4 febbraio 2016

Il castello della purezza (A. Ripstein, 1972)

Il castello della purezza (El castillo de la pureza)
di Arturo Ripstein – Messico 1972
con Claudio Brook, Rita Macedo
***

Visto su YouTube, con sottotitoli inglesi.

Tratto dal libro "La carcajada del gato" di Luis Spota (a sua volta ispirato a fatti realmente avvenuti), un film inquietante e claustrofobico su un uomo che da 18 anni tiene reclusa in casa la propria famiglia (la moglie e tre figli), impedendo loro ogni contatto con il mondo esterno per "proteggerli" dalla malvagità e dalla corruzione che, a suo dire, imperano al di fuori. Severo e autoritario, Gabriel impone alla famiglia una rigida disciplina e impartisce punizioni per ogni mancanza da parte dei figli, rinchiudendoli in cellette nei sotterranei dell'edificio. I ragazzi, che non sono mai usciti dalla villa, cominciano a sviluppare istinti di ribellione, il che mette sotto pressione il genitore, progressivamente più paranoico, folle e violento. Come si vede, lo spunto è simile a quello del recente "Dogtooth" di Yorgos Lanthimos, ma i toni sono assai diversi: qui c'è più realismo e focalizzazione sulla figura del padre, mentre il film greco corre sul filo del paradosso e della metafora e si incentra maggiormente sui figli. La dimora della famiglia Lima è una villa lugubre e fatiscente, ormai consunta dal tempo e piena di infiltrazioni d'acqua (il che è ironico, visto che secondo Gabriel è invece il mondo esterno a essere corrotto). Al suo interno, padre e figli fabbricano pesticidi e veleno per topi, che l'uomo (l'unico che può uscire di casa: i vicini credono che viva da solo) vende poi nei negozi della zona. Ispirato dalla massima di Goethe "Un uomo con forte volontà forgia il mondo a suo desiderio", Gabriel ha voluto erigere attorno alla sua famiglia un "castello" per difenderli dai pericoli ma soprattutto per non farli contaminare dal resto dell'umanità. Curiosamente, "Il castello" è anche il nome di una elaborata trappola per topi che l'uomo progetta di costruire. E nei suoi discorsi, il parallelo fra uomini e topi è ripetuto ed esplicito: nella sua ossessiva ricerca di perfezione e purezza, Gabriel vede il resto dell'umanità come ratti, portatori di infezioni e di corruzione. Ancor più che misantropo, l'uomo è misogino e attribuisce la colpa di ogni peccato alle donne. Per questo insulta e maltratta anche sua moglie Beatriz, che pure gli è completamente sottomessa, e nonostante tutto continua ad amarlo e ad approvare la sua scelta di tenere rinchiusi i loro figli. Alla fine, probailmente, una vera liberazione è impossibile. Ripstein aveva mosso i suoi primi passi nel cinema come assistente (non accreditato) di Luis Buñuel durante le riprese de "L'angelo sterminatore": e questa pellicola, caratterizzata da un ritmo lento e da una progressiva costruzione della tensione, è paragonabile ai migliori lavori del maestro spagnolo nel mettere in scena una distorta versione delle regole sociali (che, a sia volta, produce altre distorsioni, come dimostra la scena dell'incesto fra fratello e sorella, ma soprattutto la relazione snaturata fra il carceriere e le sue confuse vittime, che nonostante tutto continuano ad amarlo o a rispettarlo fino alla fine).

0 commenti: