30 aprile 2012

Sanjuro (Akira Kurosawa, 1962)

Sanjuro (Tsubaki Sanjuro)
di Akira Kurosawa – Giappone 1962
con Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai
***1/2

Visto in divx.

Dopo il grande successo de "La sfida del samurai", il suo protagonista ritorna in un sequel godibilissimo e assolutamente all'altezza dell'originale. Ma se nel primo film l'eccentrico ronin interpretato da Toshiro Mifune agiva da solo, liberando una cittadina dai banditi che vi spadroneggiavano, stavolta accoglie sotto la propria ala protettiva un gruppo di nove giovanissimi samurai in lotta contro alcuni funzionari corrotti che hanno preso in ostaggio un onesto ciambellano, zio di uno dei ragazzi. Questi, coraggiosi e idealisti ma assai ingenui e impulsivi, avranno molto da apprendere dai metodi spregiudicati, dall'esperienza e soprattutto dal buon senso di Sanjuro. E impareranno a non fidarsi delle apparenze: "il cattivo è nascosto dove non te lo aspetti", e naturalmente lo stesso vale per il buono. Come nella pellicola precedente, Sanjuro mette in mostra non solo un’incredibile abilità con la spada (spettacolare, e di una violenza inattesa e improvvisa, il duello che conclude il film, a proposito del quale un critico si spinse fino ad avvisare gli spettatori di "non sedersi troppo vicino allo schermo"), ma anche astuzie e sotterfugi, come la sua consueta trovata di mettersi apparentemente al servizio del nemico per poterlo ingannare dall’interno: anzi, ancora più che nel primo film viene sottolineata l'importanza di saper rinunciare alla violenza quando questa non è necessaria (un concetto veicolato per esempio attraverso i due personaggi femminili della moglie e della figlia del ciambellano rapito). L'ingentilimento del protagonista (che si presenta ancora come Sanjuro, "trent'anni" – "anche se vado per i quaranta", precisa ironicamente, suggerendo una maggior anzianità e dunque una maggior esperienza) si esplica anche attraverso l'aggiunta di un cognome assai femminile inventato sul momento, Tsubaki, che significa "camelia": non a caso userà proprio le camelie per segnalare ai compagni di aver compiuto la propria missione. Considerato un maestro del chanbara, il cinema di samurai (soprattutto in occidente, dove per lungo tempo è rimasto noto solo per questo tipo di pellicole), Kurosawa in realtà ne infrange molte convenzioni, a partire dalle solennità formali e dallo stile ieratico che ne contraddistinguevano gli esempi più classici: proprio i suoi lavori hanno contribuito ad arricchire il filone di quell’ironia e quel dinamismo che gli hanno consentito di rimanere popolare presso il grande pubblico fino a oggi (oltre che a favorire le contaminazioni con altri generi, come il western o il film di gangster). L'ortodossia è rotta non solo dall'imprevedibilità di Sanjuro (considerato bizzarro persino dagli altri personaggi, che ne criticano il comportamento poco formale e il modo di parlare) ma anche da improvvisi squarci di umorismo addirittura extradiegetico, come quelli forniti dalla colonna sonora (vedi il balletto di gioia improvvisato a un certo punto dai giovani samurai): di fatto si assiste, forse ancor più che in altri film del regista, a una riuscitissima fusione fra le convenzioni teatrali giapponesi e il linguaggio del cinema occidentale. Il tema del rapporto fra maestro e allievo, portante in tutto il cinema di Kurosawa, è qui in primissimo piano: Sanjuro alla fine viene riconosciuto dai suoi giovani compagni d'avventura non solo come un prezioso alleato ma soprattutto come un mentore e un fondamentale esempio di vita, e l'inchino che gli fanno al momento in cui decide di andarsene (senza alcuna ricompensa, da vero "eroe senza nome" che è atteso da altre avventure e da altri torti da riparare: ed è un peccato che la serie non abbia più avuto seguiti) è di forte intensità emotiva. Il rivale Muroto, samurai al servizio dei funzionari corrotti, è interpretato (come l’Unosuke del film precedente) da Tatsuya Nakadai, ovvero colui che prenderà il posto di Mifune come “attore feticcio” di Kurosawa in seguito alla rottura fra i due. Dopo "Sanshiro Sugata - Parte II", si tratta del secondo sequel di un proprio film realizzato da Kurosawa.

2 commenti:

marco c. ha detto...

Strano che non abbia mai visto questo film, eppure ero sicuro di avere visto tutto il meglio di Kurosawa. Forse mi è sfuggito perché la critica tradizionale lo reputa un'opera minore -faccio un'ipotesi-. Recensione interessante, mi ha incuriosito.

Christian ha detto...

Se non sbaglio, è uno dei pochi a non essere uscito in DVD qui in Italia, infatti per vederlo ho dovuto recuperare un divx. Ti consiglio di guardartelo in abbinata con "La sfida del samurai"...