Woyzeck (Werner Herzog, 1979)
Woyzeck (id.)
di Werner Herzog – Germania 1979
con Klaus Kinski, Eva Mattes
***1/2
Rivisto in DVD.
Dal testo teatrale di Georg Büchner (ispirato a un vero fatto di cronaca di inizio ottocento, lasciato incompiuto dall'autore alla sua morte a soli 23 anni, e dal quale è tratta anche l'opera "Wozzeck" di Alban Berg), la storia di un umile soldato che uccide la donna che ama (e dalla quale ha anche un figlio illegittimo), per gelosia ma anche perché portato alla follia dall'oppressione del mondo intorno a lui. Vessato dal suo capitano, sottoposto a strani esperimenti da un dottore, umiliato dal prestante tamburomaggiore con il quale Maria lo ha tradito, il protagonista – una sorta di misero Otello – non regge alla pressione e al sospetto, e finisce con l'accoltellarla, per poi annegare nel lago in cui ha gettato l'arma del delitto. La pellicola fu girata in soli 17 giorni e subito dopo "Nosferatu", quasi senza pausa fra una lavorazione e l'altra, in modo da sfruttare i permessi non ancora scaduti per le riprese del primo film: ecco perché Kinski sfoggia una capigliatura così rada (in "Nosferatu" era calvo, e i capelli non gli erano ancora ricresciuti) e mostra segni di stanchezza e spossatezza per le fatiche del film precedente, che si abbinano perfettamente al personaggio. La fedeltà al testo è totale, ma questo non fa della pellicola un semplice caso di "teatro filmato": la mano del reagista è sempre presente con le sue scelte cinematografiche, come quella di mostrare al rallentatore la sequenza chiave dell'omicidio (il che contrasta con le immagini, invece accelerate, dell'incipit in cui il soldato è maltrattato dall'istruttore), o l'uso delle musiche di accompagnamento (fra cui Vivaldi e Beethoven). Nel rendere l'atmosfera mitteleuropea (si tratta forse del film "più tedesco" della carriera di Herzog) sono fondamentali anche le scenografie (le strade e le case della cittadina di Telč, in Cecoslovacchia) e l'uso del paesaggio (memorabile, in particolare, il campo di papaveri mossi dal vento, fa i quali Woyzeck prende la decisione di uccidere Maria). Il resto lo fanno la magnifica fotografia di Jörg Schmidt-Reitwein, da tempo collaboratore del regista, con una luce che dona alle scene un'aura pittorica (alcune sequenze nella casa di Maria sembrano provenire dai quadri di Vermeer) e l'intensità delle interpretazioni (tanto dei protagonisti quanto dei personaggi secondari). Herzog gira ogni scena come fosse un piano sequenza, con pochi o nessuno stacco di ripresa, lasciando che gli spazi siano gestiti e resi dinamici dalla posizione degli attori stessi. Molti temi della pellicola (la follia, la frustrazione, l'alienazione) erano già stati affrontati da Herzog nel suo lungometraggio d'esordio, "Segni di vita", a sua volta debitore a Büchner. Ma qui, pur senza cambiare una parola del testo teatrale, il regista interpreta in maniera differente il dramma della follia ("Gli uomini sono come degli abissi. Se provi a guardarci dentro, ti gira la testa", recita uno dei passaggi più celebri). Per Herzog, Woyzeck è "meno pazzo di chi lo circonda: il mondo borghese così chiuso in sé stesso, quello militare... Woyzeck è sempre al centro della storia perché è umano, pieno di dignità. In realtà Woyzeck è il più normale di tutti". Inizialmente il regista aveva promesso la parte di protagonista a Bruno S., con cui aveva lavorato ne "L'enigma di Kaspar Hauser": ma poi si rese conto che Kinski sarebbe stato più adatto al ruolo, e si fece perdonare scrivendo su due piedi per Bruno S. un altro copione, quello di "Stroszek" (da notare come i due titoli siano simili!). L'ottima Eva Mattes fu premiata come miglior attrice al Festival di Cannes.
2 commenti:
Come commento vorrei lasciare non le mie, ma le impressioni di Rilke che nel 1915 aveva visto l'opera di Buchner a Monaco e così scrive:
"Una cosa straordinaria scritta più di ottant'anni fa, null'altro che il destino di un comune soldato che pugnala l'amante infedele; ma vi si rappresenta potentemente come intorno all'essere più insignificante, per il quale persino l'uniforme di un normale fante sembra troppo imponente, come anche intorno alla recluta Wozzek stia tutta la grandezza dell'esistere, come egli non possa impedire che qui o là, davanti o dietro, ai lati della sua anima tormentata gli orizzonti si squarcino spalancandosi sull'abnorme, sul mostruoso, sull'infinito; un dramma senza pari, in cui quest'uomo vittima di ogni abuso sta nella sua giubba da stalliere nell'universo, malgrè lui, sotto l'infinito manto delle stelle"
Sottoscrivo ogni parola che trovo straordinariamente valide anche per l'opera di Herzog che ha usato il linguaggio cinematografico per ampliare ancora di più il dramma Buchneriano.
Herzog (come Berg prima di lui), nell'adattare il testo di Büchner, si è dimostrato estremamente fedele al materiale originario (nonostante la sua natura frammentaria e incompleta, e per quanto filtrato da una sensibilità di due secoli successiva). Per questo le parole di Rilke, anche se si riferiscono al dramma teatrale, possono in parte spiegare il fascino che si sprigiona anche dalle immagini del film.
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