13 maggio 2022

Quo vadis? (Enrico Guazzoni, 1913)

Quo vadis?
di Enrico Guazzoni – Italia 1913
con Amleto Novelli, Lea Giunchi
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Visto su YouTube.

Nella Roma imperiale, il patrizio Vinicio (Amleto Novelli) si innamora della giovane cristiana Ligia (Lea Giunchi) e chiede all'amico Petronio (Gustavo Serena) di intercedere presso l'imperatore Nerone (Carlo Cattaneo) affinché gli consenta di sposarla. Ma Nerone, che in preda alla follia ha dato fuoco a Roma, su suggerimento del perfido Chilo (Augusto Mastripietri) accusa i cristiani del rogo e li spedisce nell'arena in pasto ai leoni. Ligia viene salvata da Ursus (Bruto Castellani), il suo fedele servitore, Vinicio si converte al cristianesimo (nel film compaiono anche San Pietro e San Paolo, nonché, nel finale, lo stesso Gesù, che pronuncia la frase del titolo), la popolazione di Roma si ribella e Nerone troverà la morte in esilio. Dall'omonimo romanzo di Henryk Sienkiewicz, un filmone di due ore che – dopo le prove generali degli anni precedenti ("La caduta di Troia", "L'inferno", "L'odissea") – rappresenta il primo, vero, grande kolossal del cinema italiano (in attesa del "Cabiria" dell'anno successivo) o forse del cinema in generale. Riscosse un enorme successo anche all'estero (associando per un lungo periodo, agli occhi del pubblico internazionale, il cinema italiano alle produzioni storico-epiche in costume) ed è tuttora affascinante nella sua arcaicità: nonostante i limiti del linguaggio (a tratti ancora più simile a quello del teatro che non del cinema: non c'è vero montaggio o movimento di camera, e ogni scena è introdotta da un cartello che spiega allo spettatore cosa sta per accadere), limiti che si ripercuotono inevitabilmente sul ritmo narrativo (gli eventi si succedono rapidamente e senza soluzione di continuità, spesso anche con un rapporto di causa ed effetto debole o confuso) e sulla caratterizzazione dei numerosissimi personaggi (molti dei quali introdotti all'improvviso, senza presentazione e con motivazioni poco chiare), l'ambizione produttiva è evidente: le scenografie sono ricche, realistiche e tridimensionali (non più fondali dipinti), il numero di comparse è elevato (si dice cinquemila!), i costumi e l'iconografia in generale è assai curata, e alcune scene sono decisamente spettacolari (in particolare quelle di Roma che brucia e quelle ambientate nell'arena, con la corsa delle bighe, gli scontri fra i gladiatori e le belve feroci). D'altronde il film richiese due mesi di riprese, ebbe un alto costo per l'epoca, e la sua lunga durata contribuì a codificare il formato del lungometraggio che nel corso degli anni seguenti diventerà lo standard nell'industria del cinema, soppiantando le pellicole in uno o due rulli. Ursus, per molti versi, è un antesignano di Maciste. Il romanzo di Sienkiewicz era già stato portato sullo schermo nel 1901 (da Lucien Nonguet e Ferdinand Zecca, in una versione di soli 3 minuti, forse andata perduta), e lo sarà di nuovo nel 1924 (da Gabriellino D'Annunzio – figlio di Gabriele – e Georg Jacoby, con Emil Jannings nel ruolo di Nerone e Castellani che riprende quello di Ursus), nel 1951 (da Mervyn LeRoy, con Peter Ustinov e Deborah Kerr, la versione hollywoodiana più famosa) e nel 2001 (da Jerzy Kawalerowicz, una produzione polacca più fedele al libro originale).

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