19 maggio 2009

La tigre di Eschnapur (Fritz Lang, 1959)

La tigre di Eschnapur (Der Tiger von Eschnapur)
di Fritz Lang – Germania/Francia/Italia 1959
con Paul Hubschmid, Debra Paget
**1/2

Visto in DVD, con Marisa.

Nel 1921, ancora sconosciuto e a inizio carriera, Lang progettò di realizzare un film di avventure esotiche tratto dal romanzo "Das indische Grabmal" di Thea von Harbou. Stese il copione insieme alla scrittrice (che sarebbe poi diventata sua moglie e sceneggiatrice di fiducia), ma il progetto gli venne tolto dal produttore Joe May che preferì girarlo di persona (la pellicola uscì divisa in due episodi, come si usava spesso a quei tempi). Soltanto nel 1959, alla fine della sua carriera e dopo i tanti bei film realizzati negli Stati Uniti, Lang ebbe l'opportunità di riprendere in mano la storia originale e di farne una versione personale, distribuita come la precedente in due parti, "La tigre di Eschnapur" e "Il sepolcro indiano" (per la cronaca, è da segnalare anche l'esistenza di un primo remake sonoro di Richard Eichberg del 1938, quando Lang era già fuggito dalla Germania nazista). Non stupisce dunque che il dittico langhiano appaia come un film fuori dal tempo, ingenuo e fumettoso con la sua fotografia colorata, i personaggi bidimensionali e i cliffhanger da prodotto seriale, anche se per certi versi anticipa persino il cinema degli anni ottanta (alcune sequenze e le ambientazioni lo fanno sembrare un film di Indiana Jones ante litteram: da notare però che anche il personaggio di Lucas e Spielberg si rifaceva a sua volta all'immaginario dei pulp magazines d'anteguerra). Il protagonista è l'architetto tedesco Harald Berger, invitato in India dal giovane e ricco maharaja di Eschnapur affinché costruisca nuovi edifici nei suoi territori. Durante il viaggio Berger salva la danzatrice Seetha dall'assalto di una tigre selvaggia, e i due si innamorano reciprocamente. Ma anche il maharaja ha messo gli occhi sulla ragazza, e intende sposarla: quando la loro tresca viene scoperta, Berger e Seetha devono fuggire dal palazzo e inoltrarsi nel deserto. Scenografie monumentali (memorabile soprattutto il tempio dove la sensuale Debra Paget danza davanti a un'enorme statua di divinità femminile), scenari esotici, belve feroci, amori immortali, oscuri complotti (il maharaja deve guardarsi da parenti e cortigiani che tramano per usurpare il suo trono): tutto concorre a farne un film godibile e avvincente, benché semplice, ingenuo e certamente lontano dalle vette più alte del cinema langhiano.

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