Departures (Yojiro Takita, 2008)
Departures (Okuribito)
di Yojiro Takita – Giappone 2008
con Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki
***
Visto al cinema Eliseo, con Rachele.
Vincitore a sorpresa dell'Oscar per il miglior film straniero nel 2009, "Departures" affronta il tema del lutto e dell'addio alle persone care da un punto di vista decisamente insolito, dimostrando che l'amore per la vita passa anche attraverso il rispetto per la morte. Il protagonista Daigo, violoncellista costretto a rinunciare alla carriera musicale dopo lo scioglimento della sua orchestra e trasferitosi da Tokyo al suo paese natale nella prefettura di Yamagata, trova lavoro in quella che credeva essere un'agenzia turistica e che invece si occupa di "necro-cosmesi": il suo compito consiste nel preparare i corpi dei defunti per il loro "viaggio finale", ripulendoli, vestendoli e truccandoli affinché ricevano l'ultimo saluto da parte dei parenti prima della cremazione. Ma anche nella cultura giapponese, così sensibile e attenta al ciclo della vita, la morte è quasi un argomento tabù: poiché da sempre i defunti vengono appunto inceneriti, lavorare a contatto con i cadaveri è considerato impuro e degradante; ecco perché Daigo tiene inizialmente nascosto il proprio mestiere ("tanato-esteta") alla moglie, che quando lo scopre minaccia di lasciarlo e rifiuta di lasciarsi toccare da lui; a un certo punto vediamo persino un amico togliergli il saluto a causa della sua professione. Eppure, lavorando con passione e amore, pian piano il protagonista riesce a conquistare la giusta serenità che finisce col contagiare anche coloro che gli stanno attorno, guadagnandosi rispetto e comprensione. Ben lungi dall'essere un semplice rituale o una cerimonia vuota e "inutile" (come potrebbe sembrare a prima vista, dato che i corpi verranno comunque cremati subito dopo), il suo lavoro diventa un mezzo per ricomporre i dissidi e i contrasti irrisolti in vita, come mostra il caso dei genitori che solo dopo la morte accettano la natura "femminile" del loro figlio travestito. E nel finale, proprio attraverso il rito della vestizione e della pulitura del suo corpo, lo stesso Daigo recupera anche il rapporto con il padre, che aveva abbandonato la famiglia quando lui era ancora un bambino. Pur non particolarmente innovativa dal lato cinematografico (ma scenografia e ambientazione hanno un fascino particolare), la pellicola ha i suoi maggiori pregi nel soggetto e nella delicatezza in cui questo è trattato. Tutto, nel film, ci ricorda che la morte è parte essenziale della vita: la natura (i salmoni che risalgono la corrente del fiume per poi morire), l'amore (dopo aver visto il suo primo cadavere, Daigo sente l'esigenza di abbracciare la moglie per "attaccarsi" a qualcosa di vivo), il cibo (i personaggi si rendono conto del fatto che la carne che mangiano proviene da animali morti: fortunatamente questo non si traduce in un rifiuto – come nel caso dei vegetariani più estremi – ma in una maggior consapevolezza), il rapporto con i genitori (che si concretizza e si rafforza anche dopo la loro dipartita: non solo nel caso di Daigo, ma anche del suo amico, il figlio della donna che gestisce il bagno pubblico, e in generale di tutti i parenti di coloro alle cui cerimonie funebri assistiamo sullo schermo) e persino la musica (mentre il protagonista suona il violoncello, immerso fra le montagne e i campi, la primavera prende il posto dell'inverno e ogni cosa rinasce a nuova vita). Nella prima parte non mancano passaggi decisamente comici o grotteschi (il polpo che la moglie di Daigo sta per cucinare e che si rivela essere ancora vivo; la preparazione del filmato "dimostrativo" con Daigo come modello), che poi lasciano il posto a un profondo umanesimo che si sviluppa con lentezza e poesia. Anche la colonna sonora di Joe Hisaishi (a parte alcuni brani di Beethoven, Brahms e Schubert) è più commovente e melodica del solito.
8 commenti:
Bellissimo e commovente! La bellezza a servizio della morte e non come pompa magna (come in certe cerimonie funebri ufficiali) è un'idea per me del tutto nuova ed altamente educativa. Mi ha fatto pensare ai bellissimi Mandala dei monaci tibetani, che dopo essere fatti con tanto amore e pazienza, vengono distrutti e la sabbia rimescolata...
E la bellezza come rispetto estremo e ricomposizione di conflitti! E' una idea sublime, degna di Dostoevskij!
Come al solito per me i film premiati come Miglior film straniero partono come un diesel. Per ora sono alla fase estrema curiosità.
bella analisi
un film molto delicato e riuscito
L'aspetto più valido del film sta nel suo saggio equilibrio tra dramma e ironia, sentimento e umorismo. Qualche difettuccio ce lo ha a mio avviso: tutta la storia del padre è un po' forzata e non particolarmente coerente col resto, così come l'immagine dei sassi è un po' troppo melensa. Però a parte questi difettucci, a me il film è piaciuto anche perchè nel complesso evita intelligentemente le trappole che la storia poteva presentare.
I momenti della vestizione dei morti sono senz'altro i più belli e la prova dei due attori è più che valida, un po' meno quella della moglie di Daigo.
Missile
Marisa e Marco: Sì, un film con un suo stile delicato e particolare.
Gegio: Se non altro la vittoria dell'Oscar ha fatto sì che il film uscisse anche da noi, altrimenti non lo avremmo certo visto.
Missile: Concordo con te sullo scambio dei sassi, una trovata narrativa un po' debole, ma il rapporto con il padre è fondamentale nell'economia del film: più che i sassi, a legarlo al figlio è l'amore per la musica. Quanto agli attori, a me è piaciuto particolarmente quello che interpreta il "capo" del protagonista, mentre in effetti la moglie (Ryoko Hirosue, ex idol e già vista in "Wasabi") ha un modo di recitare un po' troppo leggerino.
Bel film, visto nella mia fase "giapponese" consigliato da un amico giapponese... :)
Due parole sul Giappone e sulla sua società, che compare in questo film con numerosi elementi. Innanzitutto il tabù del puro-impuro che colpisce crudelmente portando all'emarginazione interi gruppi sociali, quelli che vengono chiamati burakumin e che tuttora vivono in villaggi quasi extra territoriali, nei quali mettono piede solo pochi attivisti sociali ed un numero ancor più limitato di politici radicali: hanno rapporti con la macellazione, la lavorazione del cuoio, quelle attività che li portano al contatto fisico con la morte. Sasaki, il maestro di necro-cosmesi, e Daigo, il protagonista che apprende la sua arte, subiscono la riprovazione sociale derivante da questo tabù. Poi il culto del Giappone contemporaneo, ed anche di quello del passato, per la volontà e la determinazione dell'individuo, per la forza d'animo che deriva dalla consapevolezza del proprio destino: Daigo prende una decisione più forte di qualunque pregiudizio e la sua forza diviene oggetto di ammirazione da parte di Mika, la moglie, che alla fine se ne fa una ragione. Da ultimo il contenuto estetico di quella attività: attraverso il pudore, che sottrae alla vista l'intero cadavere salvo il viso, e la bellezza del gesto del preparatore, che non mostra sforzo in un lavoro reso faticoso dal rigor mortis, il risultato suscita l'ammirazione dei parenti che ritrovano il loro caro nella bellezza della salma. La bellezza ricompone dissidi, scioglie tensioni, crea armonia con chi è morto ma soprattutto tra chi vive. L'estetica poi ha una parte importante nella vita di Sasaki, quasi un maestro di estetica. Raccontando questa vicenda ad un amico giapponese che non aveva visto il film e che è originario di Yamagata, ho ricevuto questa definizione: “Una storia spirituale”.
Certi film avrebbero proprio bisogno di un approfondimento per poter essere compresi appieno, ci vorrebbero delle "note a margine" o degli apparati critici come nei libri. Grazie per le informazioni e per le riflessioni che hai voluto riportare qui!
Purtroppo io non sono riuscito a vederlo in compagnia dei miei conoscenti giapponesi, mi ripropongo di farlo in futuro con il DVD, sono curioso di sentire il loro parere.
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