Pranzo alle otto (George Cukor, 1933)
Pranzo alle otto (Dinner at Eight)
di George Cukor – USA 1933
con Lionel Barrymore, Jean Harlow
***1/2
Visto in divx.
In occasione della visita a New York di Lord e Lady Ferncliffe, una coppia di ricchi nobili britannici, i coniugi Jordan decidono di dare una cena in loro onore, invitando un ristretto gruppo di amici e conoscenti strettamente selezionati. Ma problemi di varia natura (economici, professionali, sentimentali e morali) si intrecceranno in maniera inaspettata...
I riti della mondanità al tempo della crisi finanziaria (gli effetti della Grande Depressione si facevano ancora sentire e restano palpapili sullo sfondo di tutto il film, nonostante l'ambientazione altolocata): da una commedia teatrale di George S. Kaufman ed Edna Ferber, uno dei capolavori di Cukor e del cinema hollywoodiano pre-codice Hays, ricco di stile e di incredibili finezze nella scrittura e non solo. Più che la cena (non certo un pranzo come dicono il titolo e i dialoghi italiani!), la pellicola – di impostazione corale – racconta i preparativi e tutti gli eventi che la precedono (il film si conclude proprio al momento di sedersi a tavola).
E più che una commedia, a dire il vero sembra quasi un dramma, con una sceneggiatura che porta in primo piano senza remore temi come l'adulterio, il suicidio e l'alcolismo, e che nell'incastrare magistralmente le storie dei vari personaggi ne mette in luce le virtù ma soprattutto i vizi e i difetti (le ipocrisie, la cura delle apparenze, i tradimenti, la leggerezza). Tutti sono ottimamente caratterizzati (con un riuscito mix di umorismo, cinismo, empatia e pathos), anche grazie a un cast di interpreti in gran forma, fra i quali alcuni dei migliori attori e caratteristi dell'epoca: si va dal mite Oliver Jordan (Lionel Barrymore), armatore in crisi finanziaria e con problemi di salute (che tiene nascosti alla moglie), alla sua vacua consorte Millicent (Billie Burke), preoccupata soltanto della buona riuscita del suo pranzo (tanto da non accorgersi dei problemi delle persone attorno a lei). C'è poi la figlia ribelle Paula (Madge Evans), prossima al matrimonio ma che ha segretamente un amante; questi è il quarantacinquenne Larry Renault (John Barrymore), attore alcolizzato e ormai in declino, che cerca inutilmente di risollevare la propria carriera. Alla cena sono invitati anche i coniugi Packard: lui (Wallace Beery) è un grezzo uomo d'affari del Montana, volgare e arrivista, che complotta alle spalle di Jordan per togliergli il controllo della sua stessa società; lei (Jean Harlow) è la sua giovane moglie frivola, annoiata e capricciosa. Ci sono poi il dottor Talbot (Edmund Lowe), aitante e donnaiolo, che fra le sue numerose amanti conta proprio la signora Packard; e sua moglie, la rassegnata Lucy (Karen Morley), al corrente delle scappatelle del marito. Infine, l'ultima invitata è Carlotta Vance (Marie Dressler), anziana attrice di teatro, primo amore del signor Jordan e grande gaffeur, anche lei in perenni difficoltà economiche.
Naturalmente, dopo tanta attesa e tanti preparativi, la cena rischia di essere un disastro: a parte i problemi personali degli invitati e quelli della servitù, la sua stessa ragion d'essere viene a mancare quando Lord e Lady Ferncliffe fanno sapere all'ultimo momento che non si presenteranno (e simbolicamente, prima di loro sparisce il piatto forte, quel grottesco leone di gelatina che avrebbe dovuto essere la "nota di classe" del pranzo). Tutta la fragile impalcatura che regge la società sembra crollare (la salute e il lavoro di Oliver, il fidanzamento di Paula, le finanze di Carlotta, il matrimonio dei Packard e quello dei Talbot, l'autostima di Larry), le verità rimosse vengono a galla, e lo script non si arresta nemmeno per un attimo nel distruggere con cinismo le certezze dei personaggi. Ma in tutto questo, un pizzico di ottimismo all'insegna dell'ironia è sempre dietro l'angolo: a Oliver che confida alla moglie "Siamo rovinati", Millicent risponde candidamente "Ma tutti sono rovinati, caro!". La cura e l'attenzione allo studio dei personaggi è evidente anche in quelli minori: dalla cugina di Millicent, Hattie (Louise Closser Hale), invitata all'ultimo minuto alla festa al posto dei Ferncliffe, a suo marito Ed (Grant Mitchell), cinefilo recalcitrante; dal manager di Larry, Max Kane (Lee Tracy), che si dà inutilmente da fare per trovargli una nuova scrittura, ai vari domestici fra cui Tina (Hilda Vaughn), svagata e insofferente cameriera di Kitty. Ma fra i tanti interpreti (con note di merito per il tragico John Barrymore e la multiforme Marie Dressler), la più memorabile è proprio Jean Harlow, bionda platino luminosissima e deliziosa nel ruolo della superficiale Kitty Packard, vestita capricciosamente di bianco (e qui merita di essere citato il grande Adrian, costumista e fashion designer per tanti capolavori della MGM: suoi anche gli abiti di "Scandalo a Filadelfia", per esempio) o con la schiena scoperta alla festa ("La mia pelle è estremamente delicata e ho tanta paura di esporla", commenta senza rendersi conto dell'ironia), indimenticabile nella sua camera da letto decadente e arredata in stile Art Deco (gli scenografi Hobe Erwin e Frederic Hope dichiararono di aver utilizzato undici diverse "sfumature di bianco"). Celebre la battuta finale (a Kitty che afferma di aver letto un libro che sostiene che "le macchine prenderanno il posto di tutte le professioni", Carlotta replica, dopo averla squadrata: "Mia cara, di questo pericolo lei non deve spaventarsi"). Della regia di un giovane Cukor, raffinata e brillante oltre che perfetta nei tempi e nella direzione degli attori, è persino inutile parlare. Il film è stato rifatto per la tv nel 1989, diretto da Ron Lagomarsino con Lauren Bacall, Marsha Mason e Charles Durning.
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