Non drammatizziamo... è solo questione di corna (F. Truffaut, 1970)
Non drammatizziamo... è solo questione di corna
(Domicile conjugal)
di François Truffaut – Francia 1970
con Jean-Pierre Léaud, Claude Jade
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Visto in divx.
Infelicissimo titolo italiano (più adatto semmai a una commedia pecoreccia!) per il quarto capitolo delle avventure di Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud), "alter ego" cinematografico di Truffaut. Come ben illustrava invece il titolo originale, siamo di fronte al racconto dei primi anni di vita coniugale del nostro personaggio, che il regista descrive con garbata levità e finezza psicologica. Dopo aver sposato Christine (Claude Jade) nel precedente "Baci rubati", infatti, Antoine si è stabilito in un grande caseggiato popolare. Lui – che nel tempo libero cerca di scrivere un romanzo autobiografico – colora artificialmente fiori (!) nel cortile, per rivenderli ai fiorai, mentre lei dà lezioni di violino nel suo appartamento. La loro è una vita semplice, costellata di saltuarie visite ai genitori di lei, di incontri con gli amici (si rivedono l'ex collega della ditta di riparazioni e lo scroccone che chiede continuamente prestiti), e soprattutto dai rapporti con i vicini di casa. Il palazzo sede del loro "domicilio coniugale" è quasi un microcosmo dell'intero paese (il doppiaggio italiano esagera un po' con gli accenti e le inflessioni dialettali), i cui abitanti passano il tempo a lavorare o a bighellonare, a spettegolare e a interagire in vari modi (da ricordare il misterioso vicino che tutti, ignorandone la professione, soprannominano "Lo strangolatore", e che si rivelerà essere un attore televisivo). Lentamente, ci sono piccoli (l'arrivo del telefono in casa) e grandi cambiamenti (la nascita di un figlio, Alphonse, che la madre avrebbe voluto chiamare Ghislain, e il trasloco in un appartamento più grande). A un certo punto, ad Antoine capita l'occasione di cambiare lavoro: e per una fortuita coincidenza (il direttore crede che la lettera di raccomandazione di un altro candidato si riferisca a lui) viene assunto in un'azienda americana che si occupa di costruzioni idrauliche. Poco più tardi si lascerà tentare da un'avventura extraconiugale con una ragazza giapponese, Kyoko (Hiroko Berghauer): non perché non ami più Christine, ma semplicemente per il fascino dell'ignoto ("Kyoko non è un'altra donna... è un altro continente"). La scappatella verrà rapidamente alla luce, marito e moglie litigheranno, e lui andrà a vivere fuori di casa per qualche tempo. Ma progressivamente faranno pace, anche perché il rapporto con Kyoko si rivelerà più noioso del previsto. E nel finale, un anno più tardi, nel vedere Antoine e Christine impegnati nelle più scontate scaramucce tipiche delle coppie di vecchia data, del tutto identiche alle proprie, i vicini di pianerottolo commenteranno: "Ora si amano veramente".
Costruita come una serie di tranche de vie, la pellicola racconta le vite dei suoi personaggi senza far loro la morale e ne descrive il mondo con estrema leggerezza ma anche attenzione e profondità attraverso i più piccoli dettagli. Celebre, per esempio, la scena in cui i due coniugi, a letto, sono impegnati in letture che ne svelano il desiderio di tradimento: una biografia di Nurejev per lei (che lo ritiene l'uomo più bello del mondo), un saggio sulle donne giapponesi per lui (per comprendere meglio l'enigmatica Kyoko). Nel mettere in scena il microcosmo del caseggiato, fra piccoli episodi e bizzarre interazioni, ma anche il contrasto con la modernità che avanza e i momenti surreali del nuovo lavoro di Antoine (che passa le giornate a pilotare modelli di nave radiocomandati nella grande vasca del parco), la pellicola può invece ricordare a tratti le commedie di Jacques Tati, che Truffaut ammirava: e proprio Monsieur Hulot (anche se interpretato da una controfigura) fa in effetti un'apparizione a sorpresa in una breve scena, nella stazione della metropolitana. Ma è anche un film fatto su misura per i fan di Truffaut, che vi ritrovano temi, toni e situazioni familiari perché riecheggiano (a volte esplicitamente: non mancano citazioni e rimandi) molti dei suoi lavori precedenti. Si rivedono infatti volti (Daniel Boulanger) e si riascoltano frasi che provengono da quasi tutti i film girati in passato dal regista francese. Nel complesso, il lungometraggio rappresenta un ulteriore e fondamentale passo nella "crescita" di Antoine Doinel, che le circostanze dirigono sempre più verso un'esistenza borghese come mille altre (anche se deve sempre fare i conti con la sua innata irrequietezza, la spinta alla curiosità e alla ribellione e il rifiuto delle ipocrisie). Pur se "inquadrato", Antoine rimane una figura unica, un pesce fuor d'acqua, che non ha paura di commettere errori e di pagarne le conseguenze: è come l'unico fiore rimasto bianco, circondato da quelli colorati di rosso, che si vede in una delle prime scene. La sua "saga" si concluderà nel 1978 con il quinto film, "L'amore fugge". Interessante la colonna sonora di Antoine Duhamel.
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