5 maggio 2012

Berlinguer, ti voglio bene (G. Bertolucci, 1977)

Berlinguer, ti voglio bene
di Giuseppe Bertolucci – Italia 1977
con Roberto Benigni, Alida Valli
*1/2

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

L'esordio alla regia di Giuseppe Bertolucci, fratello di Bernardo, coincide con quello sul grande schermo di Benigni, fino ad allora semisconosciuto ed esuberante attore teatrale e d'avanguardia. Il film, che lascia ampio spazio all'istrionismo e all'improvvisazione del comico toscano, racconta delle difficoltà sociali del giovane Mario Cioni (personaggio che Benigni aveva già incarnato in teatro e in tv), che bighelloneggia con gli amici fra sale cinematografiche (nella speranza di vedere donne nude sullo schermo) e balere alla continua e inutile ricerca di un contatto con l'altro sesso, ma soprattutto del suo difficile rapporto con una mamma (Alida Valli) che lo detesta, che cerca di farlo sposare con una ragazza zoppa pur di farlo andare via di casa, e che alla fine sarà conquistata proprio da uno degli amici di Mario, al quale il ragazzo l'aveva "concessa" in cambio del pagamento di un debito di gioco. Raccolta farsesca (e ai limiti del provocatorio) di sketch estemporanei e di situazioni nonsense, condite da un forte turpiloquio la cui volgarità si attenuerà notevolmente nei film successivi dell'attore (decisamente più per famiglie), il film salta confusamente di palo in frasca e si regge solo sulle spalle della "marionetta" Benigni, che mette subito in luce tutto il suo talento fisico e verbale (memorabile la camminata notturna in cui sciorina parolacce a ripetizione). Ai temi esistenzialisti e politici del cinema impegnato di quegli anni – qui perlopiù virati in burletta (vedi la scena della tombolata nella casa del popolo, cui segue un surreale dibattito sulla parità fra i sessi) – viene sovrapposta una forte ossessione per la sfera sessuale, sebbene filtrata attraverso gli occhi di un personaggio ingenuo, "candido" e infantile, il cui unico punto fermo nella vita continua a essere la mamma. Il titolo fa riferimento, oltre che alla condizione proletaria e operaia del gruppo di protagonisti, al volto dell'allora segretario del Partito Comunista che si ritrova appiccato su uno spaventapasseri nei campi, con il quale Benigni si ferma a conversare nel corso delle sue peregrinazioni notturne.

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