28 gennaio 2015

The imitation game (Morten Tyldum, 2014)

The imitation game (id.)
di Morten Tyldum – GB/USA 2014
con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley
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Visto al cinema Eliseo, con Paola e Marta.

Biopic su Alan Turing, genio della matematica e della crittografia, nonché inventore e pioniere del calcolo elettronico, delle intelligenze artificiali e dei computer. Gran parte della pellicola si sofferma sul suo lavoro durante la seconda guerra mondiale, in un centro di ricerca segreto, allo scopo di decrittare i codici della macchina "Enigma" con cui i tedeschi cifravano tutte le loro comunicazioni. In alternanza, qualche flashback sugli anni della sua gioventù (in cui scopre di essere gay) e qualche flashforward sui primi anni cinquanta (quando, in seguito a una rapina in casa sua, la sua omosessualità viene alla luce e il governo lo costringe a una terapia ormonale, a seguito della quale si suiciderà). La sua morte, tuttavia, è narrata fuori scena, con una didascalia: ed è un peccato, visto che le circostanze bizzarre ed iconiche dell'evento (Turing mangiò una mela avvelenata: e proprio da questo "simbolo della conoscenza" morsicato nacque poi il logo della Apple) avrebbero aggiunto strati e riferimenti simbolici a quella che, così narrata, rimane soltanto una storia di spionaggio, sia pure avvincente e – soprattutto – reale. Adattato da una biografia di Turing scritta da Andrew Hodges, il film offre francamente poco dal punto di vista puramente cinematografico: oltre alla sceneggiatura (a lungo rimasta nel limbo, in attesa di un interessamento delle case di produzione) e alla recitazione degli attori non c'è molto. E soprattutto, a parte il personaggio di Turing stesso (introverso, arrogante, antisociale, privo di sense of humour, quasi una sorta di Sheldon Cooper), tutto il resto – compresi i character che lo affiancano, interpretati fra gli altri da Keira Knightley, Matthew Goode e Mark Strong – è accessorio e fondamentalmente inutile, al punto che la rimozione di tali personaggi dal film (o la loro sostituzione con figure di origine o caratteristiche completamente diverse) non danneggerebbe in alcun modo la storia raccontata. Un difetto, ahimè, di parecchi film britannici di ambito storico-biografico (come "Il discorso del re", qui citato in apertura quando si odono proprio le parole che Giorgio VI pronunciava alla radio in quell'occasione): non sanno, o non vogliono, spaziare al di là del loro monotematico argomento. In questo caso particolare, sarebbe stato francamente preferibile dedicare maggior spazio ai tormenti cui Turing fu sottoposto negli anni cinquanta, che invece sullo schermo scivolano via in un attimo. Nonostante i limiti e le eccessive semplificazioni, tuttavia, a tratti la pellicola riesce ad emozionare, soprattutto nel finale quando comprendiamo l'importanza che il ricordo del primo amico dello scienziato, il compagno di scuola Christopher, ha avuto nel prosieguo del suo lavoro, nonché il vero messaggio del film: l'elogio della diversità. Il titolo si riferisce naturalmente al celebre "test di Turing", quello che si propone di distinguere fra un essere umano e un'intelligenza artificiale: peccato che l'argomento abbia ben poco a che vedere con gli esperimenti di decrittazione tramite computer che occupano quasi la totalità della pellicola.

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