Il sepolcro indiano (Fritz Lang, 1959)
Il sepolcro indiano (Das indische Grabmal)
di Fritz Lang – Germania/Francia/Italia 1959
con Paul Hubschmid, Debra Paget
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Visto in DVD, con Marisa.
Nel secondo episodio del dittico indiano di Lang (che negli Stati Uniti venne distribuito come un unico film, in una versione tagliata, rimontata e intitolata "Journey to the Lost City") proseguono le avventure dell'architetto Harald Berger e della danzatrice Seetha. Catturati dagli uomini del maharaja Chandra, i due amanti sono ricondotti al palazzo di Eschnapur, dove Berger viene imprigionato nelle caverne sotterranee. Il perfido fratello di Chandra, che sta organizzando un colpo di stato, persuade il maharaja a perdonare Seetha e a prenderla in moglie, convinto che il matrimonio con una mezzosangue (il padre della danzatrice era europeo) scatenerà la ribellione del popolo e dei sacerdoti. Nel frattempo la sorella di Berger e suo marito, anch'egli architetto, cercano di scoprire il luogo dove questi è tenuto prigioniero. Gran parte del film, complessivamente meno avvincente del capitolo precedente, si svolge fra cunicoli e tunnel sotterranei, e i protagonisti del primo episodio hanno un ruolo decisamente meno attivo. A parte un paio di scene che riguardano Seetha (quella in cui supplica Shiva di intervenire in suo aiuto, e immediatamente un ragno tesse la sua tela davanti all'imbocco della caverna dove la ragazza si nasconde, convincendo così gli inseguitori che la grotta sia vuota; e la famigerata danza di fronte al cobra velenoso, talmente audace e sensuale da essere stata censurata nella versione italiana), la sceneggiatura si sofferma infatti soprattutto sul maharaja Chandra (il cui personaggio assume nel finale una dimensione spirituale) e sul complotto ai suoi danni. La caverna in cui vengono rinchiusi i lebbrosi ricorda l'esilio sotterraneo degli operai di "Metropolis", mentre la loro fuga e le loro movenze sembrano anticipare quelle degli zombi di Romero. Nel complesso la doppia pellicola intrattiene ma non esalta, anche se sono comunque apprezzabili il fascino ingenuo per l'avventura esotica, la struttura seriale, l'ambientazione in un'India irreale e stereotipata, e le scenografie (tanto quelle "fasulle", come il tempio o le grotte di cartapesta, quanto quelle reali).
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