo infatti che la CGI vada bene per animare oggetti, animali o mostri, ma sia spesso immotivata (almeno ai livelli odierni) nel caso degli esseri umani: tutto il film, in fondo, avrebbe potuto essere realizzato in live action e forse sarebbe stato più coinvolgente ed emozionante.

Alcune curiosità. Anche gli altri personaggi hanno poteri che ricordano celebri supereroi fumettistici: Mr. Incredibile è praticamente un Superman senza la capacità di volare (e, almeno all'inizio, con una macchina che sembra la bat-mobile); Flash è, appunto, Flash; Lucius è l'Uomo Ghiaccio degli X-Men. E nel finale, ecco il Minatore... alias l'Uomo Talpa! Nel film, comunque, non si usa mai il termine "supereroi", preferendo chiamarli semplicemente "super": problemi di copyright, visto che negli USA la parola è un marchio registrato di Marvel e DC? In ogni caso, i distributori italiani l'hanno inserita impunemente nel titolo! Per quanto riguarda il doppiaggio italiano, ho trovato ai limiti dell'insopportabilità la voce di Elastigirl (Laura Morante), mentre particolarmente azzeccata è quella della stilista Edna (Amanda Lear), il personaggio migliore di tutto il film.

27 ottobre 2006

Il massacro di Fort Apache (John Ford, 1948)

Il massacro di Fort Apache (Fort Apache)
di John Ford – USA 1948
con John Wayne, Henry Fonda
***

Visto in DVD.

Un classico di Ford che presenta – in versione romanzata – uno degli episodi più celebri delle guerre contro gli indiani, la battaglia con gli Apache di Cochise e Geronimo. Se John Wayne interpreta un capitano di cavalleria che conosce molto bene i "selvaggi" e desidera instaurare con loro una trattativa di pace, il vero protagonista del film (pur se in negativo) è Henry Fonda nei panni del colonnello appena assegnato al forte, un uomo orgoglioso e ambizioso che disprezza gli indiani ed è convinto di poterli sconfiggere facilmente per coprirsi di gloria e farsi così assegnare a incarichi più prestigiosi. Ma non otterrà altro che la sconfitta e il massacro dei propri soldati in un finale amaro e tutt'altro che glorioso, privo del consueto "arrivano i nostri", con Cochise e i suoi guerrieri che svaniscono lentamente, vittoriosi, fra le nuvole di polvere. Comincerà una nuova era di guerra, che coinvolgerà anche i "pacifisti" come Wayne e che vedrà il colonnello ricordato come un eroe. Per una volta, anche se lo sguardo di Ford è naturalmente tutto puntato sui bianchi, la consueta divisione in buoni e cattivi è tutt'altro che marcata e c'è una discreta sensibilità verso i pellerossa. Del film mi sono piaciute le consuete caratteristiche dei western fordiani. Oltre alla maestria tecnica (e agli stupendi paesaggi della Monument Valley, corredati da altrettanto stupende nuvole che nel bianco e nero risaltano ancora di più) c'è la coralità della vicenda, che segue i numerosi personaggi durante la loro quotidiana vita al forte: il giovane tenente appena giunto dall'accademia, il suo amore con la figlia del colonnello (Shirley Temple!), i rudi sergenti cui sono affidati i momenti più comici della storia, le reclute da addestrare, il vecchio dottore, l'infido agente del governo, il tragico ex comandante del forte che morirà alla vigilia del suo trasferimento, le mogli rimaste ad attendere durante la battaglia, la cameriera messicana, ecc. ecc.). Per oltre un'ora, all'inizio, non si parla poi né di guerre né di massacri: al forte è tempo di risate, di danze e di balli, di corteggiamenti e di battibecchi, in un misto di leggerezza e dramma davvero indimenticabile. Molti personaggi e situazioni mi hanno ricordato alcuni episodi di Tex: non c'è dubbio che questo tipo di film ne abbia costituito una grande fonte di ispirazione.

26 ottobre 2006

Pinocchio (B. Sharpsteen, H. Luske, 1940)

Pinocchio (id.)
di Ben Sharpsteen, Hamilton Luske – USA 1940
animazione tradizionale
***1/2

Rivisto in DVD, con la mia nipotina Elena (quasi quattro anni).

Il secondo lungometraggio Disney dopo "Biancaneve" è tuttora uno dei migliori classici di animazione della casa di Burbank. Stupenda soprattutto la prima parte, con la magnifica sequenza nella casa di Geppetto (ben 35 minuti), fra orologi a cucù di ogni tipo, un'atmosfera da villaggio alpino (sembra di essere in Svizzera, in Tirolo o in Baviera, non certo nella Toscana di Collodi!), il grillo parlante che introduce lo spettatore alla storia, i battibecchi fra il gatto Figaro e la pesciolina Cleo, l'arrivo della fata azzurra (unico personaggio in rotoscope). L'animazione è calda, fluida e convincente. Gradevole anche la colonna sonora: non a caso il tema di When you wish upon a star è diventato il motivo musicale per eccellenza della Disney, presente tuttora nel suo logo introduttivo. La trama non è fedelissima al racconto di Collodi (gli elementi moralistici e pedagogici sono annaquati da un taglio più avventuroso e simpatico; Pinocchio stesso, più che bugiardo e indisciplinato, è fondamentalmente buono e ingenuo, vittima innocente dei raggiri del Gatto e della Volpe), ma ne conserva gli elementi principali (il naso che si allunga è presente in una sola occasione e non ha grande importanza nell'economia della vicenda, per esempio). Certo che a rivederlo oggi, alcuni passaggi del film fanno scalpore: i bimbi che fumano, per esempio, o il fatto che i "cattivi" rimangano impuniti o che nessuno salvi Lucignolo e gli altri bambini dal loro crudele destino (d'altronde era così anche nel romanzo di Collodi). È strano che gli americani non ne abbiano ancora fatto una versione politically correct (a differenza di "Fantasia", dal quale sono state epurate le scene con le centaurine "di colore"), anche se prima o poi arriverà l'inevitabile adattamento in live action. La parte finale, quella con la balena, è forse meno bella di tutto il resto, ma nel complesso il film rimane un grande classico degno del primissimo periodo dell'era Disney, quello dei cinque capolavori in cinque anni (1937-1942). Oltre a Sharpsteen e Luske, hanno diretto alcune sequenze anche Bill Roberts, Norman Ferguson, Jack Kinney, Wilfred Jackson e T. Hee.

18 ottobre 2006

L'alba dei morti dementi (E. Wright, 2004)

L'alba dei morti dementi (Shaun of the dead)
di Edgar Wright – Gran Bretagna 2004
con Simon Pegg, Kate Ashfield, Nick Frost
***

Rivisto in DVD, con Valeria e Martin.

Il genere zombi alla Romero mi piace molto, e questa parodia ne fonde perfettamente i tratti caratteristici con quelli dell'umorismo britannico e della commedia sentimentale. La prima parte, nella quale il protagonista non si rende conto dell'invasione in atto perché troppo preso dai suoi problemi quotidiani, è davvero esilarante. La regia non perde occasione per sottolineare paralleli ironici fra l'apatia degli zombi e quella dei "normali" esseri umani, con un'ironia tipicamente british che è anche una sorta di satira sociale. Persino i classici momenti costruiti per far sussultare gli spettatori, con la comparsa improvvisa di una possibile minaccia proveniente da fuori campo, sono sempre associati a situazioni del tutto innocue. La seconda parte si dipana invece più sullo stile di un classico zombie movie, con i protagonisti asserragliati in un luogo chiuso (ovviamente un pub!) e alle prese con orde di mostri, anche se non mancano gag e battute più o meno irriverenti, fino al finale risolutivo. Chi ama i classici di Romero non potrà non restarne affascinato, anche se il lungometraggio brilla comunque di luce propria, con situazioni spassose e personaggi tremendamente inglesi, oltre che diverse citazioni a film, serial e videogiochi, e una contagiosa energia di fondo. Nel cast, diversi attori e comici britannici, soprattutto televisivi (fra gli altri: Dylan Moran, Martin Freeman, Tamsin Greig, Julia Deakin). Il successo del film ha lanciato le carriere del regista Edgar Wright (praticamente esordiente al cinema: un suo precedente lavoro, l'amatoriale "A fistful of fingers", non è mai stato distribuito commercialmente) e del protagonista Simon Pegg (entrambi co-sceneggiatori), che in precedenza avevano lavorato insieme nella sitcom televisiva "Spaced" e che in seguito torneranno a collaborare in altre pellicole comico-parodistiche ("Hot Fuzz" e "La fine del mondo", che con questa, pur non avendo personaggi in comune, formano un'ideale trilogia "ai tre gusti del Cornetto").

17 ottobre 2006

Prima del calcio di rigore (W. Wenders, 1971)

Prima del calcio di rigore (Die Angst des Tormanns beim Elfmeter)
di Wim Wenders – Germania 1971
con Arthur Brauss, Kai Fischer
**1/2

Visto in VHS con Martin, in originale con sottotitoli.

Abbiamo finalmente recuperato una copia del primo film di Wenders (in realtà il secondo: esiste un lungometraggio precedente, "Summer in the City", mai distribuito), che al momento non è ancora uscito in DVD. Quando lo avevo visto per la prima volta, anni fa, non mi era piaciuto molto e lo avevo trovato inconcludente e confuso. Adesso invece, dopo aver già "macinato" tante altre pellicole di Wenders, l'ho apprezzato di più perché vi ho ritrovato molti dei temi presenti nelle sue opere successive: l'ossessione per gli Stati Uniti (i personaggi ascoltano canzoni americane, parlano di viaggi in America, hanno monete e banconote statunitensi mescolate a quelle austriache), l'ambientazione di confine (qui, credo, fra Austria e Germania), il girovagare senza meta di un personaggio irrequieto, l'alienazione, i bar e i juke-box. È proprio vero che i registi bravi più li si conosce e più li si apprezza. Il titolo originale completo recita "La paura del portiere prima del calcio di rigore" (al di là della metafora, il protagonista è in effetti un portiere di calcio. Dopo che è stato espulso in una partita, lo vediamo viaggiare per l'Austria, commettere un misterioso e inspiegabile omicidio e poi cercare di riallacciare i contatti con un'amica del passato). Il film è tratto da un romanzo di Peter Handke, che ha collaborato con Wenders alla sceneggiatura.

16 ottobre 2006

Memorie di una geisha (Rob Marshall, 2005)

Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha)
di Rob Marshall – USA 2005
con Zhang Ziyi, Michelle Yeoh, Gong Li
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Ancora bambina, la giovane Chiyo (Zhang Ziyi) viene venduta dalla famiglia a una casa di geishe di Kyoto. Tormentata dalla veterana Hatsumomo (Gong Li), ma protetta dalla sua rivale Mameha (Michelle Yeoh), dopo anni di sofferenze e sacrifici diventerà una delle geishe più celebri del paese con il nome di Sayuri. Mi ero accinto a vedere questo film con molti pregiudizi, convinto che si trattasse di un polpettone barocco e pesante, dal gusto americano e lontano dalla sensibilità giapponese nonostante il tema fosse uno di quelli più legati alla cultura nipponica: la figura della geisha, intrattenitrice ed artista che in occidente viene spesso scambiata con una prostituta. Ma se in effetti la prima parte – quella con la protagonista ancora bambina – è un po' stucchevole, e il finale sembra quasi posticcio (mi chiedo se fosse uguale nel libro di Arthur Golden da cui il film è tratto), la parte centrale non mi è dispiaciuta. Grazie anche a tre protagoniste di ottima levatura (due delle quali, la superba Gong Li e l'elegante Michelle Yeoh, sono fra le mie attrici preferite), la "rivalità" fra le due geishe esperte che coinvolge la giovane maiko diventa il vero cuore del film, mentre la descrizione di un mondo e di riti e costumi che dopo la guerra iniziano a scomparire forse troppo in fretta è efficace solo a tratti e non aiuta a capire se ci si trova di fronte a un rimpianto genuino o meno. Colpa della sceneggiatura, che semplifica eccessivamente i sentimenti e le emozioni dei personaggi, e di una regia manieristica che punta troppo sulla fotografia. Per comprendere davvero il mondo delle geishe c'è sicuramente di meglio, per esempio uno dei tanti film di Mizoguchi sull'argomento. Una nota sulle attrici: quando il film è uscito c'è stata una certa polemica sul fatto che le tre protagoniste non fossero giapponesi ma cinesi. Spielberg e gli altri produttori hanno probabilmente preferito affidarsi a nomi già noti in occidente, anche perché raramente i nipponici hanno una buona padronanza dell'inglese. Nel cast, comunque, ci sono anche Ken Watanabe, Koji Yakusho e Kaori Momoi.

14 ottobre 2006

Lola corre (Tom Tykwer, 1998)

Lola corre (Lola rennt)
di Tom Tykwer – Germania 1998
con Franka Potente, Moritz Bleibtreu
***

Rivisto in DVD, con Michele.

Fantasioso e videoclipparo, il film che ha fatto conoscere Tykwer è un energico e movimentato viaggio nel mondo del caso e delle coincidenze, ispirato probabilmente a Tarantino per i personaggi e la struttura temporale ma anche e soprattutto a pellicole "a bivi" come "Destino cieco", "Sliding Doors" o "Smoking/No Smoking": la vicenda viene infatti ripetuta tre volte, ogni volta con lievi modifiche che portano a un risultato del tutto differente. La trama, in sé, è molto semplice: Lola, una giovane ragazza, ha solo venti minuti di tempo per trovare 100.000 marchi prima che il suo balordo fidanzato, che li doveva consegnare a un gangster e li ha dimenticati sulla metropolitana, compia una rapina per disperazione. Tykwer ricorre a ogni espediente tecnico per raggiungere un risultato finale molto estetizzante: la musica, ritmica e ossessiva come il ticchettio di un orologio; i disegni animati, realizzati da Gil Alkabetz (di cui, anni fa, avevo visto ed apprezzato ad Annecy un divertente cortometraggio chiamato "Rubicon"); gli improvvisi squarci nel futuro delle persone che Lola incrocia durante la sua forsennata corsa; l'uso rapido e conciso dei flashback; i cambi di inquadrature e di prospettive nel mostrare sequenze apparentemente ininfluenti (come l'attraversamento di una piazza dalla pavimentazione geometrica). C'è anche il sospetto, a dire il vero, che alcuni elementi del film siano stati inseriti in maniera un po' gratuita e velleitaria (i discorsi filosofici introduttivi, per esempio, che vogliono dire tutto e nulla), ma la pellicola si lascia ricordare anche per i due bravi attori e per le immagini della Potente (nomen omen) che corre con la capigliatura rosso fuoco al vento.

11 ottobre 2006

Chicken Little (M. Dindal, 2005)

Chicken Little – Amici per le penne (Chicken Little)
di Mark Dindal – USA 2005
animazione digitale
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Già nel 1943 la Disney aveva realizzato un cortometraggio sulla favola di Chicken Little, un pulcino dotato di troppa immaginazione che metteva in subbuglio l'intero pollaio perché convinto che il cielo gli stesse cadendo sulla testa. Nel tentativo di affrancarsi dalla Pixar, per il suo primo film in CGI ("Dinosaur" a parte) la casa di Burbank ha ripescato il vecchio personaggio, modificandolo però profondamente e rivoluzionandone la morale di fondo. Se nella vecchia versione Chicken Little si sbagliava (era stato soltanto colpito da una ghianda), adesso ha ragione e diventa un eroe: il cielo che cade fa infatti parte di un'astronave di alieni che metteranno in pericolo la sua città natale, una metropoli abitata da buffi animali antropomorfi (ci sono persino pesci che vanno in giro con lo scafandro, come i mostri Dappya di Lamù!). A questo si aggiungono i temi triti e ritriti del rapporto con il padre, della ricerca della vittoria e della sicurezza in sé stessi. Graficamente il film non è affatto male: peccato però che le battute non facciano ridere, che le situazioni siano scontate e che i personaggi siano tutt'altro che memorabili. Numerosissime le citazioni da altri film, a volte solo accennate (Truman Show) e a volte esplicitamente dichiarate (Il re leone, Indiana Jones, La guerra dei mondi).

9 ottobre 2006

Mancia competente (E. Lubitsch, 1932)

Mancia competente (Trouble in Paradise)
di Ernst Lubitsch – USA 1932
con Herbert Marshall, Miriam Hopkins, Kay Francis
***1/2

Rivisto in DVD alla Fogona.

Approfittando del DVD Ermitage, l'ho visto per la prima volta in italiano. E per fortuna traduzione e doppiaggio erano piuttosto buoni. Il film, ovviamente, rimane un capolavoro: lo stesso Lubitsch ebbe a dire che, "quanto a stile" non aveva mai fatto di meglio. "Trouble in paradise" è una commedia sofisticata che ancora oggi risulta modernissima, con dialoghi raffinati, inquadrature allusive, ritmo scoppiettante (con la colonna sonora che fa da adeguato contrappunto alle varie situazioni), personaggi simpatici. Stupisce vedere come a pochissimi anni dall'avvento del sonoro fosse già possibile sfruttarne le caratteristiche in maniera così compiuta e matura. Dopo una prima parte praticamente perfetta, quella ambientata a Venezia dove si introducono i due protagonisti, la storia si sposta a Parigi per seguire il loro tentativo di ingannare una ricca signora dell'alta società, facendosi assumere come suoi collaboratori per poi derubarla. Seguono complicazioni sentimentali. In tempi pre-codice Hays, Lubitsch e i suoi sceneggiatori possono permettersi di giocare con allusioni di ogni genere e con inquadrature maliziose. Anche la scelta di due furfanti come protagonisti (tratteggiati con simpatia e senza "punizione finale") testimonia di una libertà che a Hollywood, in epoca successiva, sarebbe stata impossibile. L'inquadratura iniziale del film (un bidone di rifiuti e una chiatta di spazzatura a pochi passi da un raffinato hotel internazionale a Venezia) introduce immediatamente il tema della dissonanza e dell'imperfezione nel paradiso, dove non tutto è come sembra. La frase d'esordio di Gaston che deve scegliere come cominciare la cena ("Gli inizi sono sempre difficili") sembra quasi pronunciata dal regista stesso, alle prese con l'arduo compito di cominciare un nuovo film.

7 ottobre 2006

The seafarers (Stanley Kubrick, 1953)

The seafarers (id.)
di Stanley Kubrick – USA 1953
con Don Hollenbeck, Paul Hall
*1/2

Visto su YouTube, in originale.

Girato su commissione per la SIU (Seafarers International Union, un sindacato dei lavoratori marittimi), questo cortometraggio di 30 minuti che Kubrick realizzò subito dopo aver terminato il suo primo lungometraggio ("Paura e desiderio", mai distribuito nelle sale) rappresenta anche il suo primo lavoro a colori. Con la voce narrante del giornalista Don Hollenbeck, il film racconta la storia della SIU, ne descrive l'organizzazione e il modus operandi, ed elenca i vari servizi che offre agli associati (marinai, pescatori e in generale personale di bordo sulle navi commerciali e mercantili), in particolare nei periodi in cui sono a terra: non solo benefici legati al lavoro, come gestione degli incarichi e dei contratti e battaglie per i diritti, ma anche quelli relativi alla famiglia e al tempo libero. Semplicemente poco interessante (se non come documento storico e sociale), il film non presenta quasi traccia dello stile registico di Kubrick, tanto che potrebbe averlo girato chiunque (a partire da immagini di repertorio). Da segnalare giusto la carrellata nella scena della caffetteria, mentre secondo alcuni critici la sequenza del discorso del segretario della SIU davanti agli associati ricorda alcune pellicole di Eisenstein come "Sciopero" e "Ottobre". Del film, per lungo tempo, gli storici del cinema hanno ignorato l'esistenza: è stato "scoperto" solo nel 1973, il che ha portato a domandarsi se Kubrick non abbia diretto altri documentari dello stesso genere.

5 ottobre 2006

Cabaret (Bob Fosse, 1972)

Cabaret (id.)
di Bob Fosse – USA 1972
con Liza Minnelli, Michael York
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Berlino, 1931: durante la repubblica di Weimar, una ballerina di un teatro di varietà sogna di diventare una grande attrice e intanto conosce un giovane inglese che si guadagna da vivere dando lezioni private. Le loro vicende, che si intrecciano con quelle di un amico che si innamora di una ricca ebrea e con quelle di un frivolo nobile, si dipanano leggere su uno sfondo ben più cupo: lentamente, infatti, assistiamo alla presa del potere del partito nazista, quasi silenziosa e sottovalutata dai più. Il valore del film (che peraltro vinse ben 8 premi Oscar) sta proprio in questo contrasto fra un mondo di divertimenti incoscienti e le tragedie che strisciano sullo sfondo. Tratto da un musical di Broadway, non ne conserva la struttura: anziché far cantare i personaggi principali, le canzoni e i numeri da ballo restano confinati agli spettacoli di varietà, sporadici siparietti fra una scena e l'altra. Molto bello registicamente (una scena per tutte: quella del canto dei nazisti in un locale all'aperto, che comincia dolce e accattivante e termina pieno di tensione e impeto bellicoso), con una brava interprete che tratteggia un personaggio egocentrico e sognatore.

2 ottobre 2006

Lady in the water (M. N. Shyamalan, 2006)

Lady in the Water (id.)
di M. Night Shyamalan – USA 2006
con Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard
**1/2

Visto ieri al cinema Excelsior, con Albertino e Ghirmawi.

Dopo il successo de "Il sesto senso", sembra che Shyamalan stia progressivamente perdendo i favori di critica e pubblico. Eppure di questo film, stroncato un po' da tutti, ho gradito il modo delicato e naturale in cui il fantastico, il fiabesco e l'irreale fanno irruzione nel quotidiano. Giamatti (grandissimo, come al solito) è il custode di un condominio alle prese con una misteriosa ninfa acquatica che trova nella piscina del complesso. Insieme a un gruppo di stravaganti inquilini scelti forse da un destino superiore, l'uomo dovrà aiutare la ninfa a completare la sua missione, proteggendola da un mostro che vive nel giardino dell'edificio e che le impedisce di far ritorno a casa. Ispirato a una sedicente fiaba orientale della buona notte, probabilmente inventata di sana pianta dal regista stesso, e ambientato interamente in pochi metri quadri (l'azione non esce mai dal cortile della casa e dai piccoli appartamenti dove vivono i personaggi), il film riesce a stare miracolosamente in equilibrio su un filo sottilissimo fra tensione e implausibilità narrativa. A differenza che nei film di Roman Polanski, inoltre, qui il condominio non è fonte di paranoia e ossessioni bensì un microcosmo popolato da persone talvolta bizzarre ed eccentriche ma comunque solidali fra loro. Alcune scene con il personaggio del critico cinematografico mi hanno ricordato "Scream" e persino "Ghostbusters". Il direttore della fotografia è Christopher Doyle, noto per i suoi film a Hong Kong (è l'abituale collaboratore di Wong Kar-Wai). Come sua abitudine, il regista stesso si è ritagliato una parte nel film: stavolta, però, non si tratta di un breve cameo ma di un ruolo abbastanza importante nell'economia della storia.

1 ottobre 2006

Cars - Motori ruggenti (J. Lasseter, 2006)

Cars – Motori ruggenti (Cars)
di John Lasseter [e Joe Ranft] – USA 2006
animazione digitale
***

Visto al cinema Europlex, con Saveria e Stefano.

In un mondo dove le automobili – e i mezzi di trasporto in generale – sono "antropomorfe" (non esistono piloti umani), l'auto da corsa Saetta McQueen (il cognome è un evidente omaggio all'attore Steve McQueen, grande appassionato di automobili, ma anche all'animatore della Pixar Glenn McQueen) ha fame di sponsor e di vittorie: metterà da parte l'arroganza e la frenesia e imparerà l'umiltà quando sarà costretto a risiedere per una settimana nell'isolata cittadina di Radiator Springs, nel bel mezzo del deserto, adeguandosi ai suoi ritmi lenti e trovando amicizia (Carl Attrezzi detto "Cricchetto", fra gli altri; ma c'è anche Luigi, una Fiat 500 italiana!) e amore (Sally Carrera). La cosa che più stupisce nei film della Pixar è la commistione fra una tecnica di animazione al computer sbalorditiva (di molto, ma molto, superiore a tutti i potenziali concorrenti) e storie e personaggi ben più curati e approfonditi rispetto ai prodotti DreamWorks, Disney, Fox, e via dicendo. Persino gli stereotipi non sembrano tali perché rivestiti di nuovo materiale. Lasseter, che torna alla regia dopo sette anni sia pure coadiuvato da Joe Ranft, ha evidentemente un debole per l'umanizzazione di personaggi di plastica o di metallo: dopo lampadine e giocattoli, è la volta delle automobili. Il film è lungo (oltre due ore), sfiora quasi la monotonia (in scena ci sono solo macchine: quando non sono semplici automobili, sono camion, trattori o elicotteri) e forse manca un po' di umorismo, ma i personaggi sono simpatici, vivi e ben caratterizzati. E l'inevitabile messaggio morale sullo sfondo, per una volta, è ampiamente condivisibile: anche un auto da corsa ha bisogno qualche volta di rallentare per godersi il paesaggio. Belle le canzoni, brutto il doppiaggio italiano: nella versione originale il protagonista aveva la voce di Owen Wilson, ma soprattutto Doc Hudson aveva quella di Paul Newman (anch'egli grande appassionato di corse). Il successo porterà alla realizzazione di sequel e spin-off.

In sala il film era preceduto dall'ennesimo cortometraggio "sperimentale" Pixar: "One Man Band", di Mark Andrews e Andrew Jimenez. Eccezionale! Quattro minuti di puro divertimento con due suonatori ambulanti che si contendono una moneta che una bambina è disposta a elargire loro.

Blindman (Ferdinando Baldi, 1971)

Blindman
di Ferdinando Baldi – Italia 1971
con Tony Anthony, Ringo Starr
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Se Sergio Leone aveva preso ispirazione da Kurosawa, anche altri autori italiani di spaghetti-western si sono rivolti all'oriente. Questo film di Baldi sembra quasi una versione occidentale di "Zatoichi": il protagonista è infatti un pistolero cieco, che nonostante il suo handicap sconfigge a colpi di fucile (e di dinamite) un'intera banda di nemici. Aiutato da un cavallo che talvolta sembra quello di Lucky Luke, combatte contro un bandito messicano che ha rapito ben cinquanta donne giunte dall'Europa che lui avrebbe dovuto condurre in un villaggio dove le attendono i loro promessi sposi "per corrispondenza". La storia e i personaggi sono inverosimili, ma alcune scene non sono poi male (il "funerale-matrimonio", la fuga delle donne nella sabbia). Nel complesso, però, si sfiora spesso il ridicolo involontario. Ringo Starr interpreta il fratello del cattivo.

29 settembre 2006

As you like it (K. Branagh, 2006)

As you like it - Come vi piace (As you like it)
di Kenneth Branagh – USA/GB 2006
con Bryce Dallas Howard, David Oyelowo
***

Visto al cinema Eliseo.

Poche cose mi mettono di buon umore come le commedie di Shakespeare rivisitate da Branagh. Anche stavolta il regista britannico gioca con il tempo e lo spazio, spostando l'azione di questa opera minore del bardo addirittura in un'enclave britannica nel Giappone del diciannovesimo secolo. In questo modo, senza bisogno di tradirne il testo, riesce a esplicitare oltre ogni limite il contenuto di fondo della commedia, un elogio della vita pastorale e della necessità di superare i conflitti e le barriere di classe attraverso il buonsenso, la meditazione e l'amore. Come già in "Molto rumore per nulla" e in "Pene d'amor perdute", Branagh cala Shakespeare in un contesto multietnico che ne amplifica l'universalità: i suoi personaggi sono bianchi, neri e gialli, e si amano senza distinzione di classe, gruppo o ceto sociale. Tra complotti e travestimenti, la commedia (che non conoscevo) scorre vivace e profonda e si snoda lungo numerosi fili conduttori: la lotta fra il duca e il fratello usurpatore, il travagliato amore fra Rosalinda (una sempre più stupefacente Bryce Dallas Howard, vestita da uomo per quasi tutto il film) e il giovane Orlando, e la filosofia di contorno espressa di volta in volta con saggezza o follia da personaggi quali il duca, il buffone Touchstone o il malinconico Jacques. Oltre alla protagonista, nel cast spiccano i sempre ottimi Kevin Kline, Alfred Molina e Brian Blessed ma anche la simpatica Romola Garai nei panni di Celia. E se il finale in Shakespeare era meta-teatrale, in Branagh non può che diventare meta-cinematografico!

25 settembre 2006

Pirati dei Caraibi 2 (G. Verbinski, 2006)

Pirati dei Caraibi: La maledizione del forziere fantasma
(Pirates of the Caribbean: Dead Man's Chest)
di Gore Verbinski – USA 2006
con Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley
*1/2

Visto al cinema Maestoso, con Monica, Nando e Irene.

Dispiace parlar male del sequel di un film che mi era piaciuto molto, ma questo secondo "Pirati dei Caraibi" non mi ha proprio convinto. Il suo problema principale è il ritmo: sullo schermo succede qualcosa praticamente ogni trenta secondi, col risultato che in due ore e mezza di durata non c'è mai un istante per fermarsi a riflettere o per approfondire la trama o i personaggi. Di conseguenza la vicenda è piena di battute, capitomboli, mostri, dettagli e particolari spesso inutili, mentre i personaggi restano, stavolta sì, vere e proprie macchiette su uno sfondo che ormai ha abbandonato ogni pretesa di verosimiglianza storica. Johnny Depp gigioneggia per strappare risate, e forse esagera, mentre i personaggi di Knigthley e Bloom sono piuttosto piatti. Anche i cattivi non mi sono sembrati assolutamente all'altezza del Capitan Barbossa del primo film, con origini, motivazioni, psicologie e comportamenti appena abbozzati. Tutta la prima ora è poi del tutto superflua, con scene d'azione troppo lunghe che vengono poi ripetute quasi uguali nella seconda parte (la fuga all'interno della gabbia che rotola, per esempio, è simile alla scena successiva con la ruota del mulino). Non avrebbe fatto male una sforbiciata in fase di montaggio, e magari avrebbe consentito agli sceneggiatori un maggior approfondimento della trama principale, quella dell'Olandese Volante e della sua ciurma. Il senso di insoddisfazione nasce non solo dal confronto con la freschezza e il divertimento fornito da "La maledizione della prima luna" (la maledizione andrebbe rivolta ai titolisti italiani: ancora non si sono resi conto dei danni che producono con la loro infedeltà ai titoli originali?), ma dal sospetto che i seguiti dei "Pirati" siano stati messi in cantiere sulla falsariga di quelli di "Matrix": un'operazione esclusivamente commerciale per sfruttare una franchigia di sicuro successo. Dopotutto i produttori erano ormai ben consapevoli che qualunque fosse stata la qualità del film il ritorno in termini di box office (e di home video) sarebbe stato comunque elevatissimo.

Meglio un mercoledì da leone... (P. Sturges, 1947)

Meglio un mercoledì da leone... (The sin of Harold Diddlebock)
di Preston Sturges – USA 1947
con Harold Lloyd, Frances Ramsden
**

Visto in DVD, con Martin.

Partendo da una bobina di materiale girato nel 1925 per il film di Lloyd "The freshman", Sturges imbastisce una commedia che avrebbe dovuto omaggiare e, nelle intenzioni, rilanciare il grande comico del muto, da tempo ormai assente dalle scene. Ma i risultati al botteghino non furono particolarmente soddisfacenti, e il film costituisce così l'ultima apparizione dell'attore sul grande schermo. La pellicola alterna alcune scene abbastanza divertenti (quella nel bar, per esempio) ad altre che sembrano soltanto una pallida copia delle gag dell'epoca d'oro del muto. Ma il vero motivo per cui non sono riuscito ad apprezzarlo fino in fondo è che la copia che io e Martin abbiamo visto era priva di quasi mezz'ora! Durava infatti 67 minuti anziché 90, con la parte centrale completamente e inspiegabilmente rimossa (forse a causa della "riedizione" voluta da Howard Hughes nel 1950). Ed è un peccato, anche se ho avuto l'impressione che il meglio del film stesse comunque tutto nella prima parte, quella che ci mostra il passaggio di Lloyd da ingenuo e esuberante ragazzo (nel 1923) a impiegato invecchiato e disilluso (nel 1945) che in seguito a un'occasionale ubriacatura si lascia andare a una giornata di totale e ardita follia.