30 ottobre 2012

Mezzogiorno di fuoco (Fred Zinnemann, 1952)

Mezzogiorno di fuoco (High Noon)
di Fred Zinnemann – USA 1952
con Gary Cooper, Grace Kelly
****

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Ilaria, Eleonora, Ginevra, Florian e Daniele.

Lo sceriffo Will Kane si è appena sposato con la giovane quacchera Amy Fowler, ha rassegnato le dimissioni come tutore dell'ordine (spinto da lei, che non approva la violenza) e sta per lasciare la città per ritirarsi a vita privata. Ma un telegramma annuncia l’arrivo, con il treno di mezzogiorno, del bandito Frank Miller, appena uscito di prigione e deciso a vendicarsi dell’uomo che lo aveva arrestato. Pur non avendo più responsabilità in merito, Kane decide di restare in città per affrontare Miller, nonostante sia la moglie che i dignitari del paese cerchino di scoraggiarlo. Poiché l’avversario si presenterà insieme a tre compari, lo sceriffo cerca inutilmente di formare un gruppo di agenti giurati, ma sia il suo giovane vicesceriffo (che nutre del rancore nei suoi confronti) che gli altri abitanti del paese si tirano indietro spaventati. Mezzogiorno si avvicina e Kane si ritrova solo e abbandonato da tutti. Western assai atipico per i tempi, tutto costruito sull’attesa e sulla suspense: l’azione (se non consideriamo la breve scazzottata fra Cooper e Lloyd Bridges) è riservata solo ai dieci minuti finali, mentre il resto della pellicola scandisce in tempo reale l’approssimarsi del duello (il lungometraggio comincia alle dieci e trenta e termina poco dopo mezzogiorno), una sorta di “Aspettando Godot” in salsa western. Accolto alla sua uscita con qualche controversia, sia per motivi politici (vedi sotto) che per la rottura delle convenzioni e dei cliché del genere, ne è considerato oggi un caposaldo e ha generato numerose citazioni, omaggi, parodie e remake (persino in chiave fantascientifica: vedasi “Atmosfera zero”). Sergio Leone si ispirerà alla sequenza in cui i tre sgherri di Frank Miller attendono il loro capo alla stazione per il magnifico incipit di “C’era una volta il west” (e chissà, magari avrà notato qui per la prima volta Lee Van Cleef, che interpreta uno dei suddetti sgherri). Memorabile anche il montaggio che conduce allo scoccare fatidico delle dodici, mostrando in rassegna i volti tesi di tutti i personaggi – compresi coloro che hanno rifiutato di aiutare Kane – alternati al treno in arrivo e alla pendola che, inquadrata sempre più da vicino e di sbieco, batte il passaggio degli ultimi secondi. E proprio lo sferragliare del treno e il ticchettio dell'orologio riecheggiano continuamente nella title song (Do Not Forsake Me, O My Darlin’, cantata da Tex Ritter) e nella sofisticata colonna sonora di Dimitri Tiomkin.

La vicenda narrata dalla pellicola è generalmente considerata come una metafora del maccartismo. Lo sceneggiatore (nonché coproduttore, anche se non accreditato) Carl Foreman era infatti finito nelle liste nere di Hollywood perché in passato aveva fatto parte del partito comunista ma soprattutto perché, convocato dal comitato contro le attività anti-americane, aveva rifiutato – a differenza dei suoi ex compagni – di fare altri nomi. Il tema dell’uomo tradito o abbandonato dagli amici e lasciato a combattere da solo (e la scena finale, in cui Kane getta con disprezzo la stella di sceriffo nella polvere) furono percepiti come evidenti messaggi contro il clima che allora regnava nell’ambiente, anche se il soggetto della pellicola proveniva da un “innocuo” racconto western di John W. Cunnigham, “The tin star”. Anche il casting non fu immune da polemiche per la differenza di età fra Gary Cooper, allora cinquantunenne, e Grace Kelly, poco più che ventenne e quasi agli esordi. In ogni caso, Cooper vinse l’Oscar per il miglior attore: il film si portò a casa anche le statuette per il montaggio, la canzone e la colonna sonora (oltre alle nomination per miglior pellicola, regia e sceneggiatura). Katy Jurado è Helen Ramirez, la messicana che in passato aveva abbandonato Miller per Kane (notevole il contrasto anche cromatico e visivo fra lei e l’altra donna del film, Amy, la mora vestita di nero e la bionda vestita di bianco). In ruoli minori figurano Lon Chaney Jr., Harry Morgan e Ian MacDonald. Fra coloro ai quali il film non piacque ci fu John Wayne, che sosteneva le liste nere e che sette anni dopo, insieme a Howard Hawks (a sua volta critico: “Non penso che un buono sceriffo debba correre per la città come un coniglio a chiedere aiuto a tutti”), realizzò una sorta di risposta conservatrice con “Un dollaro d’onore”. Zinnemann, che ammirava Hawks, ne rimase deluso e rispose: “Gli sceriffi sono persone come le altre, e non esistono due persone uguali. Il film si svolge nel Vecchio West, ma in realtà si tratta di una storia su un conflitto di coscienza. In questo senso è simile al mio ‘Un uomo per tutte le stagioni’. In ogni caso, il rispetto per l’eroe western non è certo diminuito a causa di ‘Mezzogiorno di fuoco’.”

27 ottobre 2012

Io e te (Bernardo Bertolucci, 2012)

Io e te
di Bernardo Bertolucci – Italia 2012
con Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco
**1/2

Visto al cinema Eliseo, con Sabrina.

Anziché partire per una settimana bianca con la scuola, come ha fatto credere alla madre, il quattordicenne Lorenzo – un ragazzo problematico che non ama la compagnia e non ha amici – si nasconde per una settimana nella cantina di casa, dopo essersi ben organizzato con le dovute provviste, il computer, musica e libri. I suoi piani di stare da solo vengono però stravolti dall'arrivo imprevisto della sorellastra Olivia, di qualche anno più grande di lui e tossicodipendente in fuga, con la quale sarà costretto a condividere i sette giorni in cantina. Per il suo ritorno al cinema a quasi dieci anni di distanza da "The Dreamers" (e a oltre trent'anni dal suo ultimo film di produzione italiana), Bertolucci sceglie di adattare un romanzo di Niccolò Ammanniti che sin dal titolo suggerisce quale sarà il tema trattato (le difficoltà di socializzazione) e che offre parecchi spunti in linea con i suoi lungometraggi precedenti: il giovane Lorenzo, con la sua introversione, i rapporti irrisolti con i genitori e le fantasie incestuose, può ricordare il protagonista de "La luna"; i ragazzi che si isolano dal resto del mondo e mettono in moto dinamiche personali all'interno di quattro mura fanno venire in mente lo stesso "The Dreamers"; mentre Olivia, che sogna di andare a vivere nella campagna toscana, ha velleità artistiche ed è l'oggetto dell'attenzione di uomini più anziani di lei, ha diversi punti in comune con la giovane protagonista di "Io ballo da sola". Simbolico l'interesse di Lorenzo per animali e insetti in grado di "mimetizzarsi" (il camaleonte, gli insetti stecco) o di vivere in maniera organizzata e autosufficiente (le formiche: nel suo rifugio il ragazzo si porta appunto un formicaio sotto vetro, che osserva con attenzione grazie alla stessa lente d'ingrandimento che poi utilizzerà per scrutare il volto della sorellastra mentre dorme). La sua analisi da entomologo è però sempre rivolta al mondo fuori da sé, mentre rifiuta o ignora ogni tentativo (quello dello psicanalista, quello della madre, quello della stessa Olivia) di rivolgere tale attenzione verso sé stesso. Rispetto al romanzo, Bertolucci ha scelto di eliminare il controfinale ambientato dieci anni più tardi. Ottima la prova dei due giovani attori, che reggono l'intera pellicola quasi da soli (in più ci sono Sonia Bergamasco, la madre; Veronica Lazar, la nonna; Pippo Delbono, lo psicanalista; e Tommaso Ragno, l'amico di Olivia). Nella colonna sonora spicca il folk psichedelico di David Bowie ("Ragazzo solo, ragazza sola", cantato in italiano su testi di Mogol, e la sua versione originale, "Space Oddity"). La regia rende vivo anche il polveroso scantinato che ospita i due personaggi, quasi come se fosse il terzo protagonista della vicenda.

23 ottobre 2012

Insalata russa (Yuri Mamin, 1994)

Insalata russa (Okno v Parizh)
di Yuri Mamin – Russia 1994
con Sergei Dontsov, Agnès Soral
**1/2

Visto in divx, con Paola, Marta e Florian.

In uno scalcinato e affollato appartamento di una San Pietroburgo in preda alla povertà e al caos (siamo negli anni immediatamente seguenti alla dissoluzione dell'Unione Sovietica), un gruppo di amici russi scopre l'esistenza di una finestra che si affaccia “magicamente” sui tetti di Parigi. Approfittando del misterioso varco, che però è destinato a chiudersi entro un paio di settimane (per riaprirsi solo vent'anni dopo), l'insegnante di musica Nikolai si lancia all’esplorazione della Ville Lumière, sperando che questa possa offrirgli migliori opportunità di vita e di lavoro, mentre il maneggione Gorokhov – con l’aiuto di moglia, figlia e suocera – ne approfitta per "contrabbandare" (da entrambi i lati) prodotti di lusso francesi e cimeli della Perestrojka, e altri inquilini dell’appartamento si scoprono divisi fra i rimpianti per il regime comunista e le lusinghe della vita occidentale. Il continuo viavai dei russi finisce col disturbare e far imbufalire Nicole, giovane artista parigina il cui loft è situato proprio in corrispondenza con il varco, ma dopo alcune disavventure (la ragazza si perde a sua volta per le strade dell'ex Leningrado) fra lei e Nikolai scatterà la simpatia. Insolita commedia dai toni surreali e grotteschi, basata su uno spunto simpatico e originale (che per certe cose anticipa “Essere John Malkovich”), con una comicità confusa e anarchica che va spesso sopra le righe ma anche una buona caratterizzazione dei personaggi (su tutti Nikolai, scapigliato musicista e insegnante che non resiste alla tentazione di accordare ogni pianoforte in cui si imbatte) e una certa vena satirica (per esempio contro la nuova tendenza dei russi ad abbracciare il capitalismo subito dopo essersi disfatti del comunismo: vedi la scuola dove insegna il protagonista, tutta volta a formare una classe di bambini manager, il cui motto è "Pecunia non olet" e alle cui pareti sono appese riproduzioni di banconote occidentali; a tratti ricorda il liceo Marilyn Monroe del "Bianca" di Nanni Moretti). Fra le gag migliori: Nikolai e Nicole che si spacciano per i "famosi cantanti" Elvis Presley ed Edith Piaf per ingannare gli sprovveduti poliziotti di San Pietroburgo, e l’insegnante che guida i suoi alunni con il suono del proprio flauto, come nella fiaba del pifferaio magico. Nel finale c’è anche un pizzico di retorica, con i bambini – portati da Nikolai a Parigi in "gita scolastica" – che vorrebbero rimanere nella capitale francese e l'insegnante che li esorta invece a tornare in Russia e a darsi da fare per risollevare la loro patria disastrata. Il titolo originale, ben più indicato di quello italiano, significa "La finestra su Parigi". Alla sua uscita il film conquistò in breve tempo il record di copie pirata (in videocassetta) vendute per le strade di Mosca.

21 ottobre 2012

Paycheck (John Woo, 2003)

Paycheck (id.)
di John Woo – USA 2003
con Ben Affleck, Uma Thurman
**

Rivisto in TV, con Sabrina.

Al suo sesto (e per ora ultimo) film americano, John Woo gioca di nuovo la carta della fantascienza (la pellicola è tratta da un racconto di Philip K. Dick, "I labirinti della memoria", del 1953) ma non riesce a ripetere il successo di "Face/Off", anche per colpa di una sceneggiatura che non sfrutta a dovere i buoni spunti offerti del soggetto. Il protagonista, Michael Jennings (Ben Affleck: la parte era stata proposta a Matt Damon, che l'ha rifiutata perché troppo simile a quella di Jason Bourne), è un brillante ingegnere specializzato in reverse engineering: se un'azienda senza troppi scrupoli intende scoprire i segreti di un prodotto tecnologico della concorrenza o mettere a punto un'idea ancora più innovativa e top secret, Jennings "vende" loro un periodo della propria vita (di solito un paio di mesi), isolandosi in laboratorio e dedicandosi completamente all'obiettivo, per poi farsi cancellare la memoria di quei mesi dall'amico Shorty (Paul Giamatti) in modo che quanto ha fatto non sia noto più a nessuno, nemmeno a lui. Quando il milionario Jimmy Rethrick (Aaron Eckhart) lo ingaggia per un lavoro più impegnativo del solito, gli occorreranno tre anni per dar vita a una macchina talmente rivoluzionaria e pericolosa da attirare anche l'attenzione dell'FBI. Alla fine dell'incarico, con la memoria cancellata (compresi i ricordi della sua relazione con la biologa Rachel, interpretata da Uma Thurman), scoprirà che non solo è braccato tanto dalla polizia quanto da Rethrick stesso (che lo vuole uccidere), ma anche che ha rinunciato al compenso milionario preferendo invece una busta contenente venti oggetti del tutto ordinari (un pacchetto di sigarette, una moneta, degli occhiali, una lente d'ingrandimento, ecc.). Come in un videogioco ad enigmi, dovrà usare ciascuno degli oggetti al momento giusto e nel posto giusto per salvarsi la vita e procedere verso la comprensione di ciò che è accaduto nei tre anni precedenti: quella che ha costruito è una macchina che permette di vedere nel futuro, e così ha potuto "prevedere" che cosa gli servirà per sopravvivere e per distruggere un apparecchio che, complice la natura umana, inevitabilmente finirà col far autoavverare proprio ciò che mostra (guerre, epidemie). Il tema dell'uomo inconsapevole ma costretto alla fuga è debitore a "Intrigo internazionale" di Hitchcock, quello della memoria cancellata selettivamente è un classico della SF (e anticipa di un anno "Se mi lasci ti cancello"). Se nel complesso il film può deludere per l'incapacità, come già detto, di approfondire in maniera soddisfacente i concetti e le idee di partenza (in più, alcune svolte legate ai singoli oggetti sembrano davvero implausibili), il ritmo e il buon cast valgono almeno una visione. E Woo condisce il tutto con i suoi classici stilemi: scene d'azione (anche se meno elaborate e coinvolgenti del solito) e inseguimenti in moto, riflessioni sull'amicizia (tradita o meno: vedi i casi rispettivamente di Rethrick e di Shorty) e la predeterminazione, un paio di mexican standoff e l'immancabile colomba bianca che appare nel momento clou.

20 ottobre 2012

Parto col folle (Todd Phillips, 2010)

Parto col folle (Due date)
di Todd Phillips – USA 2010
con Robert Downey Jr., Zach Galifianakis
*

Visto in TV.

L'architetto Peter Highman (Downey Jr.) deve recarsi da Atlanta a Los Angeles per assistere al parto della moglie, previsto con taglio cesareo entro due giorni. Ma un incontro casuale all'aeroporto con l'aspirante attore Ethan Tremblay (Galifianakis) gli fa perdere il volo e il bagaglio. Privo di denaro e di documenti, sarà costretto ad attraversare in auto tutto il paese e soprattutto ad accettare (e sopportare) la compagnia del problematico Ethan, che lo coinvolgerà in guai e vicissitudini di ogni tipo. Alla fine, però, l'amicizia fra i due si cementerà. Il regista de "Una notte da leoni" ripropone lo stesso menù a base di amici, sbornie e disavventure, ricorrendo stavolta al tema delle due persone diversissime fra loro (con una delle due insofferente verso l'altra, che di solito è invece quella che procaccia i guai), costrette a condividere uno spazio fisico, un viaggio o un altro tipo di situazione: un classico del cinema sin dai tempi del muto, passando per i film con Jack Lemmon e Walther Matthau e per le commedie francesi sui "cretini". Qui però tutto è artificioso e fasullo, le gag non strappano che deboli risate, la sceneggiatura non affonda quando dovrebbe farlo e ripete situazioni, spunti (il cagnolino, le ceneri del padre, le deviazioni impreviste) e ambientazioni (il confine messicano, il Grand Canyon) già visti millemila volte in passato. Ma soprattutto non approfondisce che superficialmente i due personaggi e la loro relazione, un grave difetto visto che l'unica idea su cui si basa l'intero film è proprio il contrasto fra il controllato, efficiente e arrogante Peter, e lo scalcinato, effemminato e "alternativo" Ethan. Dopo i primi dieci minuti, cessa di essere divertente. Downey Jr. è sempre in gamba, ma il resto del cast è sotto il livello di guardia. Nel finale, cameo per i protagonisti del telefilm "Due uomini e mezzo", la serie di cui Ethan è un fan e in cui aspira a recitare.

19 ottobre 2012

Histoire d'«O» (Just Jaeckin, 1975)

Histoire d'«O» (id.)
di Just Jaeckin – Francia 1975
con Corinne Cléry, Udo Kier
**

Rivisto in DVD, con Sabrina.

Tratto dal celeberrimo romanzo erotico di Pauline Réage, pubblicato nel 1954, è il film-manifesto del bondage e del sadomaso al cinema. La giovane e bellissima «O» è talmente sottomessa al suo amante René da accettare di essere condotta al castello di Roissy, dove viene addestrata per diventare una schiava sessuale e subisce frustate e mortificazioni di ogni tipo. René la consegna infine al proprio mentore, il nobile sir Stephen, che diventa il suo padrone assoluto ma che finirà con l'innamorarsene, con conseguente capovolgimento di ruoli. Lo scandalo provocato dal romanzo alla sua uscita risulta certamente attenuato nel film (dopotutto erano passati vent'anni e i costumi erano cambiati), ma non del tutto: l'idea che una donna possa trovare la felicità nella più completa sottomissione e nel "totale annullamento della sua volontà, nel quale essa rinuncia alla propria libertà lasciando che sia un uomo a detenerla come una sorta di vera e propria proprietà personale" può risultare incomprensibile ancora a molti (gli intellettuali francesi, alla sua uscita, faticarono a credere che il romanzo fosse stato scritto da una donna). Nonostante l'aria da softcore patinato ante litteram (non saranno poche le pellicole che vi si ispireranno, riproponendo la fotografia luminosa e diffusa nella speranza di riprodurne anche l'atmosfera torbida), il film non ha perso la sua carica erotica e traspone abbastanza fedelmente sullo schermo le pagine scritte, trattando l'argomento con eleganza e senza sfociare mai nella volgarità. Numerosi i tagli nella versione italiana, ma i frammenti sono stati ripristinati nell'edizione in DVD. Fondamentale la bellezza "opalina, morbida e perfetta" della protagonista Corinne Cléry (la quale, dopo essere divenuta celebre con questa pellicola, ha lavorato parecchio in Italia ed è stata anche una bond girl nel film "Moonraker - Operazione spazio" del 1979). Nel cast anche Udo Kier (René), Anthony Steel (sir Stephen) e Li Sellgren (Jacqueline, la bionda modella che «O» seduce e introduce a sua volta a Roissy).

18 ottobre 2012

Safe (Boaz Yakin, 2012)

Safe (id.)
di Boaz Yakin – USA 2012
con Jason Statham, Catherine Chan
*1/2

Visto in TV.

Luke Wright, ex poliziotto dei servizi speciali infiltrato nel circuito dei combattimenti clandestini e ora caduto in disgrazia e in fuga dai suoi stessi compagni corrotti, rimane coinvolto nella guerra di potere fra la mafia cinese e quella russa quando decide di proteggere Mei, una bambina la cui stupefacente memoria per i numeri viene utilizzata dai malviventi allo scopo di "consegnare" la combinazione di una cassaforte. Un action movie senza particolari momenti memorabili: la presenza e la fisicità di Statham non bastano a sollevare una sceneggiatura priva di idee e una regia che non offre nulla che non si sia già visto in tante altre pellicole del genere (combattimenti, sparatorie, inseguimenti, senza un attimo di sosta ma anche senza sorprese o inventiva). Buono per passare il tempo, ma del tutto dimenticabile.

14 ottobre 2012

Sognando Beckham (G. Chadha, 2002)

Sognando Beckham (Bend It Like Beckham)
di Gurinder Chadha – GB 2002
con Parminder Nagra, Keira Knightley
***

Rivisto in TV, con Sabrina.

Divertente commedia sul calcio femminile, sulle difficoltà di integrazione delle nuove generazioni di espatriati e sull'importanza di saper "piegare" le regole della tradizione (to bend it, come recita il titolo originale, che si riferisce anche alla capacità di Beckham di dare l'effetto alla palla per aggirare la barriera sui calci di punizione) allo scopo di esprimere sé stessi e raggiungere i propri obiettivi. Jesminder ("Jess"), diciottenne di origine indiana che vive con la sua famiglia in Inghilterra, alla periferia ovest di Londra, è un'appassionata fan di David Beckham e ama giocare a pallone al parco con gli amici (maschi), il che non è visto di buon occhio dai genitori, assai conservatori (il padre è un sikh ortodosso, la madre sogna per lei un matrimonio punjabi). Avendola osservata in azione, la coetanea Juliette ("Jules", una Keira Knightley agli esordi) le propone di entrare a far parte della locale squadra amatoriale di calcio femminile. Combinando il loro talento, Jess e Jules portano il team in finale, ma la loro amicizia viene messa a repentaglio dal fatto che entrambe si innamorano dell'allenatore, il giovane irlandese Joe (Jonathan Rhys Meyers). E nel frattempo non mancano i problemi con le rispettive famiglie: la madre di Jules si convince che fra le due ragazze ci sia una relazione lesbica, mentre i genitori di Jess, dopo aver scoperto che la figlia fa parte della squadra, le impediscono di continuare a giocare, anche perché il matrimonio della sorella maggiore Pinky (Archie Panjabi) è imminente e tutta la famiglia deve mobilitarsi per organizzarlo al meglio. Il miglior film della regista anglo-indiana Gurinder Chadha (che non si ripeterà più) fonde in maniera leggera, fresca e (auto)ironica i luoghi comuni della pellicola sportiva (il riscatto, il gioco di squadra, il sacrificio, la vittoria finale), di quella romantica (i dilemmi dell'amicizia e dell'amore) e di quella a sfondo sociale (il contrasto fra il rispetto della tradizione e la lotta per l'autodeterminazione, i dissidi generazionali – "Non sempre i genitori hanno ragione" – e i cambiamenti nel comportamento dei figli degli espatriati – vedi la disinibita sorella Pinky, dedita al sesso pre-matrimoniale, o l'amico Tony, che si rivela essere gay). Significativa la scena in cui Jess vede – nella barriera da aggirare sul calcio di punizione decisivo – la madre, le zie e gli altri parenti, insomma tutti coloro che rappresentano una tradizione (famigliare, etnica, sociale) da superare. Se dunque il divertimento non manca, questo non va a discapito dei contenuti e della sostanza, il tutto in un setting realistico e ben definito (i personaggi vivono nei dintorni dell'aeroporto di Heathrow, i cui aerei in decollo si vedono spesso passare nei cieli sopra le loro teste: la scena finale della pellicola non poteva dunque che ambientarsi nell'aeroporto stesso, con le protagoniste che partono per una nuova avventura – una borsa di studio in America, dove il calcio femminile è praticato anche a livello professionistico), strizzando un occhio al cinema bollywoodiano (musiche, abiti, colori e balletti) e un altro a quello britannico ("My beautiful laundrette" ha fatto scuola). E dunque poco male se la trama presenta qualche cliche di troppo, se alcuni personaggi sono eccessivamente macchiettistici (i parenti), se l'alchimia fra la Nagra e Rhys Meyers non pare proprio perfetta e se le sequenze calcistiche non sono sempre convincenti. Il buon ritmo della storia e l'energetica simpatia delle due protagoniste compensano ogni cosa. Molte ragazze della squadra di calcio sono vere giocatrici dilettanti. Cameo, nei panni di sé stessi, per gli ex calciatori e commentatori sportivi Alan Hansen, John Barnes e Gary Lineker, mentre nel finale si intravede in aeroporto anche David Beckham (e signora) in persona. Nei titoli di coda la regista, la troupe e gli attori intonano a turno le strofe della canzone finale in hindi.

9 ottobre 2012

Crying fist (Ryoo Seung-wan, 2005)

Crying Fist - Pugni di rabbia (Jumeogi unda)
di Ryoo Seung-wan – Corea del Sud 2005
con Choi Min-sik, Ryoo Seung-beom
**

Visto in DVD, con Giovanni.

Storia parallela di due uomini in cerca di riscatto, che trovano nella boxe l'occasione per dimenticare i fallimenti del passato. Il quarantenne Tae-shik (Choi Min-sik, il protagonista di "Old boy") era stato un campioncino da giovane, vincendo anche la medaglia d'argento ai giochi asiatici, ma ora è un relitto: disoccupato, pieno di debiti e abbandonato dalla moglie (che progetta di risposarsi per dare un avvenire sicuro al figlioletto), non trova di meglio che offrirsi come punching-ball umano per la strada a tutti coloro che, prendendolo a pugni, vogliono sfogare in questo modo lo stress. Su suggerimento di un amico, però, decide di rimettersi in forma e di provare a risalire sul ring per conquistare il titolo, un ultimo disperato tentativo per riacquistare l'orgoglio e la fiducia in sé stesso, oltre che il rispetto di suo figlio. Il ventenne Sang-hwan (Ryoo Seung-beom, fratello del regista) è invece un teppistello che ne ha combinata una di troppo ed è finito in galera. Qui trova nel pugilato un modo per dare senso alla propria vita, anche agli occhi dell'anziana nonna malata che dall'esterno non ha mai smesso di preoccuparsi e di fare il tifo per lui. Il difficile ambiente carcerario diventa così uno stimolo che lo porta faticosamente a scalare i vertici delle classifiche, fino alla sfida finale. Quasi due film in uno, con tutti gli elementi tipici delle storie sportive di riscatto e rivincita (patetismi inclusi, soprattutto nel rapporto dei due personaggi con i propri famigliari: il figlio per Tae-shik, la nonna per Sang-hwan). La particolarità è che nel finale la pellicola mette i due protagonisti – che non si erano mai incontrati prima – a confronto sul ring l'uno contro l'altro: e solo uno dei due potrà risultare vincitore. Nonostante una regia nervosa e un montaggio un po' confuso, la buona prova degli interpreti rende il film abbastanza piacevole da seguire, anche se alla resa dei conti non si rivela particolarmente coinvolgente.

6 ottobre 2012

Io ballo da sola (B. Bertolucci, 1996)

Io ballo da sola
di Bernardo Bertolucci – Italia/GB 1996
con Liv Tyler, Jeremy Irons
***

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Paola, Eleonora, Benedetta e Francesca.

La diciannovenne americana Lucy Harmon (una Liv Tyler agli esordi, nel ruolo che l’ha fatta conoscere) giunge in Toscana per trascorrere una breve vacanza, ospite in una bella villa sulle colline senesi. I padroni di casa erano amici di sua madre, poetessa da poco defunta, e la ragazza ha ragione di credere di essere stata concepita proprio in quei luoghi: uno dei motivi del suo viaggio – oltre a fare da modella per una scultura – è proprio quello di scoprire la vera identità del padre. Nella villa, affollata da bizzarri personaggi dai costumi piuttosto liberi (in gran parte artisti, poeti e scultori), Lucy diventa ben presto l’attrazione di tutti. Lei vorrebbe rivedere un giovane italiano di cui, nella sua visita precedente, si era innamorata, e magari perdere con lui la propria verginità; ma alla fine colui al quale si concederà sarà un altro. I temi della crescita, della scoperta della sessualità e dell’ingresso nell’età adulta si fondono con quelli dell’arte (anche la ragazza compone estemporanee poesie, i cui versi – che appaiono scritti in sovrimpressione sullo schermo, alla Greenaway – vengono affidati a fogliettini e frammenti di pagine dispersi poi qua e là), della vita, della morte (indimenticabile lo scrittore malato terminale, interpretato da Jeremy Irons), sullo sfondo di uno scenario assai suggestivo: le campagne e le colline toscane, i campi di grano e i filari di ulivi, i cascinali e le ville antiche, i vasi di terracotta e le insolite sculture, per un’ambientazione che negli anni successivi sarà saccheggiata da altre pellicole (per lo più anglosassoni) o da spot pubblicitari. Anche se a tratti il film sembra girare un po’ a vuoto, con la sua andatura lenta e l’assenza di una trama ben definita, riesce comunque a catturare la complicità dello spettatore, facendolo sentire a sua volta come se fosse un ospite in vacanza insieme a Lucy e agli altri personaggi. Non manca una certa dose di ambiguità, anche a livello sessuale (si pensi alla coppia formata da Richard e Miranda), che pure non sfocia mai nel torbido, anche se alcuni critici – soprattutto statunitensi – hanno manifestato un certo disagio. Eccellente la prova della bellissima Tyler (all’epoca nota soltanto in quanto “figlia di Steven Tyler”, il leader degli Aerosmith), spontanea e radiosa nel ruolo di una ragazza innocente e romantica, all’interno di un cast comunque ricco e vario, che comprende fra gli altri Joseph Fiennes, Jean Marais, Carlo Cecchi, Rachel Weisz, Stefania Sandrelli e Sinéad Cusack.

3 ottobre 2012

Reality (Matteo Garrone, 2012)

Reality
di Matteo Garrone – Italia 2012
con Aniello Arena, Loredana Simioli
***

Visto al cinema Apollo, con Sabrina.

Luciano, estroverso pescivendolo che vive in un fatiscente palazzo nel cuore di Napoli e che “arrotonda” le proprie entrate travestendosi da drag queen alle feste di nozze e trafficando illegalmente in elettrodomestici venduti per corrispondenza, viene convinto dai propri familiari a partecipare alle selezioni locali per la nuova edizione del “Grande Fratello”. Quando gli viene fatta balenare innanzi la possibilità di entrare a far parte della trasmissione, Luciano è pervaso dall’illusione di diventare una celebrità e di poter così evadere dalla squallida vita quotidiana. L’ossessione per il programma lo porta a montarsi la testa: lascia il lavoro, vende la pescheria e si aliena sempre più dalla famiglia e da coloro che gli stanno attorno, perdendo gradualmente ogni contatto con la realtà. Tanto che, in attesa di una risposta dalla produzione (che non giungerà mai), viene colto dalla convinzione paranoica che “quelli della tv” lo stiano spiando, studiando tutto quello che fa, proprio come se si trovasse già nella casa del reality show. Dopo il successo di “Gomorra”, Matteo Garrone non abbandona Napoli ma cambia completamente registro narrativo: con i toni della parabola e della commedia, un tocco di esistenzialismo surreale e una fotografia che esalta i colori vivaci, sceglie di affrontare il tema dell’illusione che, soprattutto in tempi di crisi, colpisce tutti coloro che sperano di fare fortuna senza sforzo, in un mondo dove l’apparire in tv, anche per breve tempo, può trasformare chiunque in una celebrità popolare (come “Enzo”, l’idolo locale che, prima di Luciano, ha già avuto il suo momento di notorietà grazie allo spettacolo e che incoraggia il protagonista a non abbandonare mai il proprio sogno: “Never give up!”). Memorabile l'ambiguo finale in cui Luciano riesce a introdursi di soppiatto proprio nella sorvegliatissima casa dello show, senza che nessuno si accorga di lui mentre vi si aggira come un fantasma (ma forse i veri fantasmi sono gli altri personaggi dello show): che si tratti solo di una fantasia o, appunto, di un sogno che si autoavvera? L’ambientazione campana, la simpatia dei personaggi (il colorito parentame, tipicamente napoletano, o gli abitanti del quartiere dove vive il protagonista), la regia elegante e la buona scrittura sono al servizio di una lucida esposizione dei rischi che si corrono quando si rimane ossessionati dalla prospettiva di una facile popolarità. “Per molti la tv diventa come una certificazione della propria esistenza, un problema esistenziale più che narcisistico”, ha commentato il regista. “Vivendo in una società dei consumi si è sempre vulnerabili alle seduzioni che arrivano dall'esterno”. Anche se alla resa dei conti il film non dice nulla di particolarmente nuovo e originale sul tema: la miglior pellicola sui reality show rimane ancora quel capolavoro che – incredibile a dirsi – è stato realizzato ancora prima che il “Grande Fratello” televisivo vedesse la luce, vale a dire “The Truman Show”. Il bravo protagonista Aniello Arena è un’ergastolano, detenuto nel carcere di Volterra, che proprio nella recitazione (teatrale e cinematografica) ha trovato una nuova ragione di vita. Nel cast anche Nando Paone (l'amico Michele) e Ciro Petrone (il barista). La colonna sonora di Alexandre Desplat, in linea con il tono “fiabesco” della pellicola (si pensi anche all'incipit, con la carrozza trainata dai cavalli bianchi che giunge in un vero e proprio castello per la fastosa celebrazione delle nozze: qui Garrone si è ricordato di uno dei suoi primi documentari, "Oreste Pipolo"), ricorda le sonorità delle musiche di Danny Elfman per i film di Tim Burton. Una curiosità: i sottotitoli in italiano (almeno nella copia proiettata qui a Milano) su alcune frase in dialetto napoletano.