29 agosto 2016

Whity (Rainer Werner Fassbinder, 1971)

Whity (id.)
di Rainer Werner Fassbinder – Germania 1971
con Günther Kaufmann, Hanna Schygulla
**1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa, in originale con sottotitoli.

Siamo nel 1878, in una cittadina di frontiera negli Stati Uniti. Il mulatto Whity (Kaufmann) lavora come maggiordomo nella tenuta del potente proprietario terriero Ben Nicholson (Ron Randell), di cui peraltro è il figlio illegittimo ("l'unico che ha ereditato qualcosa del mio carattere", riconosce lo stesso patriarca). Il suo senso di fedeltà e di appartenenza al nucleo familiare, anche in un ruolo subalterno (di fatto è uno schiavo), sono superiori all'orgoglio e al desiderio di diventare un uomo libero: ma quando si rende conto di come la famiglia Nicholson sia ormai corrotta e decadente (tanto la giovane moglie di Ben, la ninfomane Katherine, quanto il suo primo figlio, l'effemminato Frank, gli chiedono di uccidere il padrone di casa, che a sua volta si finge malato per mettere alla prova l'avidità della moglie), sarà lui stesso a sterminare tutti, non risparmiando nemmeno l'altro figlio Davie, minorato mentale, per poi fuggire nel deserto con Hanna (Schygulla), la cantante e prostituta del saloon di cui è innamorato. La sua ribellione, comunque, si rivelerà vana e senza futuro. Se i temi sono quelli, cari a Fassbinder, del ruolo dell'individuo nella società, sullo sfondo di una torbida ragnatela di intrighi e di rapporti distorti in una famiglia disfunzionale, l'insolita ambientazione western (il film è stato girato in Spagna, negli stessi luoghi dove aveva lavorato Sergio Leone) si rivela soltanto un pretesto, anche se consente al regista stesso un'apparizione vestito da cowboy, con tanto di cappello e cinturone, nei panni di un mandriano razzista che bazzica nel saloon dove Hanna canta le sue canzoni da cabaret. Il film – uno dei primi esperimenti di Fassbinder con il colore e l'unico dai lui realizzato in Cinemascope (ma paradossalmente mai distribuito in sala) – segna la prima collaborazione del regista con il grande direttore della fotografia Michael Ballhaus, che lavorerà per lui in una dozzina di lungometraggi successivi (fra cui "Le lacrime amare di Petra von Kant", "Il matrimonio di Maria Braun" e "Lili Marleen"). E proprio la qualità pittorica delle immagini resta particolarmente impressa: dal rosso accesso dell'uniforme di Whity, al bianco pallido e cadaverico (quasi verdognolo) dei volti dei membri della famiglia Nicholson, che ne sottolineano la decadenza fisica ancor prima che morale.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Film interessante, anche se portato agli eccessi, ma forse proprio per questo può acquistare un valore simbolico e universale. Da notare l'unico atto di pietà verso il figlio minorato, l'unico "innocente", che viene ucciso proprio su consenso e per sottrarsi alla ferocia dei "sani".
Il finale è da Manon Lescaut...

Christian ha detto...

Per Fassbinder il west è soltanto uno sfondo, i temi sono senza dubbio universali. Quanto alla "sanità", è un concetto quanto mai relativo...