Cafarnao (Nadine Labaki, 2018)
Cafarnao - Caos e miracoli (Capharnaüm)
di Nadine Labaki – Libano 2018
con Zain Al Rafeea, Yordanos Shiferaw
**1/2
Visto al cinema Colosseo, con Sabrina, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).
L'incipit è potente. Il dodicenne Zain, rinchiuso in un carcere minorile per aver accoltellato un uomo (scopriremo poi il perché), fa convocare i propri genitori in tribunale perché intende fare loro causa per averlo fatto nascere. "Chi non vuole prendersi cura dei figli non dovrebbe fare dei bambini", è la sua tesi. Da qui la pellicola racconta in flashback le vicissitudini del piccolo protagonista, cresciuto in una famiglia povera e in un ambiente degradato, privato persino dell'identità (ignora la sua data di nascita e non ha documenti, perché mai registrato all'anagrafe, come peraltro tutti i suoi numerosi fratellini e sorelline), costretto a lavorare anziché andare a scuola e a diventare adulto troppo in fretta. La goccia che fa traboccare il vaso è quando la sorellina Sahar, di un anno più piccola di lui, viene data in sposa, ancora bambina, a un negoziante del quartiere. Dopo aver cercato inutilmente di impedirlo, Zain fugge di casa. Sarà accolto e ospitato da Rahil, immgrata clandestina etiope, e si prenderà cura del suo figlioletto Yonas, di solo un anno, quando la ragazza verrà arrestata... I primi due lungometraggi di Nadine Labaki ("Caramel" ed "E ora dove andiamo?"), pur affrontando temi di notevole peso, li presentavano con la leggerezza della commedia e del musical. Il terzo, invece, nella sua denuncia è serio in tutto e per tutto, col rischio di sfociare nel melodrammatico e, a tratti, nella retorica, non solo per le condizioni estreme che mostra ma anche e soprattutto perché i protagonisti sono bambini (peraltro interpretati da attori eccezionali, tanto Zain quanto il piccolo Yonas). Ma per fortuna la barriera del buonismo non viene mai oltrepassata del tutto, e manca ogni traccia di gratuità o di accondiscendenza: e il film, nel raccontare un'intensa storia di peripezie e di espedienti per sopravvivere in un mondo duro e cieco alle difficoltà dei più deboli, non intende assolvere o giustificare le peggiori nefandezze con la scusa della povertà o delle condizioni sociali. La sapiente tecnica cinematografica (regia, montaggio, fotografia) è al servizio della storia e dei personaggi senza sconfinare nel poetismo fine a sé stesso. E sapere dall'inizio che Zain è destinato a finire in prigione aumenta la tensione durante l'intera visione, visto che lo spettatore si aspetta in continuazione che le cose precipitino da un momento all'altro. Ma ci sono anche (pochi) piccoli tocchi surreali o di umorismo poetico (il vecchio che si veste da Uomo Ragno, anzi da "Uomo Scarafaggio"; in generale le scorribande di Zain insieme al piccolo Yonas). La regista interpreta l'avvocatessa Nadine. Premio della giuria a Cannes.
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