Rapsodia in agosto (Akira Kurosawa, 1991)
Rapsodia in agosto (Hachigatsu no kyōshikyoku)
di Akira Kurosawa – Giappone 1991
con Sachiko Murase, Richard Gere
***1/2
Rivisto in DVD.
Il penultimo film di Kurosawa è un toccante e intenso racconto sulle conseguenze del bombardamento atomico e su come differenti generazioni di giapponesi si rapportano con quell'evento. Al centro della storia c'è l'anziana Kane (Sachiko Murase), che vive fra le montagne presso Nagasaki e che il 9 agosto 1945 vide morire suo marito quando gli americani sganciarono la bomba sulla città. Ospiti da lei per l'estate sono i suoi quattro nipoti, Tami, Tateo, Minako e Shinjiro, che apprendono dalla nonna la reale portata di quello che è accaduto e che visitano con commozione e orrore i monumenti e i luoghi che ancora oggi, nella città, ricordano quello che è accaduto (in particolare lo scheletro di metallo aggrovigliato che è stato conservato nel piazzale della scuola dove morì il loro nonno, al tempo insegnante). Quando la vecchia Kane riceve un invito da Suzujiro, suo fratello da tempo trasferitosi alle Hawaii e diventato cittadino statunitense, che vorrebbe rivederla prima di morire, nicchia prima di accettare. Nel frattempo a giungere in Giappone è il figlio americano di Suzujiro, Clark (Richard Gere), che ha così l'occasione di conoscere i suoi parenti giapponesi e fare i conti con il passato che ha diviso le due nazioni. Le barriere generazionali (come sempre, in Giappone, c'è un distacco non indifferente: nonni e nipoti sembrano legati da una sensibilità che è assente nella generazione intermedia, più materalista e concreta, anche perché cresciuta dopo la guerra e negli anni del boom economico) e quelle geografiche (Giappone e America, separate non solo dall'Oceano ma anche dai ricordi di una guerra ormai conclusa da anni e che ha portato tanti lutti: "La guerra è finita ma la bomba continua a uccidere", dice Kane) dominano le dinamiche di una pellicola molto più complessa e stratificata di quanto non sembri all'apparenza con il suo tono intimo e l'incedere episodico, e che ha mandato fuori strada anche qualche critico che l'ha accusata di anti-americanismo, oppure di sottacere le responsabilità giapponesi durante il conflitto (nel primo caso, è la stessa Kone a spiegare come la colpa non sia dei popoli, ma della guerra in sé; nel secondo, il tono umanista e antibellico del film e la mancanza assoluta di glorificazione di quei giorni mi sembrano prove sufficenti per confutare la critica, a meno di non voler condurre la sceneggiatura verso altre direzioni, estranee e fuori tema).
Al toccante ricordo della tragedia atomica (con sequenze, come quella in cui i quattro nipoti visitano la città e i suoi monumenti, che riportano alla mente "Hiroshima mon amour"), presentato con sincera commemorazione e senza retorica (ma accompagnato da immagini visivamente inquietanti, come l'enorme e malvagio occhio che si apre nel cielo), si affianca il motivo dei rapporti con l'ex nemico e ora alleato, gli Stati Uniti, impersonificati dalla figura di un Richard Gere (la seconda star americana, dopo il Martin Scorsese di "Sogni", ad apparire come ospite nel cinema di Kurosawa) cui il doppiaggio italiano regala un marcato accento per simulare quello che sfoggiava nella versione originale (in cui l'attore, ovviamente, parlava in giapponese, avendo memorizzato foneticamente le sue battute). Rapporti che sono ancora più stretti se si pensa ai tanti giapponesi trasferitisi là e naturalizzati, come i membri della famiglia di Suzujiro, i cui nipoti sono biondi e "americani al cento per cento". La straordinaria figura della nonna, ostinata e testarda, vivace e spiritosa, che racconta ai nipoti ricordi e testimonianze, ma anche curiose storie di spiriti e folletti (come il Kappa che vive nella vicina cascate) e buffi aneddoti sui suoi tanti fratelli (così tanti che non se li ricorda nemmeno tutti), guida l'intera pellicola. E ciò nonostante il punto di vista rimane sempre quello dei giovani ragazzi, che in certo senso simboleggiano una riconciliazione con il passato ormai già avvenuta (pur essendo giapponesi, indossano jeans e magliette di università americane, parlano inglese e sono più che lieti di conoscere i parenti d'oltreoceano). Al contrario, i loro genitori vengono nei ricchi congiunti hawaiiani solo un'occasione di guadagno, e si rapportano a loro con una certa ipocrisia, addirittura tacendo inizialmente il fatto che il nonno sia morto nell'esplosione di Nagasaki ("Gli americani si offendono se qualcuno gli ricorda la bomba atomica"). Dopo tante sequenze di quotidianità estiva (le cene, le gite alla cascata, i giochi fra i bambini, il tentativo di Tateo di riparare un vecchio organo), resta memorabile il finale in cui, forse rivivendo quel terribile giorno del 1945, la vecchia Kane "sfida" il vento, la pioggia e la tempesta avanzando con il proprio ombrellino in mezzo alla tormenta, vanamente inseguita da figli e nipoti: un'immagine divenuta iconica e una sequenza di poesia e potenza su cui il film, sulle note del bellissimo "Stabat mater" di Vivaldi, si conclude lasciando lo spettatore in balia delle proprie emozioni.
3 commenti:
Film delicato e davvero bello. Quella scena finale credo non la dimenticherò mai.
Grande e sottovalutato film di uno dei più Grandi.
Ottimo recupero, doveroso in questi giorni.
È un Kurosawa più intimo e "familiare" rispetto ad altri suoi lavori, ma altrettanto intenso perché affronta un tema che gli stava particolarmente a cuore.
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