29 maggio 2013

La grande bellezza (P. Sorrentino, 2013)

La grande bellezza
di Paolo Sorrentino – Italia 2013
con Toni Servillo, Sabrina Ferilli
****

Visto al cinema Arcobaleno.

"Non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani": così si presenta il sessantacinquenne Jap Gambardella (uno straordinario – come al solito – Toni Servillo), giornalista viveur che ha abbandonato la carriera di scrittore dopo aver pubblicato, quarant'anni prima, il suo primo e unico libro, "L'apparato umano". Ora trascina le proprie notti in sfrenate feste sulle terrazze di Roma con gli amici, pseudo-intellettuali che si divertono a bere, a ballare, a sniffare cocaina e a fare i trenini sulle note remixate di Raffaella Carrà fino a tarda notte (ma il sole che sorge per loro è quello del logo Martini), magari in cerca di improbabili avventure amorose, non meno soli e disperati di lui ma forse non altrettanto cinici e disincantati. Dal suo appartamento con vista sul Colosseo, Jep domina un mondo dove tutto è "sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio, il sentimento, l'emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile". Paragonato o confrontato da quasi tutti i critici a classici del cinema italiano come "La dolce vita" e "Roma" di Fellini o "La terrazza" di Scola – forse perché mette in scena la vita gaudente ed effimera in una Roma metafisica e allucinata, "ridotta a Babilonia" e che altro non è che uno specchio dell'intero paese – in realtà il sesto film di Sorrentino ha un'anima tutta sua, molto più intima, crepuscolare e decadente. Quelle pellicole raccontavano anche l'ottimismo e le illusioni della società del dopoguerra e degli anni del boom economico (peraltro non scevri da lati oscuri e da una sottile malinconia), mentre in questo caso c'è la constatazione di un fallimento esistenziale già compiuto e della vacuità del presente, che si trascina a fianco dei rimpianti per il passato. Se da un lato si tratta di un film sulla vecchiaia, sul bilancio di un'esistenza o – come lo ha definito lo stesso autore – "sulle occasioni mancate", dall'altro la Roma "indolente, barocca, papalina", dove il trash si fonde con il sublime, è per l'appunto ancora una volta una metafora dell'Italia intera, lo specchio della decadenza di un paese di "pezze e pizze" (l'immagine che meglio la rappresenta è quella della Costa Concordia naufragata all'Isola del Giglio), in cui latitanti possono vivere indisturbati per anni in pieno centro, o in cui nugoli di suore si fotografano davanti ai monumenti.

Agli splendori del passato (anche se la città è vecchia, è ancora abbastanza bella da provocare un infarto a un turista giapponese, e la macchina da presa del regista ne svela tantissimi tesori: le strade, le fontane, i parchi, le rovine... come dimenticare la magica passeggiata notturna alla scoperta dei tesori nascosti negli antichi "palazzi delle principesse"?) si contrappone la mediocrità del presente, dominata dalla volgarità e dalla superficialità dell'apparire (anche un funerale è una recita); all'abilità dei grandi scultori, pittori e architetti che hanno reso Roma celebre nel corso dei millenni, fanno da contrasto le forme di "arte degenerata" della scena contemporanea (la performance dell'artista concettuale "alternativa" che sbatte la testa contro i muri; la bambina pittrice, costretta a esibirsi controvoglia dai suoi genitori; l'uomo che fotografa solo sé stesso, simbolo del narcisismo portato ai massimi livelli); il kitsch e la decadenza affiorano da ogni parte: si va dal chirurgo estetico che inietta botulino a ricche pazienti in coda con il numerino come se fossero dal droghiere, alle sale di spogliarello invase dalle "polacche", dai nobili decaduti che guardano i programmi di Real Time e si fanno "noleggiare" per essere ospitati alle feste, al cardinale (interpretato da Roberto Herlitzka) che anziché sulla spiritualità si concentra solo sulle ricette di cucina. Ma anche dallo sfacelo e dalla vecchiaia, alla fine, può nascere un nuovo impulso; dalla constatazione dei propri limiti e del proprio fallimento può arrivare una nuova saggezza, un nuovo equilibrio: il film si conclude così con un raggio di speranza, con l'alba di un nuovo giorno che può portare a una nuova vita. Ed è curioso che lo stimolo provenga dal personaggio più anziano e decrepito di tutti, la "Santa", protagonista di alcune delle sequenze più surreali (la scena con i fenicotteri che si fermano sul balcone di Jep) di un film comunque sempre sorprendente, a cui non mancano squarci visionari (il mare sul soffitto, simbolo dei ricordi mai sopiti per la gioventù e per il primo amore; la giraffa che sbuca improvvisamente fra le rovine di Caracalla, come se fossimo in un film di Buñuel). L'alternanza fra i rimpianti per la giovinezza e l'amara constatazione della vecchiaia è portata avanti da Sorrentino grazie a una regia di grandissimo livello, come ci ha abituati, fra lenti e virtuosistici movimenti di camera (non si contano le carrellate kubrickiane), un montaggio pop e a tratti allucinato, una fotografia luminosa e folgorante, anche nelle numerose scene notturne. Meravigliosi i titoli di coda, le cui immagini ci fanno letteralmente "navigare" lungo il Tevere e sotto i ponti di Roma. Notevole la colonna sonora, spesso diegetica, fra ensemble vocali che eseguono musica sacra, canzonette pop durante le feste, brani sinfonici (Górecki e Bizet). Nel ricchissimo cast, dove spiccano Carlo Verdone (l'autore teatrale fallito che spera ancora di tornare sulle scene) e Sabrina Ferilli (quarantacinquenne che si esibisce come spogliarellista nel locale di proprietà del padre), ci sono anche Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Giorgio Pasotti (il "custode delle chiavi"), Luca Marinelli, Serena Grandi, Giovanna Vignola (la nana Dadina), Isabella Ferrari ("Che lavoro fai?" "Sono ricca"), Anna Della Rosa, più camei (nella parte di sé stessi) per Fanny Ardant e Antonello Venditti.

13 commenti:

Babol ha detto...

Continuo a leggere recensioni contrastanti e non ho tempo di andarlo a vedere anche se vorrei tanto, mannaggia!!! ç__ç

Christian ha detto...

Per me finora è il film più bello dell'anno... Cerca di andare a vederlo! ^^

Marisa ha detto...


Ho già voglia di rivederlo!
Alla tua bella recensione aggiungerei solamente il risalto dato alla fine alla drammatica scena del percorso in ginocchio della vecchissima e decrepita“santa” sulla gradinata della Scala Santa, in contemporanea con il ritorno del protagonista all'isola della sua gioventù ancora innocente: una vera penitenza e “sacrificio”(nel senso di un atto assurdo compiuto per riparare l'indifferenza e il cinico egoismo degli altri e perciò sacro) da parte dell'unico personaggio totalmente estraneo al corrotto mondo romano.

Christian ha detto...

Sì, in un certo senso la "Santa" è quella che commette un atto di "espiazione" dei peccati per conto di tutti gli altri, permettendo loro di rinascere a nuova vita (oltre a Servillo, penso anche a Verdone, che abbandona finalmente Roma per tornare al suo paesino).

Lakehurst ha detto...

film strepitoso, estremamente debitore a fellini (non alla dolce vita, ma al cinema di fellini in se). Personalmente ho tovato forzata la pate della santa e sprattutto la scena con i fenicotteri, mi è sembrata un tentativo di fare poesia a tutti i costi con metaforoni squillanti.
Comunque anche per me il miglior film visto finora

Christian ha detto...

A me la parte finale con la Santa è piaciuta perché – come dice Marisa – serviva un personaggio che "espiasse" per tutti.
I fenicotteri, sì, quelli forse sono un po' eccessivi (ma fanno il paio con la giraffa). ^^

Marisa ha detto...

Capisco il fastidio per la figura della "Santa" che appare una immagine molto grottesca e quasi stupida, finchè rimane nel contesto mondano e viene esibita senza darle neanche il diritto di parola (c'è il portavoce che la precede sempre impedendole di parlare e riducendola a comparsa strumentale solo ai loro fini). Diventa tragicamente sublime solo alla fine, quando è lasciata completamente sola ad arrancare in una "via crucis" di cui nessuno capisce più il senso.

Christian ha detto...

A proposito della Santa e dei fenicotteri, devo confessare che anche momenti come quello in cui dice "Conosco il nome di tutti questi uccelli" mi hanno colpito, anche se non so bene perché.

Christian ha detto...

Aggiornamento Oscar: "La grande bellezza" ha vinto la statuetta per il miglior film straniero, riportando il premio in Italia 15 anni dopo "La vita è bella" di Benigni!

marco c. ha detto...

L'ho appena visto. Secondo me è fuffa. La classica fuffa alla Sorrentino. E' un film da esportazione, basato su concetti appena accennati ed immagini meravigliose. Ma resta un film senza fondamento, proprio nel senso che è superficiale. Posso capire che molti critici ci siano caduti scambiandolo per grande cinema d'autore.

Christian ha detto...

Non sono d'accordo, anche se il confine fra la fuffa e quello che non lo è, in effetti, è molto labile. Questo film mi ha suggestionato con le sue immagini, i suoi luoghi e i suoi personaggi, si è focalizzato su alcuni temi precisi ma allo stesso tempo ha lasciato che la mia mente valutasse e cogliesse per proprio conto quello che aveva da dire... La fuffa vera (per esempio "The Tree of Life") invece è più pretenziosa e invasiva, vule parlare di tutto e al contempo lascia meno margini di manovra all'interpretazione, al di là del fatto poi che sia più kitsch o più banale... Ma come detto, il confine è labile e varia a seconda dello spettatore o anche della predisposizione o dello stato d'animo al momento della visione.

marco c. ha detto...

Capisco cosa vuoi dire quando parli di confine labile. Qualche dubbio è venuto anche a me a fine proiezione, se fosse un grande film al posto della fuffa. Ma propendo più per la fuffa anche perché se smonti il film scopri che è un collage di vari autori a partire da fellini (nana, palazzi romani notturni), scene da Pizzi (quello dei video del fatto quotidiano sulle festine romane), suggestioni dal posto delle fragole di B. soprattutto con riferimento al primo amore e al suo ritorno all'isoletta etc. Ma resta indiscutibilmente un film molto commerciale e da esportazione, che in Italia non è piaciuto a nessuno ma all'estero è andato benissimo. Poi tornando al film è girato molto bene, con grande cura del suono, della fotografia e delle scelte di camera. Ma resta un film mediocre rispetto ai Maestri del passato, anche se di gran lunga superiore alle attuali regie televisive del cinema italiano contemporaneo. Comunque credo che la grande bellezza del titolo si riferisca proprio al primo amore, o meglio al ricordo del primo amore. Se è così, allora perché fare 2 H di film quando bastavano 1 H e 1/2? Per fare massa critica perché se il film è lungo passa più facilmente per un film impegnato. Diciamoci la verità, c'era da sforbiciare parecchio nella 2^ parte del film, subisce un rallentamento fortissimo che dilata il tempo ma senza lasciare lo spettatore nello stato di tensione di alcuni film di Antonioni. Per non parlare poi della volgarità gratuita nella scelta della Ferilli che fa il paio con le volgarità proferite dal terzetto di podisti nella scena della passeggiata sull'argine. Cosa doveva essere? Un tocco di neorealismo. Concludo con un ultimo paragone col posto delle fragole, hai notato che anche qui c'è una domestica con cui il protagonista ha un rapporto come marito/moglie? Sarà un caso? Anche la sequenza finale (quando torna sull'isoletta e rivede la scena del passato) è identica nel montaggio alla sequenza di B. Sarà un altro caso? Se a questo film togli la parte con le festine romane togli tutto il sapore e rimane un film meno originale ma più concentrato sulle dinamiche emotive del protagonista. Però un film così sarebbe molto più difficile da girare. Lì sì che servirebbe la mano di un Maestro del cinema. E le sequenze delle festine sono indiscutibilmente delle sequenze oniriche. Surreali. Gli animali non credo che siano una citazione di Bunuel, ma potrebbero essere. Oppure no? Francamente credo di no. Credo che siano semplicemente un'aggiunta barocca ad un film ridondante, lungo, prolisso, con pretese di artisticità, che utilizza le rovine romane in maniera furba. E' un film furbo, come lo era il film precedente di Sorrentino con Sean Penn. Sorrentino è il classico napoletano che cerca di vendere la fontana di trevi al turista. E molti ci sono cascati. Fammi concludere con l'inutile cammeo della Ardant. Serviva per venderlo anche in Francia? Basta guardare se è una coproduzione italo-francese.
Perdonami questo cattiveria, ma sono reduce contemporaneamente dalla visione di Metropolis, quindi non potevo che essere spietato del paragone.

Christian ha detto...

I dubbi sono legittimi, ma penso non sia corretto "smontare" un film che è costruito proprio come somma di tante parti, dove proprio anche quelle che ritraggono la "volgarità" sono fondamentali. La "grande bellezza" di Roma, o dell'Italia, o dello stesso Jep Gambardella, dipende certo dal suo glorioso passato (sono d'accordo con te che il tema dell'amore perduto, ma in generale della gioventù rimpianta, sia fondamentale) ma anche dalla vecchiaia, dall'involgarimento, dalla trasformazione. Se tutto fosse ancora pulito, giovane e perfetto, non saremmo a Roma ma a Disneyland, o in Svizzera... La vecchiaia (la Santa), il degrado (la Ferilli), la volgarità (le feste), il grottesco (il chirurgo plastico che riceve come se fosse un cardinale) sono elementi fondamentali del presente, così come l'arte degenerata che convive rispetto all'arte sublime del passato. Nell'appartamento a fianco può vivere un plurilatitante, elegantissimo e discreto... Tutti gli elementi devono coesistere perché altrimenti si perderebbe l'essenza stessa del film: la grande bellezza non avrebbe senso se non condividesse lo stesso spazio con la grande bruttezza.

Il cameo di Fanny Ardant, così come quello di Antonello Venditti, secondo me è quasi una tessera estemporanea del mosaico, forse non prevista nemmeno dalla sceneggiatura ma inserita perché se ne è presentata improvvisamente l'occasione (una visita inattesa dell'attrice sul set, per esempio, un po' come era accaduto per Marlene Dietrich ne "L'infernale Quinlan" di Orson Wells). Lo stesso credo che valga per l'immagine del naufragio della "Costa Concordia": Sorrentino non poteva perdere l'occasione di inserirla nel film! I riferimenti ai "grandi" (Bergman, Bunuel, ecc., ma anche Kubrick) credo siano inconsci, se pure ci sono, mentre quelli a Fellini (ma anche a Scola o Ferreri) forse sono più consapevoli.