Rebecca - La prima moglie (A. Hitchcock, 1940)
Rebecca - La prima moglie (Rebecca)
di Alfred Hitchcock – USA 1940
con Joan Fontaine, Laurence Olivier
***1/2
Visto in DVD.
Una giovane dama di compagnia (Joan Fontaine) conosce a Montecarlo l'aristocratico vedovo Maxim de Winter (Laurence Olivier), di cui si innamora a prima vista. Nonostante le differenze di carattere – lei è semplice e modesta, timida e sensibile; lui è elegante e misterioso, autoritario e tormentato – i due convolano a nozze e si trasferiscono a vivere nella sua dimora in Cornovaglia, il castello di Manderley, dove però la ragazza si trova a disagio sin da subito. E non solo perché non abituata al lusso e alla servitù, ma soprattutto perché ogni cosa nel castello reca con sé il ricordo della prima moglie dell'uomo, Rebecca, morta annegata l'anno prima. A quanto si dice, Rebecca era bella, intelligente, affascinante e perfetta: e al suo confronto la giovane sposina si sente in soggezione, non certo aiutata da una governante, la signora Danvers (Judith Anderson), che nutriva per lei un'adorazione talmente sconfinata da sfociare nell'ossessione... Il primo film americano di Hitchcock (giunto a Hollywood su insistenza del produttore David O. Selznick) è, come il suo ultimo lavoro britannico, un adattamento di un romanzo di Daphne du Maurier. Complesso e articolato, ha un'inquietante atmosfera da favola gotica (incrociando temi da "Cenerentola" e da "Barbablù"), ma passa poi dal melodramma al noir attraverso un paio di twist (la verità sulla morte di Rebecca, la rivelazione del medico nel finale), sfiorando en passant l'horror e il thriller. Eccellente la caratterizzazione dei personaggi, sorretta da due grandi interpreti (in particolare Joan Fontaine, quasi un prototipo della bionda hitchcockiana che vedremo in numerosi altri film), che a un certo punto superano i limiti che sembravano imprigionarli all'interno di stereotipi (la vittima spaurita e insicura, ma pure innamorata e tenace; l'uomo malinconico e tormentato, incapace di dimenticare il primo amore). La chiave di volta della vicenda, naturalmente, sta nella scena forse più magistrale della pellicola, quella della lunga "confessione" di Maxim alla giovane moglie, girata senza far uso di flashback e basata tutta sul racconto a voce di lui. Su richiesta di Selznick (che "battagliò" con Hitchcock per il controllo creativo e il montaggio finale, imponendogli diverse sequenze), la sceneggiatura è assai fedele al romanzo originale, tranne che per un piccolo particolare (l'effettiva responsabilità di Maxim) che è stato necessario modificare per permettere un relativo (e insperato) lieto fine in ossequio al codice Hays. Da notare che in tutta la storia non ci viene mai detto il nome della giovane protagonista, come a volerla completamente lasciare nell'ingombrante ombra di Rebecca (quest'ultima, pur morta, continua a essere chiamata da tutti "la signora de Winter", nonostante il titolo ormai spetterebbe alla nuova sposa). Di contro, l'immagine di Rebecca non ci viene mai mostrata, nemmeno in foto o in ritratto, ed è soltanto descritta a parole. Il lungometraggio ebbe un ottimo riscontro di critica, con undici nomination e due premi Oscar (per il miglior film, l'unico mai vinto da Hitchcock, e la migliore fotografia). Nel cast (quasi interamente britannico) anche George Sanders (l'infido "cugino" di Rebecca), Reginald Denny (Frank, l'amministratore), Gladys Cooper, Nigel Bruce, C. Aubrey Smith e Florence Bates. Il doppiaggio d'epoca "italianizza" il lungo nome del protagonista maschile in Giorgio Fortebraccio Massimiliano "Massimo" de Winter.
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