Django unchained (Q. Tarantino, 2012)
Django Unchained (id.)
di Quentin Tarantino – USA 2012
con Jamie Foxx, Christoph Waltz
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Visto al cinema Arcobaleno, con Sabrina.
Nel profondo Texas, un paio d’anni prima della guerra civile americana, lo schiavo nero Django (Jamie Foxx) viene liberato dal cacciatore di taglie tedesco King Shultz (Christoph Waltz) e si unisce a lui per vendicarsi degli schiavisti che gli hanno portato via la moglie, ora segregata nella tenuta del negriero Calvin Candie (Leonardo DiCaprio). Per la prima volta nella sua carriera Quentin Tarantino realizza esplicitamente un western (“esplicitamente” perché in passato, per esempio in alcune sequenze di “Kill Bill” e di “Bastardi senza gloria”, si era già ispirato a questo genere cinematografico da lui così amato), facendo riferimento diretto al sottogenere del western all’italiana: il nome del protagonista e l’idea di base provengono infatti dal leggendario “Django” di Sergio Corbucci, mentre spunti, situazioni e persino parte della colonna sonora (da Ennio Morricone al tema di “Trinità”) saccheggiano ampiamente la produzione italiana degli anni sessanta e settanta. Ma come sempre, nei film di Tarantino è difficile contare tutte le citazioni che si accumulano strada facendo, anche perché molte di esse si accatastano in maniera random o addirittura superflua. In ogni caso, il regista ha dichiarato di aver voluto realizzare un film che “affrontasse l’orribile passato degli Stati Uniti riguardo alla schiavitù”, ma di averlo voluto fare come uno spaghetti western e non un film “serio”. Anche Sergio Leone e soci, a dire il vero, usavano i grandi eventi storici e sociali nei loro film: ma questi rimanevano soltanto sullo sfondo e non sovrastavano, con il loro ingrombrante significato, le vicende degli uomini che di quelle pellicole erano i protagonisti. C’è chi ha scritto che dopo “Kill Bill” il buon Quentin ha smesso di essere uno sperimentatore ed è diventato un autore: proprio per questo, nonostante la sua voglia di stupire con esagerazioni sempre maggiori, è diventato in un certo senso prevedibile. Se non mancano scene e sequenze esilaranti o memorabili, soprattutto nella prima parte (la liberazione di Django da parte di Schultz, il loro primo “lavoro” insieme, la divertentissima scena dei vendicatori incappucciati che anticipano il Ku Klux Klan: “La prossima volta faremo maschere migliori”), dall’entrata in scena di DiCaprio la pellicola sembra ingripparsi e comincia ad arrancare, trascinando la parte centrale troppo a lungo, prima di riprendere il suo ritmo nello scontro finale. E rimane sempre la sensazione che il tema della schiavitù – così come era avvenuto per il nazismo e l’olocausto in “Bastardi senza gloria” – siano per Quentin soltanto un pretesto come un altro per dare libero sfogo alla sua vena citazionista, all’esibizione di violenza fumettosa ed estetizzata (notevoli gli schizzi di sangue finto), alla messa in scena di dialoghi e situazioni talmente assurde e paradossali che dopo un po’ cominciano a stancare. Alcune curiosità: Franco Nero, il Django originale del film di Sergio Corbucci, compare in una breve sequenza nella quale, fra l’altro, discute con Jamie Foxx su come si scriva il suo nome (“La ‘D’ è muta” – “Lo so”). La donna con il volto coperto da un fazzoletto che si intravede più volte insieme agli sgherri di Candie, al punto che lo spettatore si attende su di lei chissà quale rivelazione che invece non arriverà mai, è Zoë Bell, già controfigura di Uma Thurman in “Kill Bill” e protagonista di “Grindhouse – A prova di morte”. Lo stesso Tarantino ha un breve cameo nei panni di un uomo che esplode a causa di un candelotto di dinamite. Sempre fra gli sgherri di Candie, infine, si riconoscono Tom Savini e Ted Neeley (il Gesù di “Jesus Christ Superstar”!). Nel cast ci sono anche Kerry Washington (la moglie di Django, dal nome tedesco: Broomhilda von Shaft) e Samuel L. Jackson (Stephen, il servitore di Candie). La multiforme colonna sonora contiene anche brani classici (il “Dies Irae” dal Requiem di Verdi, “Per Elisa” di Beethoven suonata con l’arpa), rap e pop. Polemiche in America (prive di senso, visto il contesto) per la troppa violenza del film e per l’eccessivo uso della parola “nigger”.
9 commenti:
concordo: è troppo lungo e comunque Tarantino ha fatto di meglio
la scena dei pirloni incappucciati è un vero spasso
quanto alla parola NIGGER non vedo perché non usarla: come altro dovevano chiamarli nel 1858?
Ma infatti: nel contesto dell'epoca in cui si svolge il film, l'uso di quella parola ci sta. Poi, che Tarantino si diverta a usarla in continuazione (soprattutto nei dialoghi che mette in bocca a Samuel L. Jackson), quello è un altro discorso: ma lo faceva già dai tempi di "Pulp Fiction"... ^^
Replica in ambientazione western dell'inversione perseguitati-persecutori proposta in "bastardi senza gloria" .Dialoghi arguti, una manciata di tarantinate e buone interpretazioni non bastano per reggere il confronto con i capolavori d'inizio carriera.D'altronde, alte aspettative e critici dalle penne affilate sono il fio dei registi che hanno dato il meglio di sè al principio.
Io mi ero stancata giusto un po' nel finale, ma poi è ripreso tutto con il botto. Per me Django è un capolavoro, sfrutterà il tema schiavismo ma ne fa un Film con la F maiuscola dove la denuncia riesce ad andare a braccetto con lo spettacolo!
Sabrina: E pensare che a inizio carriera, quando appunto girava davvero capolavori ("Le iene" e "Pulp Fiction"), i critici dell'establishment lo sottovalutavano (quando non lo snobbavano) ed era un regista essenzialmente per un pubblico di nicchia. Ora è stato sdoganato (da "Bastardi" in poi), ma per quanto mi riguarda il suo cinema non mi entusiasma più come una volta. Anche se le belle trovate e i momenti di divertimento non mancano.
Lisa: Tutta la prima parte (fino alle sequenze sulla neve, ispirate pare a "Il grande silenzio") mi è piaciuta molto. Da quanto comincia la sottotrama in cui Django e Schultz si fingono interessati ai combattimenti fra Mandinghi, però, il film rallenta davvero troppo: si perde almeno un'ora quasi inutilmente, visto che poi lo stratagemma viene subito scoperto. Nel finale il film si riprende ma non torna comunque ai livelli iniziali, anche perché non c'è più Christoph Waltz, e Jamie Foxx non mi è sembrato alla sua altezza. Quanto al modo in cui Tarantino affronta il tema dello schiavismo, faccio fatica a prenderlo sul serio: ho l'impressione che le esagerazioni non manchino, e che la ricostruzione storica sia tutta da verificare.
sono d'accordo quando dici che dopo fill bill (anzi, dopo grindhouse per essere precisi) il cinema di tarantino sia in qualche modo cambiato: è divenuto più ricercato, meno "sporco", ma pur sempre folle e irriverente. Lo spirito del suo cinema infatti secondo me è rimasto lo stesso, è cambiata forse un pò la messa in scena;: ma questo credo che ci abbia permesso anche di capire come davvero Tarantino sia, anche e soprattutto dal punto di vista tecnico, un regista eccezionale: come ho scritto da me, in Django non c'è una sequenza o una ripresa sbagliata, tutto è perfetto e al punto giusto. Un film che ho amato molto, forse non come Le iene e Pulp fiction, ma comunque molto bello.
Un saluto
Che Tarantino sia un grande regista, per me non c'erano dubbi sin da "Le iene", ovvero dal suo film d'esordio. Certo che all'inizio era più celebrato come sceneggiatore, mentre negli ultimi film sembra concentrarsi più sulle immagini che sui dialoghi (che a volte si fanno davvero troppo verbosi o girano in tondo). Insomma, se all'inizio lo vedevo bene a fare lo sceneggiatore per altri registi (e infatti ci sono stati esempi in tal senso: "Una vita al massimo", "Natural Born Killers"), ora forse mi incuriosirebbe di più vederlo dirigere una sceneggiatura non sua...
Aggiornamento Oscar: “Django Unchained” ha vinto due statuette: quella per la sceneggiatura originale e quella per il miglior attore non protagonista (Christoph Waltz).
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