Mia madre (Nanni Moretti, 2015)
Mia madre
di Nanni Moretti – Italia 2015
con Margherita Buy, John Turturro
**1/2
Visto al cinema Uci Bicocca, con Sabrina.
Dopo tre film parzialmente atipici ("La stanza del figlio", "Il caimano" e "Habemus papam"), Nanni Moretti torna a portare sé stesso direttamente sullo schermo. Soltanto che questa volta si "sdoppia", e sceglie di riversare tutte le sue nevrosi, il suo ego, le sue ossessioni (per il linguaggio, per il cinema), il senso di inadeguatezza e le sue difficoltà nei rapporti personali in una figura femminile, interpretata da Margherita Buy, mentre lui stesso si "ritira" nel ruolo del fratello Giovanni, a differenza di lei sereno, risolto, capace di accettare quello che il destino gli riserva. La distinzione fra il sé nevrotico e il sé pacificato si esplica nel modo in cui i due reagiscono alla grave malattia che colpisce la madre Ada, insegnante di latino in pensione, che viene ricoverata in ospedale. Se Giovanni affronta con calma e rassegnazione l'imminente lutto, Margherita ne è sconvolta, si sente impotente, ne è continuamente distratta sul lavoro (ovvero sul set di un film di "impegno sociale" su operai, fabbriche, scioperi e licenziamenti, quanto di più lontano dal dramma intimo e personale che sta vivendo) e si ritrova sommersa da sogni, visioni e ricordi. Pur essendo una regista, si scopre incapace di dirigere gli altri, di gestire la troupe e gli attori, di capire lei stessa che cosa vuole da sé e dai suoi assistenti (al contrario di Giovanni, che ha le idee chiare: si mette in aspettativa, come se Moretti stesso volesse dirci che quando avrà risolto i suoi problemi smetterà di fare film). I dubbi e i problemi sul lavoro – in particolare gli scontri con il suo protagonista, un celebre attore americano esuberante e inaffidabile (un esilarante John Turturro: mitica la scena girata in automobile), che irrompe come un cataclisma nella sua quotidianità – si riflettono perciò in quelli con la persone che le stanno accanto: la figlia (di cui ignora i problemi adolescenziali), il compagno, la famiglia. Guarda caso, quando Turturro imparerà a dire le sue battute senza errori, al tempo stesso Margherita giungerà ad accettare la morte della madre e il cambiamento. Essendo la Buy il vero personaggio "morettiano" del film, a lei si devono le frasi-tormentone da ricordare: "Mi dà fastidio la retorica", commenta di fronte ai messaggi di coraggio rivolti agli altri pazienti dell'ospedale; "Voglio vedere l'attore accanto, di lato al personaggio", spiega ai suoi interpreti, rendendoli parecchio confusi. Giulia Lazzarini (molto brava) è la madre Ada, Beatrice Mancini (ancora acerba) è la figlia Livia. Parecchie le citazioni cinematografiche, gran parte delle quali legate alle location e alla città di Roma: il ricordo della lunga coda davanti al cinema Capranichetta nel 1987 per vedere "Il cielo sopra Berlino"; un manifesto di "Captain America" che fa capolino in piazza Mancini; Turturro che grida entusiasta i nomi di "Rossellini! Antonioni! Petri! Fellini!" e che millanta di aver recitato per Kubrick. Curiosità: dopo "La stanza del figlio", è il secondo film di Nanni sul tema dell'elaborazione del lutto. La vera madre del regista, Agata Apicella (cui si deve il cognome del personaggio di Michele, intepretato da Nanni in tutti i suoi primi film), è morta nel 2010: era anche apparsa nel ruolo di sé stessa in alcune scene di "Aprile".
3 commenti:
“quando avrà risolto i suoi problemi smetterà di fare film”...Per fortuna non credo che, come tutti noi, possa veramente risolvere completamente i propri problemi e quindi spero di vedere ancora tanti film di Moretti. Ho avuto la fortuna di assistere alla proiezione a Padova alla presenza del regista che si è poi fermato per una lunga discussione e con piacere ho constatato la sua simpatica spontaneità e disponibilità (cosa non data per scontata). Tra l'altro ha ribadito la crisi del cinema italiano (il fatto che a Cannes siano presenti in tre -lui, Garrone e Sorrentino- è dovuto al lavoro personale e non alla salute del cinema italiano) ed ha fatto notare come, pur nel tormentone dell'inadeguatezza declinata in tutte le forme, non ci sia vittimismo (Margherita davanti alla incapacità di accettare il declino della madre non si rifugia nell'accusare la mala sanità o i medici , ma ammette che è a lei che si chiude la testa quando parla con loro) , ed ha precisato come il suo metodo di lavoro sia basato su una continua ricerca, attraverso ripetute prove, di una spontaneità che non è improvvisazione, ma frutto di un vero lavoro (quando J.Turturro improvvisava era poi costretto a ripetere la scena anche lui finchè al regista non appariva integrata con il resto) per arrivare a dare quel tono di leggerezza che è proprio del suo cinema, anche quando si piange.
Grazie della testimonianza. La mancanza di vittimismo e di pietismo (come dici tu, Margherita se la prende con sé stessa e non con gli altri o con il destino) è ciò che differenzia il film e i suoi personaggi da altre pellicole italiane su questi temi, per fortuna.
Quanto al metodo di lavoro di Moretti, evidentemente è rispecchiato nelle parole di Margherita Buy nel film stesso, quando chiede agli interpreti di "mostrare l'attore a fianco del personaggio"! ^^
Come sempre, in ogni film di Moretti, c'è una frase "tormentone" e qui è proprio il continuo ripetere agli attori di non annullarsi nel personaggio, ma di stare accanto, anche se sembra che nessuno capisca cosa intenda! Ma proprio perchè rimane impresso costringe prima o poi a rendersi conto che è profondamente vero: un bravo attore non smette mai di essere sè stesso, qualsiasi parte interpreta. Non è per questo che Marlon Brando è sempre Marlon Brado sia quando interpreta Giulio Cesare che lo scaricatore del porto?
Tutte le frasi tormentone dei film di Moretti (le parole sono importanti... Continuiamo a farci del male...)ci segnano e rispecchiano ...
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