17 gennaio 2013

Castaway on the Moon (Lee Hae-jun, 2009)

Castaway on the Moon (Kimssi pyoryugi)
di Lee Hae-jun – Corea del Sud 2009
con Jung Jae-young, Jung Ryeo-won
***

Visto in TV, con Sabrina.

Disoccupato, abbandonato dalla fidanzata, pieno di debiti e disgustato dalla vita moderna, il trentenne Kim Seung-geun decide di suicidarsi gettandosi da un ponte nello Han (il fiume che attraversa Seul). Ma la corrente lo porta fino a un’isolotto che sorge in mezzo al fiume e su cui poggia uno dei piloni del ponte. Non sapendo nuotare (e avendo il cellulare scarico), si trova impossibilitato ad abbandonare l’isola e ad avvertire qualcuno della sua presenza: ma dopo l’iniziale disperazione, scopre che vivere da “naufrago” lontano dalla civiltà (anche se in realtà i grattacieli della città sono a breve distanza) gli si addice. La sua presenza sull’isola rimane ignota a tutti tranne che a una ragazza, se possibile ancora più sociofobica di lui. Si tratta della ventenne Kim Jung-yeon, una hikikomori (per usare il termine giapponese che si riferisce a quelle persone che si ritirano dalla vita sociale e si rifiutano anche di uscire dalla propria camera), il cui unico contatto con il mondo esterno coincide con il momento in cui, di notte, osserva la luna con il suo telescopio, sognando di vivere in un luogo dove non c'è altra anima viva. Proprio attraverso la sua lente Jung-yeon scopre l’esistenza di Seung-geun e comincia a seguirne con interesse le vicissitudini, stringendo una sorta di legame empatico a distanza che presto si traduce in una vera e propria corrispondenza (lui scrive sulla sabbia, lei risponde inviandogli messaggi in bottiglia). Opera seconda del regista e sceneggiatore Lee Hae-jun, “Castaway on the Moon” è un film insolito e accattivante, che può contare su uno spunto di partenza assai originale e, pur con uno svolgimento prevedibile, riesce a non “rovinarlo” ma a far riflettere senza qualunquismo – attraverso la bizzarria e l’ironia della situazione – su quel senso di straniamento, di isolamento o di rifiuto del mondo che, soprattutto nei popolatissimi paesi asiatici, è piuttosto comune (non a caso i temi della solitudine e dell'alienazione sono assai frequentati nel cinema dell’estremo oriente, da Taiwan al Giappone). Bravi i due attori e interessante la caratterizzazione dei personaggi, entrambi decisi a vivere da soli e "in rotta" con la società, ma contemporaneamente alla ricerca di un appiglio o di un punto di riferimento: mentre Seung-geun, che si nutre con piante, funghi, pesci e uccelli e ha come unico compagno di conversazione uno spaventapasseri (che svolge un ruolo simile al Wilson del film hollywoodiano “Cast Away”), a un certo punto si pone un’obiettivo che rappresenta per lui la “speranza” (mangiare un piatto di spaghetti che si procurerà da solo, coltivandone le materie prime), Jung-yeon – che in precedenza “viveva” solo virtualmente, ovvero creandosi un profilo fasullo su un social network – di pari passo comincia a vincere la propria paura del mondo esterno e ad avventurarsi in scorribande notturne allo scopo di raggiungere il ponte che sovrasta l’isola del suo “alieno” e recapitargli così i propri messaggi. E alla fine, entrambi scopriranno che l'unico modo per vincere la solitudine è quello di trovare la persona – fosse anche una su un milione – con cui si riesce a comunicare. Il film ha riscosso un grande successo di pubblico in Corea (e non solo) e ha fatto incetta di riconoscimenti in diversi festival (compreso il premio del pubblico al Far East Film di Udine).

2 commenti:

Ale ha detto...

Mi pare che lo spunto sia L'Isola di Cemento di Ballard, no? Da IBS: Maitland è un uomo ricco, vive una vita borghese con tanto di moglie, figlio e amante. Ma un giorno, d'improvviso, dopo un tremendo incidente mentre è alla guida della sua splendida Jaguar, si ritrova imprigionato sullo spartitraffico dell'autostrada. Incapace di sfuggirne, deve trovare il modo di sopravvivere lì, ai confini dell'universo umano in un ambiente alieno e al di là della civiltà, e tutto quel che ha per farlo è quanto gli è rimasto dell'auto distrutta. Ma, via via che la situazione precipita, Maitland si adegua alla sua nuova condizione, scopre in sé una diversa consapevolezza e si convince che la sua nuova esistenza potrebbe non essere peggiore della precedente. Va avanti perciò nella scoperta dell'isola, con i suoi segreti e relitti del passato, con i suoi abitanti. Nell'Isola di cemento si ritrova il tema ricorrente nella poetica ballardiana dell'alienazione prodotta dalla tecnologia e dalla contemporaneità, che può spingere a preferire la sopravvivenza in condizioni estreme pur di ritrovare una libertà perduta nella società disumanizzata.

Christian ha detto...

Non lo conoscevo, ma è vero! Il romanzo di Ballard (che a questo punto sarei curioso di leggere) è sicuramente la fonte di ispirazione del film! Grazie per la segnalazione...