23 dicembre 2010

Desiderio del cuore (Carl T. Dreyer, 1924)

Desiderio del cuore (Michael)
di Carl Theodor Dreyer – Germania 1924
con Walter Slezak, Benjamin Christensen
***

Visto in DVD.

L'aspirante artista Michael, giovane di bell'aspetto, è il modello prediletto dell'affermato pittore Claude Zoret (personaggio ispirato, secondo i commentatori dell'epoca, allo scultore Auguste Rodin), che lo vorrebbe – oltre che come assistente – anche come figlio adottivo. Ma il rapporto fra i due, già incrinato dal crescente bisogno di indipendenza di Michael (che peraltro non si fa problemi a ricorrere alla ricchezza e ai regali del maestro ogni volta che ne ha bisogno), viene messo a dura prova dall'intromissione della principessa Zamirow, nobildonna in esilio di cui Michael si invaghisce a prima vista. Sceneggiato da Dreyer insieme a Thea von Harbou (sì, proprio la moglie e collaboratrice di Fritz Lang), il film mescola vita, arte, amore, morte, ricchezza e talento attraverso le parabole incrociate dei due protagonisti: Zoret, pur ammirato da tutti, è in declino sia artistico sia fisico, mentre il giovane Michael è l'allievo che sta per sorpassare il maestro (e affrancarsi da lui). Evidente il sottotesto omossessuale del rapporto fra i due personaggi, anche se naturalmente – vista l'epoca – non viene esplicitato: basta comunque per classificare il lungometraggio come una delle prime importanti pellicole a tematica gay nella storia del cinema. Alla vicenda principale si intreccia la storia parallela del Duca di Monthieu, che si innamora di una donna sposata e va fatalisticamente incontro alla morte in un duello per mano del marito di lei. Il "motto" che apre la pellicola ("Ora posso morire in pace, perché ho vissuto un grande amore") sembra riferirsi a entrambe le sottotrame. Esemplare la fotografia di Karl Freund (che interpreta anche una piccola parte, quella del mercante d'arte), caratterizzata da un'eccezionale profondità di campo, e splendide le sontuose scenografie della villa di Zoret. Insolita, invece, la sequenza in cui Michael e la principessa si recano a teatro ad assistere al balletto de "Il lago dei cigni", di cui vediamo i movimenti ma (ovviamente, essendo un film muto) non sentiamo la musica. Fra gli attori brilla soprattutto Christensen (che era a sua volta un regista danese, come Dreyer) nei panni del maestro Zoret. Slezak (Michael), a inizio carriera, diventerà famoso solo negli anni quaranta, specializzandosi in ruoli da "cattivo" come in "Prigionieri dell'oceano" di Hitchcock.

6 commenti:

Giuliano ha detto...

Lifeboat di Hitchcock, anno 1943: il tedescone ripescato sulla scialuppa!
Ci ho messo un po', poi mi è venuto in mente chi era Slezak...
(c'era un tenore con un nome simile, sempre in quegli anni)

Karl Freund è invece La mummia, i primi Frankenstein... un gigante!

Christian ha detto...

Già, quello è forse il suo ruolo più famoso!

Negli anni venti il cinema tedesco era una vera fucina di talenti (non solo registi e attori, ma anche scenografi, sceneggiatori, direttori della fotografia, ecc.), molti dei quali hanno poi contribuito a fare grande Hollywood.

Lakehurst ha detto...

uno dei miei dreyer preferiti. stupendo anche nel costruire le inquadrature e nelle scenografie.

Christian ha detto...

Visivamente è molto bello, mi sono piaciute soprattutto le scenografie, rese benissimo dalla profondità di campo di Dreyer.

Marisa ha detto...

Uno dei temi più intriganti quello dei rapporti tra l'artista e i suoi modelli, tra creatore e creatura...
Basti ricordare come Bergman si innamorasse inevitabilmente di quasi tutte le sue attrici!
Ma qui siamo piuttosto vicini ad Oscar Wilde con la sua ossessione per la bellezza maschile giovane (S, Sebastiano!) e il rapporto per lui tragico e distruttivo con l'affascinante e perverso Lord Alfred Douglas, alias Bosie, il vero ispiratore del "Ritratto di Dorian Gray".
C'è da dire che non conosco abbastanza la vita di Rodin, ma questo sembra un dettaglio insignificante. Quello che conta è l'inevitabile legame proiettivo che lega l'artista ai suoi modelli preferiti perchè un'opera d'arte veramente riuscita non può non essere che il profondo anelito dell'artista a rappresentarsi.
E' interessante notare come qui Claude Zoret non riuscisse a rendere la bellezza dello sguardo femminile, la sua vera anima, proprio perchè non ne era innamorato, mentre ovviamente ci riesce il meno abile, ma innamorato, Michael.

Christian ha detto...

Beh, ma delle attrici di Bergman è facile innamorarsi! ^^
(Comunque non sono rari i casi di registi che si innamorano – e sposano – le loro attrici: da Rossellini con la Bergman a Luc Besson con Milla Jovovich...).

Hai ragione a citare Oscar Wilde: in effetti il paragone con Rodin era stato fatto dai critici dell'epoca, ma il film è stato sceneggiato a partire da un romanzo (del 1902) di Hermann Bang, uno scrittore danese omosessuale. Non so quanto il romanzo fosse autobiografico, ma probabilmente in Claude Zoret c'è molto di suo.