5 febbraio 2020

Morte di un maestro del tè (Kei Kumai, 1989)

Morte di un maestro del tè (Sen no Rikyu: Honkakubo ibun)
di Kei Kumai – Giappone 1989
con Eiji Okuda, Toshiro Mifune
***

Rivisto in divx, con Marisa, Luigi, Laura, Lia ed Elena.

A ventisette anni dalla scomparsa di Sen no Rikyu (Mifune) – grande maestro del tè che si era ucciso in seguito a presunti screzi con Hideyoshi Toyotomi (Shinsuke Ashida), il signore feudale di cui era al servizio – il suo discepolo Honkakubo (Okuda), monaco zen ritiratosi a vivere in isolamento fra le montagne, viene convocato dal nobile Uraku (Kinnosuke Yorozuya) che vorrebbe comprendere le vere ragioni del suo suicidio. Da un testo di Yasushi Inoue ("Il testamento di Honkakubo") ispirato a personaggi realmente esistiti, un film misterioso ed enigmatico, lento e austero come i gesti della "cerimonia del tè" (cha-no-yu) che fa da sfondo all'intera vicenda: un rito somministrato da Rikyu e dagli altri maestri ai loro signori feudali e ai soldati, prima di partire per le battaglie (siamo alla fine del sedicesimo secolo, nell'epoca delle guerre civili), quasi come preparazione alla morte, e in quanto tale assimilabile a una cerimonia religiosa (come la comunione nella messa cristiana). Non si tratta solo di freddo o vuoto formalismo: Rikyu, la cui intera vita è all'insegna dell'etica, segue i dettami dell'ikigai, filosofia di vita che richiede l'estrema cura di ogni particolare, per quanto piccolo, perché ogni cosa è legata all'impermanenza. E non può dunque sacrificare i valori della semplicità, dell'onestà e della libertà, nemmeno per compiacere il proprio padrone, di cui peraltro era uno dei più affezionati confidenti (in questo ricorda moltissimo la figura di Tommaso Moro per come è ritratta nel film "Un uomo per tutte le stagioni"). La ricerca e la comprensione dei veri motivi della morte di Rikyu rappresentano l'ultimo tassello del rapporto fra il maestro e il suo discepolo, che a distanza di anni continua a vederlo e a parlare con lui, oltre che a sognarlo (una visione ricorrente in cui il maestro percorre la strada verso l'aldilà, e all'allievo che vuole seguirlo ribatte: "No, questo è il mio sentiero"). Assai sobria e rigorosa, la pellicola appare austera anche visivamente (ricorda qualcosa dell'ultimo Kurosawa, come "Kagemusha"), tanto da sembrare in bianco e nero: in realtà non mancano scene a colori, ma la monocromaticità risalta nei giardini zen dei templi di Kyoto e nella neve che ricopre ogni cosa. Nello stesso anno (1989) uscì anche un altro film sullo stesso soggetto: "Rikyu", di Hiroshi Teshigahara.

3 commenti:

Marisa ha detto...

Film profondo e per noi occidentali di difficile comprensione, almeno alla prima visione. L'estremo rigore della pratica che non è fanatismo e l'assoluta dedizione al maestro che non è dipendenza o piaggeria ci pongono domande a cui non siamo abituati..Tenere in ordine la propria casa, come se si aspettasse sempre un ospite a cui offrire il thè, è uno degli elementi fondanti perchè vuol dire tenere sempre in ordine anche il proprio spazio interiore, vivere anche in solitudine come se ci fosse sempre il Maestro, il proprio Maestro interiore come Virgilio per Dante con cui intessere quel continuo colloquio che è fonte di consapevolezza e di pace...

lia ha detto...

Morte di un maestro del tè. L'azione è lenta, precisa, mistica direi e anche misteriosa per noi occidentali ma anche se non ho capito tutto mi è comunque arrivato il concetto di accettazione dell'impermanenza, della completa adesione alla propria fede, fino alla morte. Il concetto di impermanenza poi è sottolineato dalla precisione di ogni minimo particolare. Mi ha colpito moltissimo anche l'uso della luce e dei colori del film dove l'oscurità degli interni fa quasi presagire l'incubazione di quelle che saranno le decisioni e lo scoppio di luce quando avviene l'azione decisiva: il bianco gelido dell'inverno, il rosso dell'autunno e il rosa dei ciliegi di primavera che poi sfioriranno nel vento della morte. Un film non facile e molto profondo. Lia.=

Christian ha detto...

È un film, infatti, non semplicemente da "vedere" (anche se la forma filmica, con la sua lentezza e austerità, qualcosa riesce a comunicare anche allo spettatore distratto), ma sui cui bisogna meditare e riflettere. Probabilmente con qualche apertura o infarinatura di cultura e filosofia giapponese...