24 febbraio 2015

You, the living (Roy Andersson, 2007)

You, the living (Du levande)
di Roy Andersson – Svezia 2007
con Jessika Lundberg, Björn Englund
***

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Sette anni dopo "Canzoni dal secondo piano", Andersson prosegue il suo viaggio nella bizzarria e nell'assurdità dell'esistenza umana con un altro film ironico, corale ed episodico, se possibile ancora più surreale del precedente e, all'apparenza, privo di un vero filo conduttore. Stavolta è infatti difficile individuare un personaggio centrale: la pellicola segue diversi uomini e donne nella triste vita di tutti i giorni, che lottano disperatamente contro la solitudine, le angosce e le inquietudini, aggrappandosi a quello che possono: l'amore, la musica, i sogni. Sono protagonisti di vignette e siparietti che lo sguardo disincantato del regista – frutto evidente dei suoi trascorsi da documentarista – ritrae con la consueta camera fissa ("movimentata" appena, in un paio di scene, da alcuni carrelli) e rigorosamente a distanza (i primi piani sono quasi banditi, persino negli occasionali momenti in cui i personaggi parlano direttamente allo spettatore). Quelli che ricorrono di più sono i membri di una piccola jazz e brass band, che osserviamo spesso durante le prove e che di tanto in tanto suonano anche a ritrovi, cerimonie e funerali, e una ragazza dagli stivali fuchsia, Anna, innamorata di un giovane cantante rock: a lei è legata la scena più bella del film, il sogno del loro matrimonio, con la casa che si muove come un treno sui binari mentre i passeggeri sulla banchina si accostano per far loro gli auguri. Il tono onirico è comunque onnipresente, tanto che il film si apre con un uomo che si sveglia da un incubo (in cui sognava i bombardamenti durante la guerra) e si chiude con la "materializzazione" dello stesso evento: tutti rivolgono gli occhi al cielo, e poi assistiamo agli aerei tedeschi che sorvolano Parigi. La pellicola è più "dadaista" e libera di quella precedente, dunque, ma il messaggio non è da sottovalutare: l'evidente ispirazione buñueliana (come ne "Il fantasma della libertà", alcuni episodi fluiscono in altri senza soluzione di continuità: la scena con il barbiere ci conduce a quella della riunione, che a sua volta ci porta al funerale, ecc.) e il consueto approccio quasi pittorico all'inquadratura e alla messa in scena dei personaggi all'interno di veri e propri "quadri" ambientali (che a tratti, oltre a maestri del realismo urbano contemporaneo come Edward Hopper, ricorda i Ciprì e Maresco di "Cinico Tv") sono al servizio di una rappresentazione originale e incisiva delle solitudini e delle inquietudini della vita moderna, focalizzata tanto sulle singole individualità così come sulla collettività. Il titolo del film è forse una parodia di quello del romanzo di Ayn Rand "We, the living" ("Noi vivi").

0 commenti: