J. Edgar (Clint Eastwood, 2011)
J. Edgar (id.)
di Clint Eastwood – USA 2011
con Leonardo DiCaprio, Armie Hammer
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Visto al cinema Colosseo.
Biografia romanzata di J. Edgar Hoover, uno degli uomini più popolari, controversi e temuti d'America, fondatore e direttore per quasi cinquant'anni dell'FBI (Federal Bureau of Investigation). Il film – che ne racconta la vita attraverso una serie di flashback (si immagina infatti che lo stesso Hoover, ormai invecchiato, detti le sue memorie a una serie di scrittori per pubblicare un libro autobiografico) – lo ritrae come fermo, solitario, represso, omosessuale, ossessionato dalla lotta al comunismo e alla criminalità, ma anche cacciatore di gloria personale e fortemente attaccato al potere e alla propria poltrona: impagabili le scene in cui, alla nomina di ogni nuovo Presidente degli Stati Uniti (nel corso della sua carriera se ne sono succeduti ben otto), si reca alla Casa Bianca con un dossier “scomodo” su di lui, per poterlo ricattare e assicurarsi in questo modo il suo appoggio. L’intero film – dominato da un ottimo DiCaprio – si poggia sulla figura di Hoover: gli altri personaggi appaiono in scena soltanto in funzione del suo rapporto con lui (tant’è che, fra di loro, non interagiscono mai). Ma il ritratto che ne esce fuori è ambiguo e poco lucido, e alla fine ci si chiede che cosa volesse raccontare questo film. Si salta di palo in frasca, in maniera talvolta arbitraria e senza collegamento: dall’introduzione del metodo scientifico nelle indagini (impronte digitali, archivi, intercettazioni: “l’informazione è potere” era uno dei suoi motti) al racconto di alcuni episodi e “casi” celebri (il rapimento del figlio di Charles Lindbergh, la lettera di minacce inviata a Martin Luther King), dalla relazione con il suo braccio destro Clyde Tolson (Armie Hammer) al rapporto con la madre (Judi Dench). Non sempre convincente il trucco che invecchia i personaggi: ancora accettabile su DiCaprio, del tutto inadeguato per Hammer o per Naomi Watts (la segretaria). Alla fine si resta con la sensazione che Clint – qui autore anche delle musiche – negli ultimi anni stia sfornando un po’ troppi film: se dedicasse più tempo a “limare” i difetti di ciascuno di essi, per esempio curando meglio le sceneggiature (nulla da dire su regia e fotografia, invece), sarebbero potenzialmente tutti capolavori.
4 commenti:
concordo: non è un capolavoro
ma l'interpretazione di LDC e della intramontabile Judi (la madre castrante) sono notevolissime
sotto certi aspetti il film mi ricorda IL DIVO (anche lì si descrive un uomo assetato di potere, ma non lo si condanna totalmente)
POST SCRIPTUM: ho il piacere di comunicarti che ti premio con THE VERSATILE BLOGGER AWARD (forse l'aveva fatto qualcun altro? comunque io ti premio)
DiCaprio salva in parte il film, ed è uno dei motivi per cui vale la pena di vederlo. Sì, forse qualche analogia con "Il divo" ci sta... ma i veri capolavori sul tema del potere sono ben altri (a cominciare, naturalmente, da "Quarto potere").
Ah, grazie per il premio! ^^
meno male, allora non ero lo stato l'unico a non capire bene dove volesse andare a parare il film. del resto l'ho scritto anche da me: secondo me eastwood mette troppa carne a cuocere, e si dilunga troppo nel descrivere la vita privata di hoover, realizzando anche scene di dubbio gusto (di caprio che si mette i vestiti della madre) e altre sinceramente interminabili (il finale). Un saluto
Siamo d'accordo: è un film senza una direzione e un'identità precisa, con diversi problemi di sceneggiatura ai quali la regia non sa rimediare. E il ritratto di Hoover che ne esce, nonostante DiCaprio, non è abbastanza incisivo.
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