Ecco l'impero dei sensi (N. Oshima, 1976)
Ecco l'impero dei sensi (Ai no corrida)
di Nagisa Oshima – Giappone/Francia 1976
con Eiko Matsuda, Tatsuya Fuji
***
Rivisto in DVD, con Sabrina.
Per ricordare Nagisa Oshima, il grande regista della nouvelle vague giapponese da poco scomparso, mi sono rivisto il suo film più celebre, che fece scandalo e riscosse un inatteso successo al Festival di Cannes. Tratto da una storia vera di dipendenza e ossessione sessuale (un caso di cronaca avvenuto nel Giappone del 1936), racconta la vicenda di Abe Sada, ex prostituta che si trasferisce a lavorare come cameriera in una casa di geishe a Tokyo. Innamorata di Kichi, il marito della proprietaria, ne diventerà l’amante e darà vita con lui a un ménage sempre più stretto e intenso, finendo quasi con il vivere di solo sesso. Al culmine della passione, soffocherà l’amante con un fazzoletto: gli taglierà poi i genitali e vagherà per diversi giorni per le strade della città portandoli con sé, prima di essere arrestata. Il fatto destò scalpore nella società giapponese e acquistò un’aura quasi mitica, attirando l’attenzione di scrittori, poeti e cineasti (oltre alla versione di Oshima, da ricordare quella di Noboru Tanaka, “Abesada – L’abisso dei sensi”, del 1975). Assai esplicita visivamente, la pellicola si concentra tutta sul legame sempre più indissolubile fra i due amanti (sono poche le scene che li vedono separati, come quelle in cui Sada si rivolge a un suo vecchio pretendente, il maestro Omiya, interpretato da Kyôji Kokonoe), in un’escalation di amplessi, di estasi sensuale e di giochi erotici ai limiti del sadomasochismo, fino al sacrificio totale (è Kichi stesso che chiede a Sada di strangolarlo, pur di accrescere il suo piacere). Il pregio del film sta proprio nella totale assenza di moralismo e di artificiosità, anche quando tratta del legame fra eros e thanatos (assai radicato nella cultura giapponese): Oshima dà libero sfogo a quella vena naturalista e quasi documentaristica che è uno dei tratti principali del suo cinema e di quello dei suoi colleghi degli anni sessanta (si pensi anche a Shohei Imamura). Notevole la fotografia, con ambienti spogli e minimalisti in cui risalta spesso il colore rosso acceso. La breve sequenza in cui Kichi incrocia un plotone di soldati che cammina in senso opposto è una delle poche che aiutano a collocare la vicenda nel suo adeguato contesto storico, un Giappone che stava per sprofondare nel nazionalismo e nel militarismo, di fronte al quale la scelta dei due protagonirsi di isolarsi dal mondo e di dedicarsi soltanto al piacere dei sensi può non apparire affatto assurda. Koji Wakamatsu è il produttore esecutivo, ma nella produzione è coinvolto anche il francese Anatole Dauman. Solo negli anni novanta, in occasione dell'uscita in home video, il titolo italiano è stato semplificato in "L'impero dei sensi". Avendo voluto mostrare sullo schermo nudità e scene di sesso non simulate, per sfuggire alla censura nipponica Oshima fu costretto a sviluppare e montare la pellicola in Francia (pare che ancora oggi in Giappone sia impossibile vedere il film nella versione non censurata). Processato per oscenità in patria (per aver pubblicato la sceneggiatura!), il regista fece una famosa dichiarazione: “Nulla di ciò che viene mostrato è osceno. Le uniche cose oscene sono quelle che vengono nascoste”.
4 commenti:
bella lì, penso che dopo questa recensione me lo vedrò.
Vale la pena, almeno una volta...
Ancora oggi, ogni volta che vedo un uovo sodo sbucciato.... D:
Quella dell'uovo è la mia scena preferita! :P
Posta un commento