5 aprile 2014

Cave of forgotten dreams (Werner Herzog, 2010)

Cave of Forgotten Dreams (id.)
di Werner Herzog – Francia/Can/USA/GB/Ger 2010
***

Visto in TV, in originale con sottotitoli.


Affascinante documentario sulla grotta di Chauvet (scoperta da alcuni speleologi dilettanti nel 1994, in Francia, nella regione del Rhône-Alpes) e sui meravigliosi dipinti rupestri che contiene. Non soltanto essi rivestono un inestimabile valore storico e archeologico (alcuni dei disegni – datati fino a 32.000 anni fa – sono i più antichi che si conoscano fra quelli prodotti dall'uomo), ma sono anche vere e proprie opere d'arte: scene di animali (cavalli, leoni, rinoceronti e altri ancora) ritratti con precisione, sensibilità artistica e religiosa. A tratti sembra di ammirare schizzi a carboncino o ad acquarello di artisti contemporanei, o addirittura scene d'insieme nello stile di Picasso. L'accesso alla grotta è vietato al pubblico, per preservare i preziosi ritrovamenti (non solo i dipinti, ma anche resti fossili, impronte, ossa e scheletri, per non parlare delle magnifiche formazioni calcaree) ma anche perché i pericolosi gas tossici che essa contiene (radon e biossido di carbonio) non permettono una permanenza prolungata al proprio interno. Herzog ha ottenuto il raro permesso di girare all'interno della caverna dal ministero della cultura francese, sotto strette condizioni: poche ore di lavoro al giorno per una sola settimana, una troupe ridotta ai minimi termini (lo stesso regista era responsabile dell'illuminazione), il divieto di toccare o di avvicinarsi troppo alle pareti, l'utilizzo di speciali macchine da ripresa costruite appositamente. Il fascino delle immagini (che spesso "parlano da sole", nonostante l'immancabile voce off del nostro regista) si sposa con la percezione di essere testimoni di un momento fondamentale dello sviluppo del genere umano, quando l'Homo sapiens coabitava ancora con il cugino Neanderthal ma si differenziava da lui proprio per le rappresentazioni simboliche, l'arte, le cerimonie religiose e animiste. "È quasi una forma primitiva di cinema", commenta a un certo punto Herzog, riflettendo su come i disegni, già di per sé estremamente fluidi, dinamici ed espressivamente potenti, dovevano apparire illuminati dalle torce degli uomini preistorici che si muovevano nella caverna buia. Alla fine, il documentario è una sorta di viaggio nel tempo: consente di guardare noi stessi nel passato e le tracce che abbiamo lasciato. Oltre alla grotta, il film mostra alcuni scienziati al lavoro e indaga sull'ambiente circostante (siamo a pochi chilometri dal celebre Pont d'Arc, spettacolare formazione naturale sul fiume Ardèche) e su altri ritrovamenti archeologici legati al Paleolitico superiore. Inizialmente scettico sul valore artistico del 3D (che considerava solo un "trucco per il cinema commerciale"), Herzog è stato convinto a girare in tre dimensioni dal direttore della fotografia Peter Zeitlinger: dopo aver visitato la caverna si è reso conto infatti che solo il 3D avrebbe permesso di rendere sullo schermo lo stesso effetto voluto dagli autori dei dipinti, che avevano incorporato le rientranze e le rotondità delle pareti nei loro disegni. Tuttavia il regista ha dichiarato di non aver intenzione di usare nuovamente il 3D in futuro.

8 commenti:

Ismaele ha detto...

l'ho visto al cinema in 3D ed è davvero l'unico film per cui il 3D ha un senso, fra quelli che ho visto finora

Christian ha detto...

Purtroppo io l'ho visto solo in TV... Avevo cercato di andare a vederlo al cinema, perché sapevo che il 3D ne sarebbe valsa la pena, ma non c'ero riuscito.
Per me finora le tre dimensioni hanno avuto senso solo due volte: "Pina" (guarda caso, un altro documentario) e "Gravity".

Ismaele ha detto...

non per farti soffrire, ma "Pina" e "Gravity" completano il podio, Herzog è un po' sopra :)

jeff ha detto...

Visto anche io al cinema. Il 3D qui è esemplare (anche se non in tutta la durata del film) del tipo di riprese che gli sono confacenti: piani lunghi e sufficientemente statici. Per la visione della materialità della roccia, le sue dimensioni e anche il fatto che si tratta di uno sguardo che accede eccezionalmente in un luogo meta-cinematografico, meta-narrativo e via dicendo, Herzog a quanto pare ha ricevuto un buon suggerimento dal suo direttore della fotografia :) (vengo a saperlo qui che è stata una sua diretta decisione).

Non ho visto Gravity, ma tra i 3D che valgono la pena metto Hugo Cabret. Un pò dimenticato, invece, mi pare che sia Coraline.

Christian ha detto...

Rimpiango davvero di non averlo visto al cinema!

"Coraline" invece lo vidi (fu in effetti il primo film in 3D di questa nuova generazione che vidi in sala) e non mi fece questa grande impressione. Idem per "Hugo Cabret" (e per "Avatar"): ebbi anzi l'impressione che se li avessi visti in 2D non sarebbe cambiato nulla. Per di più, dopo una ventina minuti, l'occhio si "abitua" e ci si dimentica quasi di stare vedendo un film in 3D, a meno che il film stesso non richieda il 3D per esigenze narrative (come è il caso di "Gravity" o di questi due documentari: "Pina" perché piazza lo spettatore sul palco, in mezzo ai danzatori, e "Cave of forgotten dreams" perché ti fa percepire continuamente la tridimensionalità delle pareti e dunque dei dipinti).

jeff ha detto...

Un film metacinematografico come Hugo Cabret non pensi perciò che sia adattissimo al 3D. Credo che possa essere più di un effetto solo per pochissimi film, mi verrebbe quasi da dire che film che abbiano davvero senso con il 3D non siano stati ancora davvero realizzati. Solo un regista fuori da intenti puramente commerciali e dall'idea del documentario, potrebbe forse concepire qualcosa di valido: che sia non prettamente narrativo, ma molto visivo-esperenziale, metacinematografico, meta-percettivo, che renda lo spazio da un punto di vista inedito in una forma tra il teatro e la scultura... È esclusivamente teorico quello che sto dicendo, lo so :) Sono sicuro però che in trenta-quarant'anni uscirà anche un solo film che non possa fare a meno 3D.

Roger Ebert scrisse un post sulla inutilità della terza dimensione al cinema. Non pretendo di saperne più di lui. Nella recensione che scrisse su questo film, però si espose sottilmente a favore.

"Herzog says that in general, he dislikes 3-D. But he believes there are occasions when 3-D is appropriate, and this film is one of them. I saw it with bright, well-focused digital projection. Apart from a one-shot joke at the very end, he never allows his images to violate the theater space; he uses 3-D as a way for us to enter the film's space, instead of a way for it to enter ours. He was correct to realize how useful it would be in photographing these walls. To the degree that it's possible for us to walk behind Herzog into that cave, we do so."

Tenendo conto che Herzog era il suo regista preferito, qualcosa si era mosso :) Per dire che chiudere totalmente al 3D (perchè c'è chi avverte fastidio agli occhi e alla testa, o perchè "è solo una trovata commerciale"), non è poi del tutto giustificato.


In ogni caso, Gravity l'ho perso proprio perchè avevo deciso di non spendere più per l' inutile sovraprezzo. Anche Pina non l'ho visto, e me ne pento.

Christian ha detto...

he never allows his images to violate the theater space; he uses 3-D as a way for us to enter the film's space, instead of a way for it to enter ours

Ecco, direi che questo è proprio il segreto dei (pochissimi) film per i quali finora il 3D abbia avuto un senso...

jeff ha detto...

Il concetto dell' "entrare nello spazio di un'immagine" trova la mia più completa approvazione, non c'è dubbio :) Bisogna poi capire cosa intendere per "entrare", se questo "violare lo spazio della sala" poi sia sempre ingiustificabile o no.... ma vabbè..