30 agosto 2013

Ricatto (Alfred Hitchcock, 1929)

Ricatto (Blackmail)
di Alfred Hitchcock – GB 1929
con Anny Ondra, John Longden
**1/2

Visto in divx alla Fogona.

Alice è fidanzata con Frank, un detective di Scotland Yard, ma accetta il corteggiamento di uno sconosciuto, il pittore Crewe, seguendolo imprudentemente fino a casa sua. Qui l'uomo cerca di usarle violenza, e lei per difendersi lo accoltella a morte. Sconvolta, fugge dopo aver cancellato tutte le tracce della propria presenza nell'appartamento, ma non si accorge di aver dimenticato i guanti. Uno di questi viene trovato da Frank, cui sono state affidate le indagini, che lo nasconde per non compromettere la ragazza; l'altro, invece, finisce nelle mani del pregiudicato Tracy, che si presenta a casa di Alice per ricattarla. Il primo film sonoro di Hitchcock (e in generale uno dei primi della cinematografia britannica) è un thriller ad alta tensione che presenta già molti elementi che diventeranno marchi di fabbrica del regista: la suspense che monta poco a poco, coinvolgendo un personaggio inizialmente "innocente" in una vicenda da incubo; una "bionda" come protagonista (in questo caso si tratta di Anny Ondra, attrice di origine ungherese e di nazionalità cecoslovacca, che con sir Alfred aveva già lavorato nel precedente "L'isola del peccato" e che vide la sua carriera britannica interrompersi proprio con l'avvento del sonoro, per via del suo forte accento mitteleuropeo – qui è "doppiata" da Joan Barry); lo scontro finale collocato in un celebre luogo pubblico (in questo caso al British Museum). Inizialmente il film avrebbe dovuto essere muto, ma su richiesta dei produttori (che volevano sfruttare la popolarità della nuova tecnologia), Hitchcock ne realizzò due versioni diverse, di cui una sonorizzata. Stilisticamente, comunque, anche quest'ultima è ancora debitrice del cinema precedente: tutta la prima parte, addirittura, presenta rumori ambientali e una musica incalzante, ma i personaggi muovono la bocca senza emetter parole, proprio come in un film muto. Diversi gli elementi e le "trovate" registiche da segnalare: l'uso espressionistico delle ombre sui muri (che Hitchcock mutua dal cinema tedesco), la potenza evocativa del dipinto di Crewe che mostra un clown (Rigoletto?) che ride della ragazza, la chiacchierata metacinematografica tra Frank e Alice sul film da andare a vedere al cinema (il detective è convinto che la pellicola, che parla di Scotland Yard, sarà piena di errori), la salita delle scale (viste in sezione), l'inquadratura di Alice che si spoglia a casa di Crewe mentre lui suona il pianoforte, la sequenza in cui la ragazza, dopo il delitto, vaga tutta la notte per Londra, ossessionata dall'immagine del pittore morto (al punto da trasfigurare, nella sua immaginazione, persino le insegne pubblicitarie), e naturalmente l'inseguimento al ricattatore per le sale del British Museum, fino al confronto finale sul tetto. Hitchcock stesso compare in uno dei suoi camei più lunghi, nei panni dell'uomo che legge in treno e a cui un ragazzino fa i dispetti.

29 agosto 2013

L'isola del peccato (A. Hitchcock, 1929)

L'isola del peccato (The Manxman)
di Alfred Hitchcock – GB 1929
con Carl Brisson, Malcolm Keen, Anny Ondra
**

Visto su YouTube.

Il titolo originale significa "L'uomo dell'isola di Man", ed è proprio su quell'isola – un protettorato britannico nel Mare d'Irlanda – che si svolge la storia. Il pescatore Pete e l'avvocato Philip sono amici sin dall'infanzia, nonostante la diversa estrazione: il primo è povero, il secondo appartiene a una "dinastia" di giudici. Innamorato della bella Kate, che serve al banco della taverna locale, Pete viene rifiutato dal padre di lei: decide allora di lasciare l'isola per girare il mondo in cerca di fortuna, affidando nel frattempo la ragazza (che ha promesso di sposarlo al suo ritorno) alle cure dell'amico. In sua assenza, naturalmente, fra Kate e Phil sboccia segretamente l'amore. Tuttavia, quando Pete torna arricchito, Kate non può mancare alla promessa fattagli. Il matrimonio viene celebrato (con Philip come testimone dell'amico) e ben presto nasce anche un bambino, che all'insaputa di tutti non è figlio di Pete ma di Philip. Non sopportando di continuare a vivere nella menzogna, Kate però abbandona il tetto coniugale: e la verità verrà a galla in modo drammatico. L'ultimo film muto di Hitchock (o il penultimo, se teniamo conto che "Ricatto" fu girato in due versioni) è un melodramma sentimentale girato con mestiere ma senza guizzi, in grado comunque di superare i limiti del genere grazie all'interessante ambientazione (ma in realtà le belle sequenze che mostrano gli scenari naturali dell'isola, come faraglioni e rocce, furono girate in Cornovaglia) e un tris di interpreti affiatati: oltre al danese Carl Brisson (già protagonista di un altro triangolo amoroso in "Vinci per me!") nei panni dell'ingenuo Pete, e Malcolm Keen (già ne "Il pensionante") in quelli del tormentato Phil, spicca la deliziosa biondina Anny Ondra, che con sir Alfred girerà un altro film ("Ricatto", appunto) prima che la sua carriera britannica fosse stroncata dall'avvento del sonoro (di origine cecoslovacca, aveva un forte accento dell'Europa dell'est). Da segnalare la sequenza in cui il passare del tempo (e il rapporto sempre più stretto di Kate con Philip) vengono mostrati sfogliando le pagine del diario della ragazza. Il film è ispirato a un romanzo di Hall Caine di fine ottocento, assai popolare all'epoca, da cui era già stata tratta una pellicola nel 1917.

28 agosto 2013

Bubba Ho-tep (Dan Coscarelli, 2002)

Bubba Ho-tep (id.)
di Dan Coscarelli – USA 2002
con Bruce Campbell, Ossie Davis
***

Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

In una casa di riposo per anziani nel profondo Texas, due ospiti che sostengono di essere rispettivamente Elvis Presley (quello morto per droga sarebbe stato un imitatore) e il presidente J.F. Kennedy (nonostante la pelle nera!) affrontano una mummia egiziana (con cappello da cowboy) che si introduce nottetempo nell'ospizio per succhiare le anime dei residenti allo scopo di mantenersi in vita. Tratta da un racconto di Joe R. Lansdale, un'ironica e sarcastica commedia horror che ha i suoi punti di forza – oltre che nella trama assurda – nella spiazzante contaminazione fra l'ambientazione decadente e i cliché del cinema d'avventura, nella divertita recitazione dei protagonisti (a rubare la scena è soprattutto Campbell, già protagonista della trilogia de "La casa" di Sam Raimi) e nei dialoghi e monologhi cinici, volgari e dissacranti, un misto fra la prosa di Bukowski e le sceneggiatura di certi film di Carpenter ("Grosso guaio a Chinatown", per esempio): non a caso su tutto il film aleggia un'aura anni ottanta (o addirittura da drive in), che ricorda appunto i migliori lavori dei vari Raimi, Carpenter e Dante. Gli stereotipi e i luoghi comuni del cinema horror vengono reinventati o capovolti, all'insegna della nostalgia e dell'elegia della vecchiaia: indimenticabili, infatti, i due protagonisti, pazzi o mitomani (ma almeno per "Elvis" il dubbio che sia quello vero rimane) che si trasformano coraggiosamente in avventurieri pur non reggendosi in piedi (uno si muove con il girello, l'altro in sedia a rotelle). Nei titoli di coda si allude scherzosamente a un seguito, "Bubba Nosferatu", che però non è stato mai girato.

26 agosto 2013

Il mio amore brucia (K. Mizoguchi, 1949)

Il mio amore brucia (Waga koi wa moenu)
di Kenji Mizoguchi – Giappone 1949
con Kinuyo Tanaka, Mitsuko Mito
**

Rivisto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli inglesi.

Alla fine dell'ottocento, la giovane insegnante Eiko Hirayama si batte per i diritti delle donne in un'epoca in cui gli antichi sistemi feudali e familiari le vedevano ancora sottomesse alla volontà degli uomini. Ispirata dalla visita di un'attivista del partito liberale, abbandona il suo villaggio natale per seguire a Tokyo l'amico d'infanzia Hayase, che ne è diventato membro. Qui affianca il leader del partito, Kentaro Omoi, nel suo tentativo di costringere il governo a promuovere una costituzione e istituire un parlamento. Ma dovrà scontrarsi, oltre che con ingiustizie e incomprensioni, anche con l'ostilità dei suoi stessi compagni, che nonostante i discorsi retorici su libertà e uguaglianza ancora non credono alla parità dei sessi. Da un soggetto di Kogo Noda (abituale collaboratore di Ozu), sceneggiato da Yoshikata Yoda e Kaneto Shindo, un caposaldo del cinema di critica sociale giapponese che affronta il tema – carissimo a Mizoguchi – dell'oppressione maschile nei confronti delle donne, scegliendo però una protagonista che non si arrende di fronte a questo stato di cose ma lotta ostinatamente per cambiarlo. Ne risulta un lungometraggio ingessato e ideologico, con personaggi manichei e dall'incedere lento e melodrammatico, che si vivacizza solo a tratti (per esempio nella sequenza dell'incendio della fabbrica di seta durante le rivolte dei contadini). "Non rimpiango la mia giovinezza" di Akira Kurosawa era decisamente tutt'altra cosa. La personalità di Eiko, a sua volta monolitica, emerge soprattutto dal confronto con Chiyo, la domestica che viene venduta, sfruttata, maltrattata in ogni modo, eppure si dimostra incapace – anche quando acquista la libertà – di una vera indipendenza, essendo lei la prima a dare per scontata la propria subalternità nei confronti degli uomini. Eiko, invece, non perde mai di vista il proprio obiettivo, anche a costo di sofferenze e sacrifici personali: tanto Hayase quanto Omoi, i due uomini che ama, la deludono non per motivi sentimentali bensì ideologici; non è ferita dal tradimento di Omoi, in particolare, ma dallo scoprire che non condivide la sua battaglia ("non tradisci solo me, ma tutte le donne").

25 agosto 2013

La cuccagna (Luciano Salce, 1962)

La cuccagna
di Luciano Salce – Italia 1962
con Donatella Turri, Luigi Tenco
**1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

La diciottenne Rossella, appena diplomata alla scuola di stenografia e dattilografia, vaga per le strade di Roma alla ricerca di un lavoro. Ma nell'Italia del miracolo economico, dove si fa a gara a sfoggiare la ricchezza e le auto sportive, si lanciano inchieste di mercato e si inventano slogan pubblicitari, non sembra esserci posto per lei. Trovare un impiego è tanto facile quanto perderlo, fra uomini d'affari che millantano contratti milionari, avvocati spiantati, intrallazzatori spennaturisti, tutti pronti a sfruttare la sua bellezza o la sua ingenuità, disposti (a parole) a offrirle incarichi redditizi che però si rivelano effimeri o equivoci, spesso perché da lei vogliono una cosa sola. L'unico fuori dal coro è Giuliano, nullafacente in perenne conflitto con la società, anticonformista e antimilitarista, che guarda con sospetto all'arricchimento collettivo. Insieme a lui, la ragazza mediterà anche un farsesco suicidio, ma non avrà il coraggio di andare fino in fondo. Uscito nello stesso anno de "Il sorpasso" e sceneggiato da Salce (il futuro regista di "Fantozzi") a partire da un soggetto di Alberto Bevilacqua, Goffredo Parise, Carlo Romano e Luciano Vincenzoni, è un'altra commedia che attraverso una graffiante satira di costume metteva in guardia contro l'apparente benessere che derivava dal boom. Più osteggiata che favorita dalla sua bellezza, e boicottata anche dalla famiglia (che – a parte il fratello effemminato e dunque a sua volta emarginato – non approva la sua ricerca di lavoro e che si ritrova unita soltanto per guardare "Carosello" o Mike Bongiorno in televisione), la protagonista sperimenta sulla propria pelle quanto sia difficile per una ragazza giovane e carina trovare un lavoro "serio". Esordio sullo schermo per Luigi Tenco (al suo primo e unico film, dagli inquietanti risvolti autobiografici), che canta, accompagnandosi con la chitarra, "La ballata dell'eroe" di Fabrizio De André. I titoli di testa parlano di prima apparizione sullo schermo anche per la protagonista Turri e il caratterista Umberto D'Orsi (l'iperattivo e inconcludente uomo d'affari veneto), ma non è vero: entrambi avevano già recitato in precedenza. Camei per Ugo Tognazzi (un automobilista), Liù Bosisio (la suora) e lo stesso Salce (il comandante dell'esercito). Da ricordare il ferro da stiro usato da Tenco come piastra elettrica per fare il caffé.

24 agosto 2013

My boss, my hero (Yoon Je-kyoon, 2001)

My boss, my hero (Dusabu ilche)
di Yoon Je-kyoon – Corea del Sud 2001
con Jung Joon-ho, Jung Woong-in
*1/2

Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Il giovane gangster Du-shik, ritenuto troppo ignorante per poter comandare su un ampio territorio, viene costretto dai suoi superiori a tornare a scuola per prendere il diploma. Fingendosi uno studente pluriripetente, si iscrive così a un prestigioso istituto superiore privato. Di fronte a compagni di scuola teppisti, a professori violenti e a tutte le dinamiche della vita liceale (compresa la "cotta" per una compagna di scuola), avrà il suo da fare per tenere a bada i propri istinti da delinquente; ma non potrà far finta di nulla quando scoprirà che la scuola è guidata da un preside corrotto che favorisce la compravendita dei voti, licenziando gli insegnanti onesti, e che può contare sull'appoggio di una banda rivale. Opera prima del regista Yoon Je-kyoon, è una commedia d'azione che mescola due fortunati filoni del cinema coreano: quello sulle bande mafiose (spesso oggetto di "contaminazioni" di questo tipo, dove si vede un boss calato in un contesto quotidiano e insolito: si pensi per esempio a "Ho sposato una gangster") e quello di ambientazione scolastica, con esagerazioni soltanto apparenti (la durezza e l'estrema competitività del sistema educativo della penisola, così come d'altronde di quello giapponese, non sono di poco conto). Se lo spunto di partenza ha le sue potenzialità, il film però stenta a decollare e si "accontenta" di portare pigramente avanti la storia, fra luoghi comuni e personaggi caratterizzati banalmente (da ricordare almeno il vice di Du-shik, che si spaccia per suo "zio" per frequentare l'insegnante di inglese, di cui è innamorato). E i momenti divertenti o memorabili si contano sulle punte delle dita. Con due seguiti ("My boss, my teacher" nel 2006 e "The mafia, the salesman" nel 2007) e un remake sotto forma di telefilm giapponese (nel 2006).

23 agosto 2013

Metade fumaca (Yip Kam-hung, 1999)

Metade fumaca (Ban zhi yan)
di Yip Kam-hung – Hong Kong 1999
con Eric Tsang, Nicholas Tse
**1/2

Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Dopo aver trascorso trent'anni in Brasile, l'anziano gangster Mountain Leopard (Eric Tsang) torna a Hong Kong con l'intenzione di uccidere il suo antico rivale Nine Dragons (i nomi derivano dai tatuaggi che i due recano sulla schiena) e di ritrovare la donna (Shu Qi) che lui gli aveva sottratto. Qui stringe amicizia con il giovane delinquentello Smokey (Nicholas Tse), al quale chiede aiuto per portare a termine il proprio compito. Ma le cose non stanno come sembrano... Struggente e spiazzante melò che rivela le sue carte poco a poco e che gioca su più piani: inizialmente quello del conflitto generazionale, con il contrasto fra i mafiosi della vecchia guardia – che si mettono il parrucchino, si tingono i capelli, indossano abiti sgargianti per sembrare più giovani – e i nuovi malavitosi, che parlano inglese e non rispettano più i codici d'onori di un tempo; ma soprattutto quello della memoria, visto che il protagonista soffre di Alzheimer e cerca disperatamente di aggrapparsi ai pochi ricordi che ancora gli rimangono, su tutti il volto della donna amata, da lui incontrata nello spazio di una notte i cui eventi potrebbero non essersi svolti esattamente come va raccontando. Falsi ricordi, falsi eroismi e false vendette fanno da sfondo alla storia di un'amicizia fra due "outcast", l'uomo venuto da lontano (e ormai inevitabilmente fuori posto in una città che è cambiata) e il ragazzo che cerca di sopravvivere in una giungla urbana che probabilmente non è fatta per lui, anima fragile e sensibile che protegge le prostitute (lui stesso è figlio di una donna di strada e di un padre ignoto che cerca continuamente senza successo) e che è innamorato di una giovane poliziotta (Kelly Chen). Nell'insolito cast ci sono anche Anthony Wong (il gangster chiacchierone) e Sandra Ng (la donna capobanda). Il titolo significa "mezza sigaretta" e fa riferimento al mozzicone che Mountain Leopard ha conservato come ricordo della donna che ama. Bella la fotografia di Peter Pau, già responsabile di quella di "The killer".

22 agosto 2013

Benvenuti al nord (L. Miniero, 2012)

Benvenuti al nord
di Luca Miniero – Italia 2012
con Claudio Bisio, Alessandro Siani
*

Visto in divx alla Fogona.

Sull'onda del successo di "Benvenuti al sud", ecco l'inevitabile sequel che ne ribalta l'idea di partenza: stavolta è il meridionale Mattia (Siani) a trasferirsi al nord, a Milano, dove sarà ospite di Alberto (Bisio) e avrà modo di sfatare – almeno fino a un certo punto, visto che spesso la pellicola invece di confutare i luoghi comuni li rafforza – i tanti pregiudizi sulla vita nel settentrione (il freddo perenne, la nebbia, la cattiva cucina, la gente che va sempre di fretta). Non potendo contare su una sceneggiatura già pronta come nel primo capitolo (che era il remake del film francese "Giù al nord") ed essendo costretti a inventarsi una nuova trama (imperniata su un alto dirigente delle poste, interpretato da Paolo Rossi, che vuole trasformare l'ufficio postale in cui lavorano i nostri eroi in un modello teutonico di efficienza e puntualità) e nuovi spunti (legati perlopiù alle rispettivi "crisi" dei due uomini con le proprie compagne: Alberto è criticato perché pensa troppo al lavoro, Mattia perché non è sufficientemente responsabile), gli autori non fanno altro che accatastare gag deboli, stiracchiate e prive di mordente. La comicità è di livello televisivo, la satira e l'analisi sociale sono inesistenti o, nei rari casi, superficiali, e la pellicola mostra tutti i limiti di scrittura e regia che ci si attende da una commediola realizzata per pure esigenze di cassetta. Francamente i motivi per perderci tempo sono ben pochi: giusto la curiosità di rivedere i personaggi del primo film (alcuni riciclati fuori contesto) e di assistere al capovolgimento dei ruoli precedenti. La cosa migliore sono i titoli di coda, sui quali Emma Marrone canta "Volare".

21 agosto 2013

Le vie del signore sono finite (M. Troisi, 1987)

Le vie del signore sono finite
di Massimo Troisi – Italia 1987
con Massimo Troisi, Jo Champa
***

Visto in divx, con Sabrina.

Camillo (Troisi), che gestisce con il fratello Leone (Marco Messeri) una bottega di barbiere in una cittadina termale nell'Italia degli anni '30, perde l'uso delle gambe dopo la separazione dalla fidanzata Vittoria (Jo Champa). Il medico del paese, che aspira a introdurre la psicanalisi in Italia, sospetta che si tratti di una malattia psicosomatica: ma né le sue cure né un viaggio a Lourdes, durante il quale il ragazzo stringe amicizia con il timido poeta Orlando (Massimo Bonetti), producono il miracolo desiderato. A determinare la salute di Camillo è in effetti la sua altalenante relazione con Vittoria: tanto che, quando la ragazza rompe il fidanzamento con un altro pretendente, l'uomo torna a camminare. Al terzo film come regista, Troisi abbandona la piccola quotidianità napoletana e sceglie di collocare le vicende del suo personaggio in un periodo ben preciso della storia italiana recente (anticipando in questo il Benigni de "La vita è bella"), forse per evitare di ripetersi e per uscire dalla gabbia dei lungometraggi precedenti. L'ambientazione storica, pur funzionale alla trama, non è comunque preponderante: in primo piano rimangono sempre le vicende personali di Camillo, e gli elementi della dittatura fascista irrompono con prepotenza – e senza preavviso – solo a metà pellicola, dalla scena in cui il protagonista, a causa di un'innocua battuta su Mussolini, viene denunciato come possibile agitatore politico. Pur dando spazio anche ad alcuni comprimari (su tutti l'infantile Leone, che colleziona soldatini, legge fumetti – il "Corrierino", naturalmente! – e vive solo per accudire gelosamente il fratello malato; ma anche il timido e complessato Orlando), che peraltro gravitano sempre intorno a lui, Troisi non rinuncia ai monologhi surreali e alle battute memorabili (come quella sulla lettura: "Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere, non li raggiungerò mai") e trasforma il suo personaggio solitario e stralunato in un individuo più attivo, esuberante e mentitore. Camillo, che sperimenta innovativi ritrovati contro la perdita dei capelli e il dolore, è un personaggio che va sempre e comunque per la propria strada, incurante delle ideologie (aborrisce il fascismo, ma non gli lotta contro: ne è semplicemente una vittima innocente) e della religione (impara ben presto che è inutile attendersi un miracolo, anche se la Madonna continua ad apparire in sogno ai suoi conoscenti), e che si costruisce da solo il proprio destino. Enzo Cannavale è il padre, Clelia Rondinella è la sorella che si fa suora. Musiche (e una canzone, "Qualcosa arriverà") di Pino Daniele.

18 agosto 2013

Ribelle – The Brave (M. Andrews, B. Chapman, 2012)

Ribelle - The brave (Brave)
di Mark Andrews, Brenda Chapman – USA 2012
animazione digitale
**1/2

Visto in divx, con Sabrina.

Nella Scozia medievale, l'irrequieta Merida – ribelle quanto la sua folta chioma rossa – si mostra recalcitrante di fronte ai tentativi della madre di educarla al ruolo di principessa. Insofferente alle formalità di corte e all'irreprensibile comportamento che le viene richiesto, preferisce cavalcare all'aria aperta e tirare con quell'arco che il padre, capo del clan dei Dumbrok, le ha regalato in occasione del suo compleanno. Le cose peggiorano quando i genitori convocano gli altri clan per scegliere chi sarà il suo promesso sposo. Dapprima Merida, che non ha alcuna intenzione di sposarsi, si presenta a sua volta alle gare di abilità per "vincere" lei stessa la propria mano (e naturalmente sbaraglia tutti gli avversari); e poi – dopo una lite furiosa con la madre – fugge nella foresta dove incontra una strega, alla quale chiede un incantesimo per cambiare il proprio destino. Verrà esaudita, ma non come desiderava: la mamma si trasforma in un orso, e Merida avrà il suo gran da fare per metterla in salvo dalla furia del padre, che proprio con gli orsi ha una questione aperta sin da quando uno di loro, anni prima, gli aveva divorato una gamba. A parte la consueta maestria tecnica – l'animazione è eccellente; e salvo i personaggi, assai stilizzati (la strega sembra addirittura una versione femminile del vecchio Geri), scenografie e paesaggi sono incantevolmente realistici – sembra quasi di assistere a un film Disney anziché a uno della Pixar: un plot semplice e schematico, tutto costruito su un tema tipico dell'adolescenza (la ribellione di una figlia alla madre) con morale annessa (a proposito, per una volta il titolo italiano centra il punto più di quello originale, che significa semplicemente "coraggiosa"); un'ambientazione quasi fiabesca, con tanto di "principessa" come protagonista; le inevitabili macchiette comiche (come i tre pestiferi fratellini di Merida); e persino qualche canzone qua e là. La contaminazione fra le due case, che da sempre procedono a braccetto, era inevitabile. Ma una volta la Disney si limitava a distribuire i prodotti Pixar, ora invece sempre più spesso si assiste a ibridazioni fra le diverse filosofie (come dimostra la presenza di John Lasseter come produttore esecutivo sia qui che nel "Rapunzel" disneyano: due pellicole che possono essere paragonate sotto numerosi aspetti, non solo grafici o tecnici ma anche contenutistici). Se si pensa che il più recente cartone Disney sembrava invece un prodotto Pixar (mi riferisco all'ottimo "Ralph Spaccatutto"), ecco che il cerchio si chiude.

17 agosto 2013

The myth (Stanley Tong, 2005)

The Myth - Il risveglio di un eroe (Sam wa)
di Stanley Tong – Hong Kong 2005
con Jackie Chan, Tony Leung Ka-fai
*1/2

Visto in TV.

L'archeologo Jack Lee (Jackie Chan) fa un sogno ricorrente in cui si identifica con Meng Yi, un generale della dinastia Qin (attorno al 200 avanti Cristo) incaricato dall'imperatore di proteggere la principessa coreana Ok-soo (Kim Hee-sun), destinata a diventare la sua concubina. Che ne sia la reincarnazione? Indagando, scopre l'esistenza di pietre di origine meteoritica in grado di annullare la gravità, e soprattutto di un gigantesco mausoleo sotterraneo dove l'imperatore è stato sepolto e la principessa – resa immortale da una medicina – attende il ritorno del generale di cui si era innamorata. Sulle sue tracce, però, c'è anche un ricco tombarolo, attirato fin lì dall'ingenuità di William (Tony Leung Ka-fai), scienziato amico di Jack. Confuso pastiche di arti marziali, avventura e fantasy, che per gran parte viaggia su due binari paralleli (meglio le scene ambientate nel presente, che comunque offrono una qualche dose di azione e divertimento, rispetto a quelle nel passato, che non mostrano nulla di diverso rispetto ai tanti polpettoni storici cinesi) prima di tirare le somme nel finale. Jackie mostra ormai i suoi anni, tanto che in alcune acrobazie c'è bisogno di effetti speciali (come nel salto della cascata), ma non mancano sequenze colme di inventiva come ai vecchi tempi (in particolare il combattimento sopra la piattaforma "collosa", che da solo vale la visione del film). Peccato per l'assenza di un avversario al suo livello. Lo scontro finale nella grotta-mausoleo priva di gravità sembra voler "giustificare" i classici voli dei personaggi dei wuxiapian. Da segnalare la presenza della supersexy attrice indiana Mallika Sherawat, mentre il tombarolo cattivo è Sun Zhou. Nel complesso, un film eccessivamente ambizioso e decisamente noiosetto, che gioca a lungo con la pazienza dello spettatore e gli offre troppo poco in cambio.

16 agosto 2013

Don Giovanni (Joseph Losey, 1979)

Don Giovanni (id.)
di Joseph Losey – Francia/Italia 1979
con Ruggero Raimondi, José van Dam
***

Rivisto in DVD, con Sabrina.

Il nobile libertino Don Giovanni (Ruggero Raimondi) tenta di insidiare Donna Anna (Edda Moser), ne uccide il padre in duello, si fa beffe dell'ex amante Donna Elvira (Kiri Te Kanawa), prova a sedurre la contadina Zerlina (Teresa Berganza), suscitando l'ira del suo promesso sposo Masetto (Malcolm King), si scambia d'abito con il servitore Leporello (José van Dam) e infine irride la statua funebre del Commendatore (John Macurdy), invitandola a cena: ma il "convitato di pietra" si presenterà davvero, per punirlo dei suoi misfatti – là dove la giustizia degli uomini, impersonificata da Don Ottavio (Kenneth Riegel), si era dimostrata impotente – e portarlo con sé all'inferno. Adattando per il grande schermo l'opera immortale di Mozart e Da Ponte, Losey non azzarda una lettura personale, si attiene piuttosto fedelmente al materiale di partenza e fa ricorso, anziché ad attori cinematografici, a veri cantanti lirici, anche a scapito dell'espressività e dell'intensità recitativa (spicca comunque Raimondi, che dà vita a un Don Giovanni più che mai arrogante e carismatico; ma una menzione speciale – e la mia personale preferenza – va all'eccezionale Kiri Te Kanawa nei panni di Donna Elvira). Come tocco in più, però, vi aggiunge la presenza inquietante di un giovane e pallido valletto (Eric Adjani), muto e onnipresente testimone degli eventi. Se dal lato musicale la confezione è di ottimo livello (a dirigere c'è Lorin Maazel), il vero punto di forza sono le scenografie (curate da un "mostro sacro" come Alexander Trauner). La vicenda, anziché in Spagna come da tradizione, è ambientata nel Veneto, fra i canali di Venezia (che suggeriscono un accattivante parallelo con Giacomo Casanova) e le ville palladiane di Vicenza: in particolare sullo schermo si riconoscono la Villa Almerico Capra, detta "Villa Rotonda" (che diventa la residenza di Don Giovanni), la Basilica Palladiana (casa di Donna Anna, tanto che il duello fra Don Giovanni e il Commendatore avviene nell'antistante Piazza dei Signori) e il Teatro Olimpico. Tutto attorno, uno scenario a volte agreste e a volte lagunoso, tipico della costa veneta. Unico difetto: la non sempre eccellente qualità dell'audio (i critici lamentano un'acustica dall'eccessivo riverbero), il che è paradossale e naturalmente un peccato, visto la natura musicale della pellicola.

15 agosto 2013

Ratataplan (Maurizio Nichetti, 1979)

Ratataplan
di Maurizio Nichetti – Italia 1979
con Maurizio Nichetti, Angela Finocchiaro
**1/2

Visto in TV.

Poetico e surreale, il film d'esordio alla regia di Maurizio Nichetti (già attore e sceneggiatore per Bruno Bozzetto – in "Allegro non troppo" – e Guido Manuli, che qui ricambia disegnando i titoli di testa) è stato paragonato – e non senza ragione – alle opere di Charlie Chaplin, di Buster Keaton e di Jacques Tati, anche perché presenta un personaggio essenzialmente muto, protagonista di gag che sembrano uscire proprio alle vecchie comiche, oltre che da quel mondo di cartoni animati a lui tanto caro. Il film è una raccolta di sketch che si susseguono senza un vero filo conduttore, se non quello di mostrare la vita e le difficoltà (lavorative, sociali, sentimentali) di un personaggio "candido" e creativo in una Milano caotica e incapace di apprezzarne l'estro, la fantasia e l'immaginazione. Assai significativa, al riguardo, la gag con cui si apre la pellicola, forse la più celebre di tutto il cinema di Nichetti, che ne riassume al tempo stesso la poetica e il senso: il giovane ingegnere Colombo partecipa a un test attitudinale per l'assunzione in un'importante azienda, dove ai candidati è richiesto di tratteggiare un albero su un foglio di carta; tutti gli altri si limitano a uno schizzo rigido e schematico (e vengono assunti), mentre lui propone un magnifico disegno a colori, pieno di amore e di dettagli, e naturalmente viene scartato. Altre scene memorabili: quella in cui Colombo, cameriere in un chiosco-bar, attraversa tutta Milano per portare un bicchier d'acqua che, durante il lungo tragitto, viene a tal punto "contaminato" da diventare un miracoloso elisir capace di guarire i paralitici. E ancora: il nostro protagonista, che vive in una decrepita casa di ringhiera dove ne avvengono di tutti i colori, a un certo punto costruisce un robot con le proprie fattezze, da pilotare a distanza, per corteggiare (e portare a ballare in discoteca!) la bella vicina di cui è innamorato (Edy Angelillo). Il sosia è tutto quello che lui non è: elegante, "inquadrato", ripetitivo; non a caso si troverà a suo agio in quel mondo moderno che invece rifiuta il "vero" Colombo. Ma anche questi, per fortuna, nel finale troverà l'anima gemella in un'altra ragazza (Angela Finocchiaro), a lui assai più simile. Dicevamo dei "debiti" cinematografici: da Chaplin proviene l'indole del personaggio, buono e tenero ma incompreso ed emarginato; da Keaton la geniale inventiva, come dimostrano i complessi meccanismi che arredano la sua casa e gli fanno trovare sempre pronti al mattino colazione e vestiti (li ritroveremo, anni più tardi, anche nei cortometraggi animati di "Wallace & Gromit"); da Tati, infine, la babele di lingue straniere, di borbotti incomprensibili e di rumori ambientali e onomatopeici (sin dal titolo del film!) che fanno da sfondo alla stralunata comicità e al sostanziale mutismo del personaggio principale, oltre che la satira della vita moderna, a sua volta alquanto chapliniana. Ma Nichetti vi aggiunge anche una impronta personale, che ne fa a tutti gli effetti un autore originale: l'entusiasmo infantile, la voglia di stupire, l'amore per la leggerezza e l'intrattenimento clownesco (si pensi a tutta la parte che mostra la compagnia di teatranti "Quelli di Grock" – di cui faceva parte anche nella realtà – mentre si esibisce di fronte a un riottoso pubblico in una cascina di campagna). Nel cast anche Lidia Biondi (la donna sempre incinta), Enrico Grazioli (il dispotico impresario della compagnia teatrale) e Roland Topor (il manager che ordina il bicchier d'acqua). Girato con un budget ridottissimo, il film riscosse un ottimo successo di pubblico e si conquistò una certa fama anche all'estero (il doppiaggio in altre lingue, fra l'altro, fu relativamente poco dispendioso, visto che i personaggi che parlano sono ben pochi).

14 agosto 2013

Benvenuti al sud (Luca Miniero, 2010)

Benvenuti al sud
di Luca Miniero – Italia 2010
con Claudio Bisio, Alessandro Siani
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Visto in divx, con Sabrina.

Alberto Colombo (Bisio), direttore dell'ufficio postale di Usmate Velate, in Brianza, sogna un trasferimento a Milano: per punizione verrà invece inviato per due anni a Castellabate (in provincia di Salerno, anche se nel film si dice genericamente che è vicino Napoli). Partito colmo di pregiudizi (teme la criminalità, il caldo, la sporcizia...) scoprirà invece che il soggiorno al sud è migliore di quanto credesse: l'ospitalità (tutti gli offrono in continuazione caffé, cibo e limoncello), il sole, il mare, la vita rilassata e l'amicizia e la simpatia degli abitanti lo conquisteranno al punto che darà ragione al suo impiegato Mattia Volpe (Siani) quando gli dice "Un forestiero che viene al sud piange due volte, quando arriva e quando parte". Fortunato (e fedele) remake della già fortunata commedia francese "Giù al nord", la cui ambientazione si prestava perfettamente a essere "virata" in versione italiana, vista la contrapposizione fra settentrione e meridione che impera nella nostra commedia sin dai tempi di "Totò, Peppino e... la Malafemmina" (e che francamente stupisce di trovare ancora a cinquant'anni di distanza: in effetti il film potrebbe essere tranquillamente ambientato negli anni '50 o '60 senza cambiare quasi nulla della sceneggiatura). Evidentemente però il pubblico ha gradito la riproposizione (e il superamento) di stereotipi vecchi ormai di decenni (compresi quelli più "simpatici": dalle mamme invadenti agli orari di lavoro "disinvolti", per non parlare delle gag sul dialetto incomprensibile): il film ha incassato decine di milioni di euro, rendeno di fatto "necessaria" la realizzazione di un sequel uscito un anno e mezzo dopo, "Benvenuti al nord". Certo, nonostante la bella atmosfera e le molte situazioni divertenti, la pellicola non fa altro che rimpiazzare gli stereotipi negativi con altri stereotipi positivi, senza azzardare una vera analisi sociale (men che mai contestualizzata) e senza andare al di là di un buonismo popolare e di facciata. Non a caso è stata scelta come ambientazione Castellabate (e la sua frazione Santa Maria, sul mare), "isola felice" nel parco nazionale del Cilento, e non la città di Napoli vera e propria. Sceneggiatura e setting a parte (che a tratti ricordano anche classici come "Pane, amore e fantasia"), la confezione è mediocre: la regia di Miniero (che proviene dalla pubblicità) è scolastica, mentre gli attori sono cabarettisti o al servizio di personaggi-macchiette. Angela Finocchiaro è la moglie di Alberto, Valentina Lodovini la ragazza di cui si innamora Mattia.

13 agosto 2013

Vacanze di Natale (C. Vanzina, 1983)

Vacanze di Natale
di Carlo Vanzina – Italia 1983
con Jerry Calà, Christian De Sica
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Visto in divx, con Sabrina.

Un variopinto gruppo di personaggi, per lo più romani, si ritrova a Cortina d'Ampezzo per festeggiare il Natale. Il cantante Billo (Jerry Calà), dongiovanni da un'avventura a notte, ritrova una sua vecchia fiamma, Ivana (Stefania Sandrelli), ora sposata al ricco Donatone (Guido Nicheli). Mario (Claudio Amendola), in vacanza con la famiglia "burina", si aggrega al gruppo dell'amico Luca (Marco Urbinati), compagno di fede romanista ma proveniente da una famiglia ricca e snob, e si innamora di Samantha (Karina Huff), fiamma americana del fratello maggiore di Luca, Roberto (Christian De Sica). Serenella (Antonella Interlenghi), fidanzata di Luca, complotta contro Mario perché il suo ragazzo lo ignora a causa sua. Scritto dal regista insieme al fratello Enrico e prodotto dalla Filmauro di Aurelio De Laurentiis, è di fatto il primo "cinepanettone" vanziniano (è vero che nasce in seguito al successo dei due "Sapore di mare", usciti l'anno prima, di cui è una versione natalizia e invernale: ma quelli si svolgevano negli anni sessanta, in chiave di revival, mentre è a partire da questo che gli autori "mettono in scena" – se così si può dire – l'attualità). A cercargli con ostinazione dei pregi, in effetti, si può sottolineare come la pellicola mostri fedelmente il consumismo e la cafonaggine imperante nella società italiana dei primi anni ottanta, dove le classi sociali – povere o ricche, giovani o vecchie che fossero – si preoccupavano soprattutto di ostentare benessere e di fare "presenzialismo" nei luoghi di villeggiatura più "in", incuranti della volgarità e dell'imbarbarimento di cui erano portatrici (sono numerosi, fra l'altro, i riferimenti in chiave promozionale alla galassia-Berlusconi: si citano le sue televisioni, le sue riviste di gossip, ecc.). Peccato che, al servizio di tutto questo, ci sia una regia amatoriale; una sceneggiatura che affastella gag di una pochezza imbarazzante ed è incapace di andare al di là di una struttura a episodi che non salgono mai di livello; attori di stampo televisivo o con evidenti limiti, come dimostreranno le loro carriere future (i migliori, ça va sans dire, sono la Sandrelli e – tutto sommato – De Sica); una scarsa cura per ogni aspetto tecnico della messa in scena (evidentissima la neve finta in alcune sequenze con protagonista Calà). Non che ci fosse molto altro da aspettarsi se si pensa che la pellicola è stata girata in sole tre settimane. Nel cast, comunque, si riconoscono in ruoli minori (fra gli altri) anche Moana Pozzi e Mario Brega. A rimpolpare come canditi il "cinepanettone" c'è tutta una serie di canzoni e canzonette del momento (da "Moonlight Shadow" di Mike Oldfield – nella versione cantata da Maggie Reilly, usata come sigla iniziale – ad "Amore disperato" di Nada, passando per Vasco Rossi, Lucio Dalla, Gazebo ed Anna Oxa), molte delle quali ("Maracaibo", per esempio) non c'entrano assolutamente nulla con il setting dolomitico.