Cosmopolis (David Cronenberg, 2012)
Cosmopolis (id.)
di David Cronenberg – Canada/Fra/Por/Ita 2012
con Robert Pattinson, Paul Giamatti
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Visto al cinema Apollo, con Sabrina.
“Uno spettro si aggira per il mondo: è lo spettro del capitalismo”. Adattando il profetico romanzo di Don DeLillo, che nel 2003 aveva già previsto la deriva antisociale e la crisi generata da un’economia “virtuale” che nel giro di pochi secondi può distruggere patrimoni o interi paesi (“Stiamo speculando sul nulla”, rivela a un certo punto uno dei personaggi), Cronenberg si allontana dai thriller più “commerciali” che aveva realizzato negli ultimi tempi e ritorna alle proprie origini, sfornando quasi un “Videodrome” aggiornato agli anni duemila: al posto della televisione e dei media, come simbolo dell’annullamento dell’identità e della fusione fra realtà e virtuale c’è ora il mondo finanziario, veicolo psicotico verso l’apocalisse del terzo millennio, un mondo dove sesso, denaro e potere si confondono in un freddo esistenzialismo. A bordo della sua lunga e bianca limousine blindata e insonorizzata (a significare un ulteriore distacco con il resto del mondo), il giovane miliardario e speculatore Eric Packer attraversa la città di New York per andare a tagliarsi i capelli. Ma forse non è la giornata giusta: la crescita dello yuan, che non aveva previsto, sta fagocitando il suo patrimonio; la visita in città del presidente degli Stati Uniti ha messo in allarme tutti i reparti di sicurezza e fatto andare in tilt il traffico di Manhattan, ulteriormente rallentato dal funerale new age di un popolare rapper; le strade sono investite dalle proteste di gruppi di anarchici (che ricordano gli indignados o i movimenti “Occupy Wall Street”) che suggeriscono provocatoriamente di usare topi morti come nuova moneta di scambio, e imbrattano anche l’auto di Eric, facendola assomigliare ai quei dipinti di arte moderna (Pollock – come nei titoli di testa – o Rothko – come in quelli di coda) da cui il nostro è tanto attratto; inoltre c’è la voce di un imminente attentato che un misterioso terrorista avrebbe in programma proprio contro di lui. Nel microcosmo della sua limousine, il protagonista ospita i suoi consulenti di mercato (giovanissimi esperti di computer, fanatiche dello jogging, “fumose” teoriche dell’economia), si fa fare accurati check-up medici (che rivelano, con suo grande sconcerto, la presenza di un’asimmetria della prostata), fa sesso, orina, mangia e dorme. Il cinema mutante di Cronenberg torna a essere ossessionato dai corpi e dagli oggetti, i secondi visti come veri e propri prolungamenti dei primi (come la stessa limousine, quasi un essere vivente – “Dove dormono queste auto di notte?” – o come la pistola tecnologica della guardia del corpo che risponde ai comandi vocali: la distinzione si perde al punto che più tardi Eric si sentirà in dovere di attivare con la propria voce anche una comunissima rivoltella). L’ostinazione nel voler tornare nella bottega della propria infanzia per farsi aggiustare il taglio è tipica di uno scenario “mafioso”. Se gran parte dei dialoghi e dei discorsi sull’economia risultano astratti, fuorvianti, noiosi e pretenziosi (difetti ereditati probabilmente dall’origine letteraria della sceneggiatura), l’atmosfera sensoriale costruita dal regista, dal direttore della fotografia (Peter Suschitzky) e dal compositore (Howard Shore) cattura lo spettatore e lo intrappola nello stesso inferno in cui si chiude volontariamente il protagonista, in un odissea (non a caso il romanzo di DeLillo è stato paragonato allo “Ulysses” di Joyce) senza scampo verso la follia e l’autodistruzione. Proprio come le tele di Pollock, il film va visto “da lontano” per apprezzarne l’insieme: focalizzando l’attenzione sui singoli particolari si vedrebbero soltanto macchie di colore insignificanti, come le cifre sputate dai freddi monitor che collegano l’auto di Eric ai mercati globali. Peccato per la prova non del tutto convincente dell’attore protagonista (il vampiro di “Twilight”), scelto forse dalla produzione per dare maggior appeal commerciale a un film difficile e sui generis: Pattinson esce sconfitto dal confronto con quasi tutti gli altri personaggi, soprattutto da quello con il monumentale Paul Giamatti che interpreta il suo attentatore nel finale. Nel cast anche Juliette Binoche, Mathieu Amalric (il “terrorista-pasticciere” che lancia le torte in faccia ai suoi bersagli), Samantha Morton e Jay Baruchel.
7 commenti:
Smith, Marx, Weber, Sen, Keynes, Friedman, Heidegger, Nietzsche, Sartre e Camus alla visione di questo film saranno scoppiati in una crassa risata. Citati e bistrattati da DeLillo prima e da Cronenberg poi per la preparazione di un minestrone fumoso senza capo nè coda. Utilizzati strumentalmente per la creazione di dialoghi fumosi in cui la suggestione soppianta il contenuto, il non detto seduce più del detto, la compiutezza cede all'allusione. Un protagonista allampanato in costante espressione psicotica ed i suoi accoliti snocciolano con fare mistico questi asserti come fossero rivelazioni. Un registro che ci accompagna per tutto il film ed ha come unico merito la resa efficace di un'atmosfera. Le mediocri interpretazioni, tra cui si salva il solo Giamatti, sono compensate dall'ottimo girato di Cronenberg. Le circostanze storiografiche sono totalmente inventate perché la crisi del 2008 nacque dal credit crunch conseguente allo scoppio della bolla immobiliare creata dai mutui subprime mentre il film narra di un tracollo economico e psicologico in seguito ad una posizione short nel forex mantenuta troppo a lungo. Non mi sorprende l'idea che ci sarà una pletora di spettatori culturalmente sprovveduti e condizionabili che lo considereranno un grande film.
Bellissimo commento.
Sottolineerei le sigle di apertura e di chiusura perchè per me sono state la chiave di lettura del film, sicuramente suggestionata dall'interessante spettacolo di Ferdinando Bruni "Rosso". Tutta la dinamica avviene tra Pollock e Rothko, la dissoluzione della materia in grumi di colore che dionisiacamente prepara una possibile rinascita dopo la distruzione e il doloroso ed apollineo tentativo di controllo di Rothko in forme sempre più sanguinanti.
Il film è ricchissimo di spunti e suggestioni, forse non tutte esposte in modo chiaro: ma solo per la sua complessità da "frattale" (può essere analizzato sia da vicino che da lontano) mi è cresciuto dopo la visione. Quando ero in sala avevo delle perplessità che nei giorni seguenti si sono sciolte, mentre è emersa una certa soddisfazione per la pellicola nel suo insieme.
...a me è mancato soprattutto Cronenberg che stento a ritrovare nel romanzo di De Lillo..
Non credo che avrei molto interesse a leggere il romanzo originale: anche guardando il film, non capendo niente di economia, ho lasciato che i dialoghi mi scivolassero addosso e mi sono concentrato solo sull’atmosfera e sul “contorno” sociale della pellicola, che dunque mi ha pienamente soddisfatto. Ma ora capisco meglio chi parlava bene di un film come “Pi greco” di Aronofsky, che invece io non ho amato troppo perché non sono riuscito a prescindere dalla superficialità e dall’inconsistenza con cui sono stati trattati i “contenuti” matematici. Qui è un po’ lo stesso: le critiche alla “fumosità” dei dialoghi e alla “confusione” con cui si parla di economia hanno senso, ma forse sono marginali: è come criticare la singola pennellata di un dipinto di Pollock, quando si dovrebbe guardare l’insieme – e da una certa distanza…
Pienamente d'accordo. Anch'io mi sono lasciato trasportare dall'atmosfera. Un film non del tutto riuscito ma Cronenberg non lascia mai indifferenti. ciao! c.
Sì, Cronenberg è uno di quei registi i cui film non potrei mai rinunciare a vedere...
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